1984, Berlino, Guerra Fredda, Stasi (Ministerium für Staatssicherheit), partito mamma (provvede alla soddisfazione sessuale dei suoi solerti funzionari con prostitute a domicilio…), motti di partito (“Siamo lo scudo e la spada del partito), intercettazioni a 360° (con la tecnologia dell’epoca…), ricatti e tradimenti, vite spiate e vite interrotte, vite cambiate e vite ricominciate. Tutto questo anzi di più è Le vite degli altri, una valanga di premi Lola (l’equivalente tedesco dei nostri David di Donatello) conclusa con l’Oscar 2007 come miglior film straniero. Alla regia di un film al quale in patria nessuno credeva, un debuttante classe ’73 dal nome altisonante: Florian Henckel von Donnersmarck (però che nome!!).

La conversazione di coppoliana memoria precipitata al centro di un regime, quello della DDR (Deutsche Demokratische Republik) che suona “dedeer” e che con a disposizione quasi un cinquantennio (dal 1949 al 1990, anno della riunificazione con la Germania Ovest), ebbe tutto il tempo per concepire e mettere a punto un sistema di controllo esteso su di un’intera società (è sufficiente la lezione iniziale su come condurre un interrogatorio, obbligando l’interrogato ad infilare le mani a palme in giù sotto le cosce così da lasciare l’odore sulla pellicola che copre la sedia, pellicola che subito dopo l’interrogatorio finisce in un barattolo di vetro a futura memoria, a descrivere il grado di controllo raggiunto…). La storia, a rappresentarne per astrazione tante altre, è quella del drammaturgo Georg Dreyman (Sebastian Koch, l’ufficiale nazista “buono” di Black book) e della sua compagna-attrice Christa-Maria Sieland. Innamoratosi di quest’ultima, il Ministro della Cultura ordina all’inflessibile capitano della Stasi Gerd Wiesler (il magnifico Ulrich Muhe, immobile come una statua, stesso sguardo glaciale di Hannibal Lecter, capace come lui di trasmettere tutto quello che c’è da trasmettere solo con gli occhi…), di sottoporre a stretto controllo la vita dei due, così da potere, alla prima occasione, togliere di mezzo Dreyman e fare di Christa la sua amante. Le vite degli altri è, e rimane, fondamentalmente un film di sceneggiatura, rigorosa, implacabile, che ad iniziare da una falsa sicurezza (quella di non essere sottoposti ad intercettazione…) sa aprire sullo sfondo della Berlino Est ai tempi della “dedeer” (cromaticamente resa attraverso una fotografia che è una cappa di verde con l’aggiunta di marrone, beige e grigio …) una dimensione thriller assolutamente non trascurabile. Le vite di chi intercetta e di chi è intercettato in fondo si somigliano, visto che entrambi scrivono (chi minuziosi verbali, chi opere teatrali…), entrambi impareranno (seppure in momenti temporali sfalsati e senza mai vedersi direttamente…) qualcosa dell’altro. Forse un appunto si può avanzare sulla metamorfosi del rigoroso capitano Wiesler che appare nel complesso troppo repentina, ma è un peccato che si perdona volentieri anche perché è ampiamente riscattato dall’intelligenza con la quale von Donnersmarck non fa discendere il racconto dal flashback (come avrebbe potuto fare tranquillamente…), lasciando che la storia si sviluppi “in avanti”. Se non ci fosse da piangere (e da sudare freddo…) “la punizione Stasi” (aprire le buste col vapore…) che fa tanto Fantozzi, farebbe ridere.