Nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1968, nel retrocucina dell'Ambassador Hotel di Los Angeles, mentre festeggiava la sua vittoria alle primarie in California, il senatore degli Stati Uniti Robert F. Kennedy veniva assassinato da uno studente d’origine araba, Shiran Shiran.

Da questo spunto (e che spunto…), attraverso una struttura polifonica che non può non far tornare alla mente quella cara a Robert Altman (adieu, monsieur Altaman, la ricorderemo per sempre…), Bobby, dell’attore e ora anche regista Emilio Estevez, racconta in parallelo all’episodio storico le vicende di 22, tra uomini e donne, presenti nell’albergo nelle ore immediatamente precedenti l’attentato e testimoni involontari del fatto stesso. Lo sguardo di Estevez (presente anche come attore negli scomodi panni di un marito succube della moglie/cantante alcolizzata interpretata da Demi Moore) rilascia allo sguardo dello spettatore un film capace di abbracciare tanti temi che laceravano gli iùesei di quegli anni: il razzismo, qua localizzato tra gli addetti alle cucine dell’albergo, razzismo che non risparmia nessuno, né gli afroamericani, né i messicani, pronti anche a darsi battaglia gli uni contro gli altri, la guerra del Vietnam, l’affermarsi della cultura psichedelica. Poi, come deve essere e come “non potrebbe essere che così perché è così che è stato”, tutto finisce risucchiato dalla particella/scheggia del destino di nome R. F. Kennedy che irrompendo sulla scena (affidata a filmati di repertorio che ritraggono anche i suoi ultimi istanti di vita, il che dimostra che anche allora poco rimaneva sottratto all’occhio implacabile delle telecamere…).

Film nobile, educato, di ottima fattura insomma questo Bobby, ma che per qualche oscuro motivo rimane al di sotto della soglia di lunga durata.