Oggi si ricomincia a parlare di Goffredo Mameli, nato a Genova nel 1827, poeta, mazziniano, patriota al fianco di Garibaldi, difensore del Gianicolo, dove fu ferito a una gamba e per la cui lesione malcurata morì poco più che ventunenne.

Pura espressione del Romanticismo italiano, eroe risorgimentale, gloria nazionale, autore del noto componimento Per l’illuminazione del X dicembre a Genova, scrisse le parole del Canto degli Italiani, testo che divenne l’Inno di Mameli (questa la denominazione assunta nella cultura corrente), cioè l’Inno Nazionale Italiano.

I critici che hanno la puzza sotto il naso hanno bollato quest’ultimo come retorico, enfatico, e ridondante.

I cittadini non vanno a memoria oltre i primi tre, quattro versi al massimo. Per la gioia dei padani. Ma questi signori dell’opulento Nord-Est ne conoscono perfettamente il contenuto? Da una mia modesta immagine, la risposta è no. Magari recitano da dio l’avemmaria delle quotazioni in borsa sul vangelo del soleventiquattrore, ma di Mameli, di poesia, di arte e di letteratura, ahimé, siamo all’infanzia della storia.

E di Musica? Oltre il “Va, pensiero, sull’ali dorate” si va maluccio…

Spiegare a un padano chi è Michele Novaro è ardua impresa. Beninteso, vi sono alcune eccezioni. Leggo, on-line, su La Padania del giugno 1998, un articoletto di una certa Morgana, intitolato “Michele Novaro, chi era costui? in cui la musica dell’Inno d’Italia è definita insulsa marcetta e i suoi autori (vi annovera pure Mameli n.d.a.) sono, per nostra fortuna, nel dimenticatoio”.

Sic!

Dunque, Mameli è un poeta di scarso rilievo. Novaro, compositore sconosciuto, la cui marcetta funebre – cito sempre la giornalista di prima – riferendosi alla musica dell’Inno d’Italia, molesta le nostre orecchie a ogni alzabandiera.

Uniamoci, amiamoci;

L’unione e l’amore

Rivelano i popoli

Le vie del Signore.

 

Sono parole scritte da Goffredo Mameli nel 1847! Come possono andare bene a coloro che vogliono disunire, anziché unire e disprezzare, anziché amare?

L’insulsa marcetta che non ha nulla da invidiare alla Marsigliese o al God save the Queen, ha uno schema iniziale "a a b a" che conclude la prima sezione, aprendo successivamente un ritmo più stimolante, carico di pathos, con un buon contrappunto, che supporta la melodia principale.

 

Michele Novaro compose l’opera buffa O mego per forza in dialetto genovese (egli era nato a Genova il 23 dicembre del 1822), rappresentata con buon successo nel 1874. 

Inoltre, Una battaglia e altri pezzi per orchestra, musica da camera, musica sacra, la raccolta di canti popolari Viva l’Italia e moltissimi ballabili.

Come persona, fu eccellente. Fondò una scuola gratuita di canto. Si dice che nulla della sua produzione – a parte la musica dell’Inno d’Italia – si sia salvata.

Ma letèo non significa che non merita approvazione. Che dire, allora, delle opere di Salieri, di Traetta, di Galuppi, di Guglielmi, di Sacchini, di Fischietti, di Sarti, di Viotti, tornando un secolo indietro? Non riproporre o riproporre poco, per sottili calcoli di mercato, composizioni di estrema bellezza, di cui il pentagramma italiano è pieno zeppo e poi dire che "non hanno alcun valore artistico", oltre che sciocco e di cattivo gusto, è esecrabile, indegno e corre contro ogni logica.

 

Se le televisioni commerciali (ma non solo quelle) riservassero alla vita e alle opere dei nostri compositori solo un terzo di quanto dedicano alle telenovele o ad altra analoga spazzatura, forse si saprebbe di più su Michele Novaro, su Antonio Smareglia, su Aldo Finzi, su Franco Mannino e su tanti altri musicisti che hanno onorato e onorano l’Italia.