Il presente, con tutti i suoi molteplici aspetti, ha sempre costituito il punto di partenza della narrativa e della cinematografia fantascientifica. Non è un caso, infatti, che di "fantascienza del presente" abbia parlato, a proposito del suo nuovo lavoro, The children of men, presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, il cineasta messicano Alfonso Cuaròn, capace di passare dalle avventure erotiche di due diciassettenni (anche con la reciproca mamma) del cult Y tu mama tambien a Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, certamente l’episodio più dark e più bello della saga del maghetto.

Liberamente tratto da un fortunato romanzo del 1993, della scrittrice, pari d’Inghilterra, P.D. James, il film è ambientato nel 2027 in un mondo divenuto sterile dal momento che non nascono più bambini, le donne abortiscono e gli uomini si scoprono impotenti a generare. Un mondo dove l’essere umano più giovane, 19 anni, è appena stato ucciso da un suo fanatico ammiratore. Un mondo in cui l'umanità, ormai consapevole della propria fine, mostra il suo lato peggiore e oscuro. Le città sono al collasso. Nelle strade esplodono bombe, si odono le sirene della polizia e gli strepiti delle sette religiose.

In Inghilterra il governo dittatoriale è riuscito a conservare una specie di ordine, fondato sulla coercizione, sulla limitazione delle libertà personali e su una ferrea politica xenofoba, in seguito alla quale tutti gli sventurati che cercano di entrare nell'ex Regno Unito vengono segregati in campi profughi e poi espulsi. D'altro canto, piccoli nuclei di sovversivi, terroristi e anarchici, tentano di opporsi alla dittatura, i cui esponenti di spicco, come da copione vivono in case profumate di fiori e ricche di opere d’arte, trafugate qua e là, come il Guernica di Picasso o il David michelangiolesco.

Ma ben presto si diffonde la notizia che una ragazza di colore è rimasta incinta e il nascituro, vero e proprio Messia, viene conteso per la causa. Un ex militante politico, si troverà, suo malgrado, coinvolto nella salvezza della giovane puerpera…

Come si comprende dalla trama, una fitta (troppo fitta) rete metaforica percorre il film di Cuaròn, rendendolo molto simile a quelle produzioni apocalittiche dal piglio morale, più spesso moralistico e pedagogico, molto in voga sul finire degli anni Sessanta (si pensi ai Cannibali di Liliana Cavani o al più celebre Fahrenheit 451 di François Truffaut). Infatti, I figli degli uomini è molto ricco di riferimenti al presente, a partire dallo spunto di partenza sul tasso zero della natalità, che caratterizza l’opulento Occidente. Le scene più cruente del film sono ispirate alle immagini che provengono dai conflitti mondiali veri, come quelli dell'Iraq, della Bosnia e della Palestina; così come quelle che riguardano la segregazione degli immigrati ricordano Guantanamo.

Ne deriva un film sporco di sangue e fango, con una serie di crudi e poderosi piani sequenza, dove il grande talento visionario di Cuaròn emerge in tutta la sua potenza (straordinaria la sequenza dell'attacco con l'auto in fiamme), con la macchina da presa che attraversa la violenza e il delirio, quasi a testimoniare quella missione di eticità intrinseca nello sguardo cinematografico. Analogamente, oltre che nelle scene d'azione, è bravo il regista messicano a filmare i volti degli uomini che popolano questo mondo infernale, mettendo in rilevo il disincanto, la debolezza e la codardia del protagonista Theo (Clive Owen), eroe per caso; il massimalismo ottuso di chi pensa di poter liberare l’uomo attraverso la violenza e il terrore, che emerge nel personaggio di Luke (Chiwitel Ejiofor), esponente di un gruppo di attivisti, i "Pesci", destinati a divorarsi e annullarsi gli uni con gli altri; il vecchio hippie (il sempre grandissimo Michael Caine), militante d'ogni difesa dei diritti individuali, che coltiva in casa marijuana, mentre ascolta Mahler e Ruby Tuesday cantata da Battiato; l’incredulità della "nuova" madonna colored Kee.

Peccato però che il mobilissimo intento sociopolitico del regista messicano ceda spesso il posto a metafore troppo insistite e banali (tra tutte, la nave Tomorrow che deve condurre la puerpera nel luogo segreto, dove si nasconde una organizzazione di scienziati, tesa a studiare e a risolvere le cause del disastro), una rappresentazione troppo calcata e spettacolare dell’oggi futuribile e, soprattutto, a un finale cristologico, francamente eccessivo. Resta però un bel film, teso, angoscioso, a volte suggestivo, e la conferma del grande talento di Alfonso Cuaròn.