"In un'isola del nord di un'Italia capovolta c'è una città madrìce, un luogo primario. Un utero che cova spiritualità, violenza, desiderio, vendetta, ansia di potere. Nella Sicilia fredda e avvolta dalla nebbia, abita un popolo che parla un gergo segreto, accompagnato da ammiccamenti, da gesti con le mani, la testa, gli occhi, le spalle, la pancia, i piedi. Un popolo capace di fare tutto un discorso senza mai aprire bocca. Nel mezzo di questo feudo, il cuore di un potere grandissimo è una mappa che segna i confini: l'Italia vista dall'alto, da una visione satellitare, è spartita, spaccata, insanguinata. Questa mappa è come il palcoscenico di un teatro di tragedia dove dall'alba alla notte si stipulano patti e si scelgono gli assassini. Una cosca, una nassa, un partito, una società, una fratellanza: una Famiglia. Si può finire in questo recinto per nascita, per paura, o per amore. Figli, mogli, mariti. Gente nata in mondi diversi, che una volta attratta in questo recinto, contrae un vincolo eterno. Tutto quello che sei stato, non devi esserlo mai più. Adesso sei dentro, e dovrai comportarti esattamente come loro. Dovrai essere un uomo. Senza rimorso né paura, mai. 

Si può essere scelti, selezionati per le proprie qualità ed entrare in questo modo a far parte del sistema. Il coraggio, la spregiudicatezza, la fedeltà. Servono alcuni requisiti per poter essere introdotti. Primo fra tutti non avere il marchio di infamia. Né essere parente di infami, o di gente che abbia portato una divisa. Troppo rischioso. Quando qualcuno viene affiliato si consegna per sempre.

I legami che tengono insieme le persone sono indissolubili, i patti infrangibili. Non ci si può sottrarre, non si torna indietro. E' un'appartenenza selvaggia, di mandria. Chi esce dalla mandria, muore.

Poi vengono le regole. Che non possono essere calpestate, che non accettano deroghe di nessun tipo. Che prevedono rituali. Che sono diverse per gli uomini e per le donne.

Le regole sono stabilite da sempre, sono la tradizione che si tramanda. Alcune sono diventate addirittura incomprensibili, gesti che si ripetono da secoli, uguali a se stessi. Non servono a niente, tranne a ribadire una fedeltà.

Questo popolo silenzioso con i coltelli in mano è seduto attorno a un tavolo imbandito, si spartisce l'Italia e se la mangia a carne cruda. "

Con queste parole Emma Dante, nella sua nota di regia, parla del progetto del suo nuovo spettacolo Cani di bancata, in scena in anteprima nazionale in questi giorni al Teatro Montevergine di Palermo. L'opera, che rappresenta  una denuncia contro la mafia sarà poi messa in scena nei teatri di tutta Italia, toccando città come Milano, Napoli, Torino, per citarne solo alcune.  

I “cani di bancata” sono gli animali che aspettano, sotto ai banchi dei mercati, il cibo di scarto che gli ambulanti lasciano alla fine della giornata di lavoro. Un termine siciliano che significa metaforicamente “parassita”, “approfittatore”. E questo è il titolo che la regista ha scelto per il suo nuovo spettacolo, prima tappa di un più ampio progetto che racconta della sua terra natale. Emma Dante affonda il coltello drammaturgico e registico in una regione popolata da violenza, desiderio, spiritualità, vendetta. "Nella Sicilia fredda e avvolta dalla nebbia - afferma la regista - abita un popolo che parla un gergo segreto. Un popolo capace di fare tutto un discorso senza mai aprire bocca. Nel mezzo di questo feudo, il cuore di un potere grandissimo è una mappa che segna i confini: l'Italia vista dall'alto, da una visione satellitare, è spartita, spaccata, insanguinata. Questa mappa è come il palcoscenico di un teatro di tragedia dove dall'alba alla notte si stipulano patti e si scelgono gli assassini. Una cosca, una nassa, un partito, una società, una fratellanza: una Famiglia".