Gianrico Carofiglio è sicuramente uno dei golden boy della narrativa italiana contemporanea. Il suo ultimo romanzo, Ragionevoli dubbi, terza avventura dell’avvocato Guido Guerrieri, è immediatamente balzato ai primi posti di tutte le classifiche di vendita, mentre i precedenti Testimone inconsapevole e Ad occhi chiusi sono giunti rispettivamente alla ventiseiesima e diciannovesima edizione, così come Il passato è una terra straniera, unica opera, per così dire, non seriale, Premio Bancarella 2005, è stato più volte ristampato. Se poi aggiungiamo che i suoi libri sono stati pubblicati o sono in via di pubblicazione in molte lingue (spagnolo, inglese, tedesco, giapponese e, fra le altre, greco, portoghese, turco, russo); che dai primi due titoli del ciclo Guerrieri sono stati tratti altrettanti film TV di prossima messa in onda, sceneggiati dall’autore insieme a Domenico Starnone e Francesco Piccolo e diretti da Alberto Sironi, possiamo tranquillamente affermare che quella del pm-scrittore si presenta come un’ascesa al momento irresistibile.

Del resto, è indubbio che i suoi romanzi sono capaci di catturare l’attenzione del lettore sin dalla prima pagina grazie a una scrittura asciutta e lineare, a metà strada tra quotidiano e letteratura, a una trama semplice, ben articolata e sapientemente gestita, e soprattutto, all’abilità di sfruttare al massimo l’opzione dell’io narrante, con l’uso frequentissimo dei commenti in prima persona, che anticipano la battuta in virgolettato, dando luogo ad un effetto ironico, se non comico.

Tuttavia, soffermando la nostra attenzione sul serial Guerrieri (ma il discorso vale anche sostanzialmente perIl passato è una terra straniera), non si può non rilevare come la formula Carofiglio sia caratterizzata dalla ripetizione di meccanismi topici ben precisi, tanto che i suoi libri possono essere assunti come esemplari in una qualunque scuola di scrittura per aspiranti artigiani della letteratura, desiderosi di collocare sul mercato i loro prodotti medi(ocri), magari destinati al successo se accompagnati da una accorta politica editoriale, come quella in cui eccelle donna Elvira.

Innanzitutto al centro di ogni romanzo di Carofiglio c’è una vicenda che sembra uscita da una qualunque cronaca in diretta: l’omicidio di un bambino di nove anni, di cui è stato accusato ingiustamente, dopo un’inchiesta rapida e sommaria, un ambulante senegalese o la disavventura di un uomo, arrestato a Bari al rientro da una vacanza in Montenegro con moglie e figlia, per il rinvenimento nella sua auto di quaranta chili di cocaina, collocati a sua insaputa ma che riconosce come propri per evitare l’arresto alla moglie o una giovane donna vittima di maltrattamenti che ha avuto il coraggio di denunciare l’ex compagno suo persecutore, figlio di un potente burattinaio del Palazzo. Così per risolvere queste missioni impossibili, dove non si intravede per la difesa alcuna possibilità di azione, arriva l’io narrante, l’avvocato Guido Guerrieri, 42 anni, consueto eroe pseudodisilluso e pseudoesistenzialista di tanta narrativa gialla seriale. Infatti, Guido, divorziato, uomo onesto e sincero, di sinistra (di una sinistra naturalmente moderata, buonista, veltroniana), accanito lettore, appassionato di musica ed anche cinefilo, si presenta, come da copione, duro, freddo e sicuro di sé nelle aule del tribunale quanto incerto e fragile nel privato, mosso com’è da una serie di interrogativi sulla propria vita e sull’ordinamento giudiziario. Naturalmente riesce sempre a sfuggire alla disillusione in cui precipita, trovando il coraggio di seguire fino in fondo la propria etica e difendere, come in Ragionevoli dubbi, un ex picchiatore fascista, che durante il ’77 lo aveva fatto pestare perché indossava l’eskimo.

Ognuno dei tre romanzi del ciclo Guerrieri inizia con una perdita nella vita del nostro eroe, che consente all’autore nelle pagine a seguire di accentuare il lato sentimentale del personaggio, facendolo tormentare dal dubbio e dai sensi di colpa. Si tratta dell’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie Sara in Testimone inconsapevole; la decisione di smettere di fumare o per meglio dire, di sospendere di fumare in Ad occhi chiusi (“Non c’è nessuno che smetta di fumare. Si sospende, al massimo”); la separazione dalla nuova compagna Margherita in Ragionevoli dubbi. Perdite che vengono poi bilanciate dalla apparizione di figure femminili, che sollevano Guido dallo stato disforico in cui è precipitato e che nell'economia narrativa dei singoli romanzi costituiscono uno dei motori principali dell'azione. Donne, che danno all’insieme un tocco esotico e che sembrano uscite dritte dritte da uno sceneggiato televisivo. Si pensi alla nubiana Abagiage e alla vicina di casa nel primo romanzo; a suor Claudia, che si presenta vestita in jeans e giubbotto di cuoio nero nel secondo; alla giapponese di padre napoletano Natsu, ex modella ora cuoca, bellissima moglie dell’imputato nel terzo, con cui avrà una storia d'amore destinata a concludersi in stile Casablanca.

Altri ingredienti fissi sono le citazioni di libri, canzoni e film, che di romanzo in romanzo si sono fatte via via sempre più sofisticate e cool (dal Piccolo principe di Testimone inconsapevole siamo passati a La casa delle belle addormentate di Kawabata e a Nulla succede per caso. Le coincidenze che cambiano la nostra vita di Hopcke); e, in ossequio al maestro Montalban, l’elogio dello slow food, secondo una linea molto diffusa nel nuovo giallo italiano (basti pensare a Piazzese e a Carlotto, i cui esiti ci sembrano nettamente superiori a quelli dello scrittore barese). Oltre naturalmente all’immancabile lieto fine.

Nasce così una narrativa di maniera, dal fiato corto, formata com’è da materiali quanto mai deperibili e manipolabili. Una narrativa, politicamente ipercorretta, multiculturale quanto basta, in cui la realtà non irrompe mai, se come spunto di partenza; in cui le storie sono ambientate in non-luoghi, cui si dà il nome di volta in volta di Bari, New York, Palermo ecc. Una narrativa che non può andare oltre l’intrattenimento piacevole. Una narrativa su cui non si possono non nutrire ragionevoli dubbi.