Coinvolto per un equivoco in una faida tra due bande criminali di New York, quella di Il Boss e quella di Il Rabbino, al giovane Slevin non rimane altro da fare che tentare di cavarsela nel migliore dei modi…

Premessa: le due righe di riassunto sono fasulle, giacché le cose non sono proprio come sembrano che siano. Eppure, il rovesciamento di prospettiva che all’incirca a tre quarti del film inizia a mostrarsi, non fa fare "ohhhh" (come accade invece in Old Boy quando salta fuori lo stretto legame che unisce Oh Dae-Soo e Mido…), poiché i più accorti, soprattutto tutti coloro che rispetto all’incipit si erano posti alcune domande, avevano già capito da un bel pezzo l’andazzo reale.

Sparato in sala come se fosse il film rivelazione dell’anno con uno spot che lo dipinge come una sorta di creatura sbucata da un universo parallelo a quello Tarantino, Slevin – Patto Criminale di Paul McGuigan (Gangster No 1) non solo è un film mediocre che transita sullo schermo senza lasciare tracce, ma è anche ricolmo di una ferocia becera e gratuita che lo rende sommamente antipatico.

All’inizio pare voglia ripercorrere, molto alla lontana certo, Yojimbo, con le due fazioni in lotta fra di loro e lo straniero che pencola tra i cattivi A e i cattivi B, ma di Kurosawa, ovvio, c’è ben poco.

Si tratta piuttosto di una storia di vendetta che ha inizio da un evento collocato lontano nel tempo e che oramai i due boss in lotta tra loro non ricordano neanche più, ma che invece qualcuno ricorda molto bene (anzi non ha mai dimenticato…).

A salvarsi è il cast, di quelli super, perfetto anche nei ruoli secondari (in particolare una Lucy Liu molto gattina, e non me ne voglia l’altra metà del cielo…), con lo strepitoso sir Ben Kingsley (ormai tale e quale a Marco Pantani…) che svetta su tutti rubando la scena a Morgan Freeman.

Tocca a Bruce Willis, statico come non mai, chiosare il film stesso attraverso la mossa Kansas City, che vuol dire guardare da una parte, a sinistra per esempio, e buttarsi poi a destra, una finta insomma, come il film a pensarci bene, che si presenta in un modo e invece è tutt’altro.

(Sergio Gualandi)

La storia nasce da lontano. Non solo dal nero più profondo che impasta l’anima di un individuo che cerca una vendetta antica, ma anche perché si tratta di una storia tanto classica per il cinema americano da trovare le sue radici più salde in quel mondo western oggi trasferito sempre più spesso in ambienti metropolitani criminali. E la storia è tanto classica da non apparire scontata e nemmeno poco originale. Come un cappotto di buona fattura e sempre elegante.

In Slevin (Patto criminale) il regista scozzese Paul McGuigan porta sullo schermo le disavventure di un giovane (Josh Hartnett) che, occupando casualmente l’appartamento di un amico a New York, si trova coinvolto in una guerra senza scrupoli tra due bande criminali, una tutta di neri guidata dal Boss (Morgan Freeman), e l’altra di ebrei al servizio del Rabbino (Ben Kingsley). Una guerra che dura da vent’anni e che vede i due protagonisti asserragliati all’interno dei loro palazzi/fortezza sistemati uno di fronte all’altro sullo stesso marciapiede, pur di non cedere all’avversario. Ma il figlio del boss muore ammazzato dai colpi di un tiratore appostato su un tetto. Scatta la scintilla. Da quel momento inizia il conto alla rovescia per la carriera criminale di abbronzati e circoncisi (come dice il solito sbirro newyorkese dall’aria sospetta e che appare come il terzo incomodo). Soprattutto parte il gran circo di equivoci, battute taglienti, riflessioni sul senso della vita e della morte, e naturalmente di morti, in egual misura da una parte e l’altra. Fino all’impeccabile storia d’amore che nasce tra tra Josh Hartnett e una briosa Lucy Liu.

Non ultimo Bruce Willis, che gironzola con il suo eterno sorriso, killer dai movimenti pacati, e capace di un gesto di generosità che non lo fa venire meno al suo ruolo preferito di attore. E’ un film dal ritmo intenso, forte di una sceneggiatura che cambia le carte in tavola della storia con una velocità sorprendente e rende il tutto un film coinvolgente, duro e divertente. Capace anche di coprire la grande truffa che aleggia su tutta la vicenda e che si scoprire nel finale grazie alle confessioni incrociate dei protagonisti che finalmente si guardano in faccia. E una volta tanto senza effetti speciali. Ma solo grazie a un uso disinvolto delle inquadrature.

(Angelo Marenzana)