Movimentando la magione per uno dei miei innumerevoli traslochi, mi è capitato in mano un vecchio numero ingiallito del The Guardian Friday Review, Friday July 10 19....98!

Una vita fa, altri lidi, altri amici e amiche. Ma perché l’ho conservato, mi sono chiesto, tutti questi anni? Ho aperto la prima pagina e ho capito subito. Ovviamente non vi tradurrò tutta la minestra, ma solo alcune parti salienti, pepate e mescolate dal sottoscritto, in un paio di puntate, forse tre, perché l’articolo è parecchio lungo anche accorciandolo: Il sottotitolo dice “sembrava l’offerta di una vita, andare a LA e avere il proprio romanzo adattato per il cinema da un regista maledetto... ma lavorare con William Friedkin è stato un incubo come i suoi film!”

Ciò che vi narrerò è quanto è successo allo scrittore Stephen Gregory... autore di The Blood of Angels, 1994 (è suo, non ha niente a che fare con quello di Michael Marshall appena uscito)

The Woodwitch, The Coromorant, tutte storie horror  e da qualche tempo anche sceneggiatore, ma la storia che vi racconto è meglio di un thriller! (Da non confondere con il noto autore di soap opere, non si assomigliano per nulla! E neppure stiamo parlando dello Stephen Gregory che gestisce la Gregory inn a Phoenix, Arizona e neppure quello che fa il parrucchiere a Chattanooga!)

 

“Quando è arrivata la telefonata, stavo scrivendo nella mia casa nel Galles. La voce dall’altra parte mi comunicò subito, senza tanti sotterfugi, quanto segue: William Friedkin, il regista vincitore di Oscar per The French Connection e The Exorcist aveva letto i miei libri e mi voleva subito a Hollywood per il suo prossimo film. Mi sarebbe interessato andare a Los Angeles per un incontro? Ovviamente, ho detto yes. Una settimana più tardi, una limousine nera è venuta a prendermi al LAX e mi ha scaricato al Bel Age Hotel a West Hollywood. Lì mi avevano prenotato una suite piena di fiori con messaggi di benvenuto a nome di William Friedkin, Paramount Pictures e Spelling Film. Quella sera, mentre mi rilassavo nella Jacuzzi sul terrazza della mia suite guardando le luci della città, (e con una bionda, aggiunge il traduttore, ma Stephen non lo ammetterà mai!), pensavo al mio primo incontro con il famoso regista, fissato al giorno dopo...”

Mentre uno legge la vicenda di Stephen, non fa altro che dire che invidia! Beato lui! É il sogno della mia vita!... sembra una storia finta, ma è proprio vera! Andiamo avanti, comunque, non è ancora finita e non è così semplice, anche se chi ha avuto a che fare con il mondo del cinema, sa che succede proprio così:

“La mattina dopo Billy Friedkin mi stava aspettando nel lounge dell’Hotel alle nove in punto. Era un tipo affascinante e curatissimo, potremo dire perfino bello per un uomo di cinquant’anni passati, rilassato da sapienti massaggi tailandesi e da una perfetta manicure. Andammo a fare colazione, una paio di uova strapazzate e lui ancora non mi parlava del progetto, si è messo a chiedermi di Caernarfon e il castello dove pensava io vivessi.”

“Dopo il breakfast nel ristorante dell’albergo, mi ha portato dal fiorario nella lobby...’” (eh sì cari miei quindici lettori di provincia, i grandi hotel hanno anche il centro commerciale con vari negozi, l’Hilton di Roma per esempio o il  Radisson di Mosca, tanto per rimanere vicino a casa!) “...e mi ha presentato al proprietario: "Questo tipo è stato il mio massaggiatore personale per un bel po', veniva a casa e sistemava anche i fiori, così ho deciso di dargli una mano ad aprirsi una fioreria."

Ha detto mentre lo scrittore Stephen già gongolava, pensando che se aveva sistemato così il fiorista, chissà come poteva lanciare lui che era scrittore! Dopo il passaggio dal fiorista, Stephen ha conosciuto Thom (sì, proprio scritto con l’acca!) Mount, il produttore. Thom era stato presidente della Universal Pictures (poveretto!) quando non era neppure trentenne e adesso dirigeva la sua compagnia e faceva film con Roman Polanski e Sidney Lumet. Insomma, Stephen racconta che Thom gli dà da riscrivere una sceneggiatura già esistente, una storia horror ambientata nel l’outback australiano, Stephen poteva cambiare tutto quello che voleva, doveva solo mantenere the essence of Evil (il gusto del Male?) che aveva attratto Friedkin. Nessuno però aveva idea di che cosa volesse veramente Friedkin e sicuramente neppure Friedkin stesso. Stephen aveva addirittura scoperto di essere il "quarto scrittore" sul progetto in development ormai da quattro anni! Thom gli dice che aveva due settimane di tempo per scrivere qualcosa che mantenesse vivo l’interesse di Friedkin, della Paramount Pictures e della Spelling film! (tipo lo stress da San Remo per un cantante... insomma!).

A Stephen viene dato un ufficio con vista su Wilshire Boulevard e

La Brea park. Un ufficio che anni prima era stato di Frank Sinatra. Per un giorno o due Stephen legge la sceneggiatura e il resto del materiale lasciato dagli altri scrittori, chiedendosi chi fossero. Ma il grosso punto di domanda era quale fosse la "natura del Male" che aveva visto Friedkin. Dopo due giorni, Stephen butta giù una storia completamente diversa, riscrivendo personaggi e trama e ambientando tutto in un piccolo villaggio in Bolivia. Scaduto il tempo concesso per la scrittura, Stephen manda tutto a Friedkin e viene subito convocato da lui, passando dal luminosissimo solo californiano al mondo crepuscolare della segretaria di Friedkin, Linda: le finestre erano chiuse, le persiane tirate e la sua scrivania illuminata da candele. Un cagnolino minuscolo dormiva in fianco al computer. Mazzi di rose secche (in inglese scrive dead roses...) erano appesi alle pareti tra cartelloni dei suoi film e foto di Friedkin con l’Oscar in mano. "Welcome to Hollywood" dice Linda, sorpresa dal fatto che lui, inglese, non vuole un te ma un caffè (chissà cosa offrirebbe a uno scrittore italiano, una pizza Domino’s con concentrato di pomodoro?) Dopo il caffè Stephen viene fatto entrare nell’ufficio del regista stesso. Ma Friedkin non è contento, anzi è piuttosto incazzato e non vuole sentire spiegazioni, dicendo che lui si basa su “I’m just seeing what’s on the page!”, quello che vede sulla pagina, non su quello che Stephen dice, è quello che è scritto che conta. Alla fine, Stephen riesce a dire la sua... Friedkin, a un tratto subito lo ferma: “Say it Again” dillo ancora, “said the last thing. I think you’ve got it. Say it again...” Friedkin all’improvviso cambia umore, da arrabbiato adesso è entusiasta e così contento di quello che gli ha detto Stephen che rimangono dentro un’altra ora a parlare, prima di riemergere sotto l’accecante sole californiano. Il giorno dopo, all’incontro con i produttori, Friedkin offre una performance incredibile, inarrestabile: pitching l’idea di Stephen in un modo così stravagante e colorito che tutti sono subito d’accordo per il cambio di personaggi, trama e location. Tutti stringono la mano a Stephen...

(continua nella prossima puntata! Sapeste cosa lo aspetta.)