L'eclettico Stephen King è ormai un narratore a tutto tondo, non c'è alcun dubbio. Dismessi i panni del "semplice" autore di romanzi dell'orrore, che forse in realtà non gli sono mai appartenuti, nel corso degli anni ha scritto storie di qualsiasi tipo, tutte caratterizzate dalla sua incredibile abilità nell'avvincere il lettore. Un narratore, insomma, non solo uno scrittore.

Con il ciclo della Torre Nera King ha sviluppato anche una sorta di riflessione a tutto campo sulle storie e sul loro ruolo; e in qualche modo questa speculazione riecheggia anche in questa opera minore, Colorado Kid. Minore per il numero di pagine e per il fatto di essere uscita negli States presso un piccolissimo editore; ma non certo minore per la qualità del romanzo o per la sua portata. Anzi.

Il "Colorado Kid" del titolo è un uomo di circa quarant'anni che viene trovato morto sulla spiaggia di un'isoletta del Maine (sì, ancora il Maine, lo scenario preferito da King per le sue storie). L'uomo era appoggiato a un cestino, sembrava deceduto per asfissia, aveva in tasca un pacchetto di sigarette (anche se, si scoprirà in seguito, non fumava) e una monetina russa.

Tutto questo accadeva venticinque anni fa. Eccoci nel presente: una giovane studentessa di giornalismo di Cincinnati chiacchiera amabilmente con due anziani giornalisti dell'isola, che le svelano come la loro vita professionale non conceda spazio a storie di cronaca particolarmente avvincenti, giusto un avvelenamento al pic-nic parrocchiale o la sparizione di qualche gatto. Con un'unica, particolarissima eccezione: quella appunto di Colorado Kid. Un caso non risolto che li vide impegnati venticinque anni addietro e che ancora oggi li perseguita.

Da qui parte la ricostruzione dell'evento, attraverso un fitto dialogo fra i tre giornalisti, che pian piano trascina anche il lettore all'interno di una storia senza fondo, un baratro narrativo. Qui King gioca col fuoco ma riesce ad uscirne miracolosamente illeso: pubblicizzato anche in copertina come "il primo mystery di Stephen King", Colorado Kid viola infatti una delle regole fondamentali del genere, ossia lo scioglimento finale con la rivelazione di tutti i retroscena della storia.

Qui invece abbiamo un mistero che rimane tale. Ma a parte un lieve capogiro per questa strategia così inconsueta, per il lettore non c'è nessuna delusione, anzi, semmai la consapevolezza di essere davvero di fronte a un mystery, cioè un mistero, nel senso più ampio e sacro del termine: perché se un mistero venisse davvero spiegato per filo e per segno, dopo che mistero sarebbe?

Tra le pagine, verso la fine, c'è anche l'esposizione di una sorta di manifesto, che traccia una fondamentale differenza tra cronache giornalistiche e storie, e ricorda che queste ultime, nella vita reale, non hanno un inizio e una fine chiaramente definibili. King dunque, con questo romanzo, non fa altro che proseguire idealmente ciò che aveva iniziato con gli ultimi volumi della Torre Nera; e dopo aver introdotto se stesso nelle proprie storie, ora avviluppa anche i lettori e li trascina con sé nel mondo della narrazione, dove una storia è tale solo se continua ad abitare nella testa e nel cuore di chi l'ha letta, completandola con la propria fantasia.