La genesi è quella del detective (per caso più che per vocazione) che nasce dalla penna di Sandrone Dazieri cresciuto a noir, spaghetti, western, centri e impegno sociale, elementi che riversa nel carattere del Gorilla e del suo Socio (la schizofrenica espressione del proprio alter ego) interpretati dal bravo Claudio Bisio che ci mette faccia, convinzione e cicatrici. La periferia cittadina (quella di Milano e Cremona) spopola di personaggi con lo spessore del fumettone: prostitute, centri d’accoglienza, immigrati clandestini, praticanti cenerentole filantrope, preti di confine e zone franche dove legale/illegale si possono conciliare con una bella fumata in compagnia. Ci si imbatte in facce amabili: Gigio Alberti, Bebo Storti, Antonio Catania (e subito pensi cosa avrebbe potuto fare Salvatores di cotanta trama e comitiva); facce spigolose: quella di Stefania Rocca e facce che da sole scuotono ricordi e incutono rispetto smisurato: quella di Ernest Borgnine straordinario caratterista (qualche titolo: Mucchio selvaggio, Quella sporca dozzina) che imbastisce il miglior punto nell’ordito da solo e in coppia col Gorilla. La cura del gorilla parte lento, indeciso e annacquato da una regia, quella di Carlo A. Sigon, titubante tra la citazione fine a se stessa e il timore di trovare soluzioni d’immagine non prevedibili (si veda come risolve il confronto del doppio: con uno specchio…) per poi rialzarsi dal tappeto della noia nella seconda parte e recuperare il tono giusto, anche se scivola con voluttà - ma era scritto - nella superficialità di intrecci naif e psicologie incise nel cemento. Nel finale, qualche brivido arriva, trovando finalmente il binario giusto del cinema di genere cui la pellicola aspira e si ispira, dopo aver saltato la fermata principale.