“Ogni quanto accadono fenomeni universali? – ogni quanto c’è un diluvio? Noi, in quinta, non volevamo, noi stessi, diluviare?” Questo passaggio fulmineo dà tutto il senso del romanzo-esperimento di Angelo Lumelli, La vecchiaia del bambino Matteo, edito da Qed Edizioni: un diluvio di parole che si riversano su chi legge, travolgendoci con il “destino caotico e formidabile” dei vecchi-bambini Matteo, Ernestino e Gustavo. Apparsi sulla soglia della vita nella campagna piemontese del dopoguerra attraversando letipiche scoperte quotidiane, compreso il mistero delle metropoli opulente del nord, nell’arco del libro i tre fioriscono e sfioriscono simultaneamente, crescono e si riavvolgono su se stessi. Bloccati in un passato perenne, simile al vagone fermo sul binario che appare in scena di apertura, al contempo i tre amici ci appaiono lanciati verso un futuro che è stupore e inseguimento, rappresi in un ricordo senza fine che come il nastro di Moebius si snoda e si riannoda per costruire, soppiantare, fare e disfare il presente, indovinare il futuro per riacciuffare il passato, e ancora atterrare nel futuro, ingannarlo, decostruire il sé e il senso del narrare pezzo per pezzo, come un urlo ininterrotto.

“Bisogna studiare il modo di abbandonare le parole”, dice ad un certo punto Gustavo, e sembra quasi di sentire l’autore sussurrarci con fare scherzoso che no, non è affatto un paradosso, ma come l’ossimoro contenuto nel titolo del romanzo, che unisce infanzia e vecchiaia in un unico binario fatto di energia materica e trascendente insieme, scrivere è un accumulare residui di epifanie per poi lasciarle andare, quelle parole così preziose che sembrano un continuo girovagare, un perdersi in mille giri nella “lotta degli specchi” fra il sé di oggi e il sé di domani, ma che sono in realtà ciò che rende viva l’esistenza e la fa vibrare. E viene la curiosità di sapere che cosa ribollisse dentro il “volume di prose vaganti” che l’autore stava preparando prima di morire: che fosse un continuo andirivieni di domande e risposte, uno stemperare diatribe e alleanze dentro il fiato oscuro delle sillabe? O forse un mare di sussurri, accumulati verso il grido finale di liberazione della morte? Lumelli, poeta, traduttore e scrittore, con la sua opera La vecchiaia del bambino Matteo non teme il potere irriverente e magico della parola, che rivela in tutta la sua essenza la natura poetica dell’esistere.