Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente
 

Abito in un quartiere residenziale di Palermo, distante un paio di chilometri dal centro città. Al mattino mi piace percorrere a piedi questa distanza e cercare un caffè con vista sull’area pedonale. Inizio quindi a scrivere verso le dieci, sorseggiando un orzo in tazza grande. Ho bisogno della massima concentrazione, per questo spesso indosso cuffie con rumori bianchi in sottofondo. Mentre scrivo me ne vado via, mi imbarco verso i luoghi che racconto e per due o tre ore mi ritrovo su un aereo che taglia in volo il Sudamerica o in una piazza nell’Ottocento siciliano. O, magari, a Serrapriola, dove sto benissimo.

Nello specifico, “Mondo è stato” è nato in due mesi di cattività perché ci trovavamo nel secondo lockdown, quando era lecito uscire ma non consumare al tavolo. In parte mi è venuto in soccorso un parco urbano vicino casa, per il resto mi sono chiuso nello studio mentre mia moglie e mio figlio seguivano le lezioni a distanza.

Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?
 

Per me prima viene la storia, poi vittime e assassini. Al centro di “Mondo è stato” c’è un’intera comunità: il delitto, i delitti, sono soltanto il motore che innesca l’azione. La mia formula si presta alla serialità proprio perché sia io, sia il lettore sappiamo benissimo che Serrapriola sta vivendo oltre la storia, anche mentre non scrivo. Da qualche parte zia Nannina sta scalando poste di rosario, don Orazio controlla che tutto (non) funzioni nel massimo della tranquillità, Kevin è a scuola e teme di essere interrogato.

Qual è il tuo modus operandi?

Tendo a seguire un ordine preciso e questa maniacalità è un relitto della mia “vita precedente” di ricercatore universitario. Tutto deve essere scritto nella mente ma, per evitare che qualche intuizione scivoli via, fisso l’intera trama in un paio di cartelle che io chiamo “plot”. Lì c’è tutto, al livello di azione, di intreccio, di snodi. Lo leggo e lo rileggo, lo immagino, ne verifico a mente la tenuta. A quel punto scelgo come raccontare e, in genere, proseguo per quadri che abbiano una loro uniformità.

Chi sono i tuoi complici? Confessa!

La prima complice è mia moglie, che mi consente di ricavare del tempo per svolgere un’attività che richiede grande dedizione. Senza di lei, scriverei soltanto sms. Poi ci sono due complici fondamentali e complementari: i libri e la vita. Se non fossi un appassionato lettore, non riuscirei a concepire altro che autoreferenzialità. E scriverei solo di letterarietà rimasticata se non tenessi bene aperti gli occhi sulla realtà. In questo mi sono molto utili le passeggiate mattutine, gli scambi per strada, i racconti degli amici ma soprattutto il contatto con i miei alunni delle scuole serali e carcerarie. 

Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!

Ad averne, di lettori! Sto sperimentando adesso, con questo esordio, di poterne acquisire di reali e di potenziali. Quando quattro o cinque anni fa ho iniziato a scrivere, non mettevo in conto di pubblicare. Pian piano, grazie a “Favi amari”– il libro sul cantastorie Nonò Salamone uscito nel 2020 per Lussografica – e alle “Cartoline dall’isola”, piccoli frammenti riflessivi associati ad un’immagine pubblicati sul mio profilo Facebook, si è creato un pubblico di lettori esigenti e appassionati. Credo che l’apprezzamento passi dal fatto che si accorgono che scrivo non per compiacerli, ma per portare avanti una riflessione personale che può – ma non per forza deve – farsi universale.

Per quel che riguarda gli inediti, ho un piccolo “comitato di lettura” composto da cinque o sei lettori cui mi affido per un primo impatto quando finisco un romanzo. Sono tutti molto misurati, ipercritici e poco entusiasmabili. Per questo mi piacciono.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere?

Che la realtà è poliedrica. Serrapriola è specchio della società, pur senza alcuna pretesa sociologica. Credo che di rado – forse mai – dipingerò un mio personaggio tutto bianco o tutto nero perché di rado – forse mai – mi è capitato di incontrare uomini così. Nel mio romanzo nessuno è senza peccato. In fondo, “mondo” è stato. Questa parola non va intesa come ‘pianeta’, ma come ‘passione terrena’, motore di turbamento. Ognuno muove verso qualcosa assecondando il proprio desiderio e, in questa corsa, finisce per travolgere ciò che gli si frappone davanti.