Tommaso Percivale è un uomo con una passione…

Narrare!

Raccontare storie, creare avventure, affabulare il lettore, guidarlo in mondi sconosciuti, ora meravigliosi e affascinanti, ora paurosi o carichi di inquietudini. E in questo nuovo romanzo non si smentisce.

Il suo ultimo lavoro è Human Hope, da poco pubblicato da Lapis edizioni, che rappresenta il seguito del fortunato Human (Lapis, 2015). Si tratta di un romanzo di fantascienza distopico in cui non mancano richiami e forti venature thriller, con una giovane e carismatica protagonista, l’inquieta e risoluta Cassandra che ha stregato il pubblico. Una lettura coinvolgente e carica di suggestioni e proprio per questo non potevamo non cogliere l’occasione per fargli alcune domande per Narramondo.

Human Hope è un romanzo che mescola sapientemente fantascienza e thriller investigativo, è stato difficile far coesistere i due generi?

Credo che la difficoltà sia sempre scrivere una bella storia. Rendere i personaggi veri e credibili, costruire uno scenario riconoscibile e pieno di carattere, trovare i tempi giusti, stupire, emozionare. Questo è difficile. Ma quando sei devoto alla storia, rispettare il genere non è nei tuoi pensieri perché è una cosa automatica. E se non rispetti il genere ma la storia è buona, va bene comunque. I confini dei generi sono sempre sfumati e aperti, il paradiso dell’esploratore. A volte capisci che un libro è di un certo genere solo dopo averlo scritto, o letto.

Nell’ambito dell’intreccio investigativo hai utilizzato la tecnica delle scatole cinesi. Ti è servito solo a far aumentare la tensione, o hai voluto nascondere qualcosa fra le pieghe della narrazione?

Mostrare e nascondere sono due operazioni che non esistono l’una senza l’altra. In questa storia ci sono molti personaggi che agiscono in modo più o meno indipendente e quasi sempre hanno obiettivi molto diversi. Cambiare punto di vista in base al protagonista di ogni capitolo si sposa bene con l’esigenza di gestire una situazione di questo tipo. In più ha l’effetto secondario di coinvolgere molto (e quindi anche disorientare un poco) il lettore, che si trova a vivere le emozioni di un personaggio ma anche ad assistere all’inevitabile, a qualcosa che accade al di fuori del suo controllo.

Ma la ragione vera di queste scelte, più che strategica, è di cuore. Io mi sono innamorato di questi personaggi. Volevo seguirli, scoprire cosa potevano nascondermi, stanarli, e lasciarmi sorprendere. E infatti, come al solito, pur avendo un’idea chiara di dove volessi arrivare, il come è cambiato tante volte nel corso della stesura.

Questa storia è piena di ombre perché la luce arrivi più forte e più inattesa. E perché accanto alle verità (o alle bugie) più conclamate ci sia spazio anche per quelle verità non dette che il lettore intuisce da sé. Il mondo di Arcade non è soltanto il mondo che io racconto: è anche, e soprattutto, il mondo che il lettore vive.

La tua è una storia di grandi e contrasti e contrapposizioni da cui emergono grandi domande esistenziali. È ancora questo il compito della letteratura, porre domande che permettano al lettore di scavare dentro se stesso?

Senza il minimo dubbio.

Leggere dev’essere un’attività emozionante e divertente, e questo vale in modo particolare nella letteratura per ragazzi. Ma quando una storia ti emoziona, ti travolge anche con il suo fiume di domande e riflessioni. È il potere delle storie: non (solo) quello di raccontare, ma di creare nuovi mondi.

Non ho mai deciso a tavolino di raccontare la storia di Cassandra e Cole per sollevare interrogativi etici o filosofici. Ma la loro storia ne è piena, è piena di dubbi e dilemmi, luci e ombre, perché Cassandra e Cole sono due personaggi vivi, che agiscono, scelgono e cambiano il loro mondo. E del resto, è possibile raccontare storie ricche e sfaccettate senza perdere di mordente.

La fantascienza riesce benissimo in questo. È il genere migliore per mettere a nudo i paradossi della nostra realtà. Nello stesso istante puoi assistere a sparatorie di raggi laser e domandarti cos’è giusto e cosa è sbagliato.

Un romanzo ti deve lasciare qualcosa oltre ai ricordi dei fatti. Le emozioni e i pensieri che rendono viva la lettura sono ciò che conta davvero, e che resta con te anche dopo l’ultima pagina.

Qual è il posto di Cassandra nel suo mondo? E nel nostro?

Cassandra è una creatura ibrida, a cavallo tra il mondo dei robot e il nostro. Il suo ruolo è quello di collegare due sfere lontanissime tra loro, così diverse da essere apparentemente incompatibili: la tecnologia e l’umanità.

Ma Cass è anche l’evoluzione di questi due mondi. Esplorando se stessa, diventa una guida per gli altri e offre uno sguardo nuovo sul futuro.

All’inizio è una profetessa che non viene creduta perché riesce a guardare troppo lontano, oltre i confini del credibile – ma poco a poco gli altri personaggi imparano a seguire il suo sguardo, perché gli unici confini che esistono sono quelli che fissiamo noi.

Amo Cassandra per la sua temerarietà, perché decide di fidarsi di quel che le accade dentro, invece di combatterlo o giudicarlo sbagliato. Cassandra è quel che siamo noi quando cambiamo, cresciamo, ci lasciamo trasformare dalle cose che ci succedono e dalle persone che incontriamo.

E quindi se la sua presenza è fondamentale per i robot, è altrettanto preziosa per noi, perché ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda da vicino: il senso della nostra vita.

La saga Human evolverà ancora? Quali sono i tuoi prossimi lavori in cantiere?

Cassandra e tutti i personaggi di Human sono riusciti, con le loro scelte e le loro vite, a cambiare il mondo in cui vivevano. In alcuni casi di tratta di un cambiamento avviato; in altri, di una trasformazione netta e definitiva. Volevo portare Cassandra fino alla sua piena realizzazione e lì sono arrivato. Al momento, dunque, non prevedo di tornare ad Arcade.

Per quel che riguarda le mie prossime storie, questi ultimi anni di lavoro sono stati molto intensi e mi hanno regalato tante soddisfazioni, ma anche un po’ di stanchezza. Ora sto leggendo molto per ricaricare la testa e mi preparo a scrivere una storia d’avventura che mi vortica dentro da parecchio tempo. Non vedo l’ora di cominciare.

Qual è il tuo rapporto con la letteratura di genere? Qual è il tuo immaginario di riferimento?

Ho un eccellente rapporto con la letteratura di genere. Sono un avido lettore di gialli, thriller e, come forse s’è capito, di fantascienza. Human e Human Hope sono figli di questa passione ed è possibile trovare citazioni e rimandi disseminati in entrambi i romanzi. L’influenza più forte è sicuramente quella di Asimov, un uomo geniale che ha costruito le fondamenta su cui si erge tutta Arcade.

Se devo indicare un libro dei suoi che mi ha particolarmente influenzato è Abissi d’Acciaio, un giallo di fantascienza (due generi! Ne abbiamo parlato prima!) in cui due poliziotti, uno umano e uno robot, devono collaborare per risolvere un caso.

Ho poi un debole per il cyberpunk, quella particolare nicchia di fantascienza inventata da Bruce Sterling e William Gibson.

Ma non mi sono limitato ai romanzi. Per esempio in Human c’è qualcosa di Nathan Never, c’è Psycho Pass (un anime che ho amato molto), e c’è molto di Ghost in the Shell, in cui un cyborg (cioè un essere umano con impianti sintetici) si interroga sul senso della sua esistenza e della sua identità.

In questo immaginario di altissimo livello e di grande impatto ho cercato di ritagliare una storia tutta mia, un modestissimo contributo al genere di cui, però, sono molto contento.

Cassandra è la tua protagonista investigatrice, una ragazza androide che lotta per la sua identità. Quanto c’è (se c’è) in lei di Roy Batty, il personaggio interpretato da Rutger Hauer in Blade Runner?

Roy Batty lotta per la sua sopravvivenza. Lui e gli altri Nexus 7 si sono scoperti prigionieri di una data di scadenza e devono fare i conti con una morte certa. Lo trovano ingiusto perché i loro corpi potrebbero funzionare molto più a lungo. Gli esseri umani hanno loro imposto un limite artificiale perché temevano di aver creato dei nuovi dèi, e in generale gli dèi non sono propensi a lasciarsi controllare dagli uomini.

E se è vero che il controllo gioca una sua parte anche nella vicenda di Cass, la gioca in modo diverso.

Cassandra ha altri problemi, che non riguardano la sua sopravvivenza ma la sua vita. Il modo in cui vive. Cass ha scoperto dentro di sé qualcosa che va oltre le specifiche di fabbrica a lei imposte, qualcosa che influenza le sue azioni in modo irrazionale e si ribella ad ogni tentativo di essere governato da un sistema di funzioni e subroutine. Come si deve comportare? Deve cercare di domare questi segnali indomabili? Deve fingere che non esistano? O li deve cavalcare, invece, lasciandosi portare in un luogo sconosciuto?

Come ci comportiamo, noi, quando scopriamo di sentire qualcosa che non dovremmo? Quando ci scopriamo diversi da come pensavamo di essere?

Da una parte abbiamo un limite artificiale, dall’altra un’apertura verso l’infinito.

E per finire… se dovessi scegliere una colonna sonora per Human Hope, quale sarebbe?

È possibile rispondere qualcosa di diverso da Vangelis?

Ci provo.

Mentre lavoravo a questo progetto ascoltavo la sfrenata tecno prodotta per le varie incarnazioni di Ghost in the Shell. In particolare vedrei bene “Inner Universe” di Yoko Kanno, usata nei titoli di testa della serie TV Stand Alone Complex (un capolavoro!). Inner Universe, anche il titolo è perfetto!

While I am alive, I can try not to fall while flying,

nor to forget how to dream…to love…