Nei giorni in cui La città ideale è ancora nelle sale cinematografiche, da Londra arriva l'eco dell'impresa di Mark Boyle, un trentaquattrenne laureato in economia e finanza, che da più di quattro anni vive senza soldi nelle campagne del Somerset, con la precisa intenzione di dimostrare che è possibile farlo. Il protagonista del film, l'architetto Michele Grassadonia, ha un intento simile: fervente ecologista, prova a vivere in città per almeno un anno senza energia elettrica né acqua corrente. E quasi quasi ci riesce, non fosse che, durante un diluvio che universale non è – ma è del tutto singolare – gli eventi prendono un piega misteriosa, kafkiana e surreale. 

La prima regia di Luigi Lo Cascio non delude, anzi. Non fosse per qualche sequenza di troppo, si potrebbe parlare di esordio col botto. Il suo è un cinema impegnato (a muovere suggestioni, idee, emozioni), ricercato e ricco, mai cerebrale e fino a se stesso. La forza della pellicola è tutta qui: nel calare lo spettatore in un'atmosfera paranoide senza schiacciarvelo dentro. 

L'inquietudine che avvolge La città ideale è un colore psichico caro al noir, come coerente col questo linguaggio è il tema della ricerca della verità che, stando alle parole del regista, si pone non solo come esperienza di conoscenza o come istanza morale, ma sopratutto come unica possibilità di salvezza.