Ha in mano l’asciugamano da restituire.

- Mi chiamo Felice, per gli amici Cino - dice allungando la mano. - Angela. - Scusa per prima, ma qui c’è troppo movimento per i miei gusti. Alle volte perdo la pazienza. - Capisco. Anzi, scusa tu. Sono venuta con la mia amica che conosce Stefano. Il nostro scaldabagno è rotto e lui ci ha offerto una doccia qui da voi. Cino ha messo su l’acqua per la pasta.

- Studi?

- Terzo anno di architettura.

- Mangi con me?

- Non vorrei disturbare.

- Non disturbi.

- Intanto aspetto Giulia...

- La biondina che si è infilata nella camera di Stefano?

- Lei. E tu cosa fai?

- L’operaio.

- E ti piace?

- Figurati! Al mio paese non c’è lavoro. A me non andava di farmi mantenere dai miei. Così sono venuto su e ho preso il primo posto che ho trovato.

- Da dove vieni?

- Calabria

- Non si direbbe dall’accento.

- Sono qui da cinque anni.

- E non sei ancora riuscito ad avere una casa tutta per te?

- Manca poco.

- Allora, buon appetito. I due mangiano gli spaghetti, senza parlare, seduti al tavolo, uno di fronte all’altro. La ragazza ogni tanto fa filtrare tra le ciglia uno sguardo. Lui tiene gli occhi incollati al piatto, come se non ci fosse altro al mondo.

Quando ha finito di mangiare si alza.

- Io devo andare. È stato un piacere. Se hai bisogno di fare la doccia, non fare complimenti.

- Grazie.

La ragazza sorride.

Cino pensa che è proprio bella.

Marzo 1979

Roberta

Dalla finestra entra una luce pallida. È un giorno come tanti. Roberta si alza dal letto. Raggiunge il bagno camminando con gli occhi semichiusi e tastando il muro come i ciechi. Ha il risveglio difficile. Insieme a lei si sveglia il mostro rabbioso che ha dentro. Una bestia privata di qualcosa che qualcuno le ha negato. Per evitare la madre, si chiude nel bagno. Si siede sulla tazza e aspetta che il cervello, cominciando a funzionare, renda più accettabile la sua giornata.

Si spruzza il viso con l’acqua fredda e si guarda allo specchio. Gli occhi sono ancora appannati, ma il sangue comincia a circolare, l’ossigeno ad arrivare, la coscienza a tornare. Lo specchio le rimanda l’immagine di una ragazza comune, non fosse per quegli occhi grandi e obliqui che le danno un’aria quasi esotica. Gli zigomi alti aggiungono personalità al viso dove naso e bocca sono anonimi. Soprattutto gli occhi brillano di una luce famelica, selvaggia, che ipnotizza gli uomini e preoccupa la madre.

- Roberta, sei lì?

La donna bussa alla porta del bagno.

- Sì. Cosa vuoi?

- risponde sgarbatamente.

- Ti ho sentito alzare... Ti ho preparato la colazione.

- Lo sai che la mattina non ho fame.

- Ma devi mangiare qualcosa. Apre di scatto la porta del bagno.

- Mamma, piantala di trattarmi come una neonata. Mangerò quando avrò fame.

- Cercavo di essere gentile. Siamo solo io e te in questa casa. Da quando tuo fratello abita con la sua ragazza non lo vedo più e tuo padre è sempre via...

- Lascia stare la solita lagna, per favore. Federico ha fatto bene a togliersi dalle palle. Appena posso lo faccio anch’io. E, quanto a papà, sapevi quello che ti aspettava sposando un militare.

- Sì, sì, hai ragione. E sono contenta che abbia fatto una bella carriera. Ma per me è stata dura.

- L’abbiamo condivisa quella vita, non ricordi? In quanti posti abbiamo abitato? Quante caserme abbiamo girato? Quante scuole ho dovuto cambiare? Quanti amici lasciare?

- Non ti arrabbiare. Dicevo così per dire.

- Parli sempre a vanvera, come se quella vita l’avessi fatta solo tu. Sin da quando ero bambina ho visto solo caserme, uomini in divisa e armi. La nostra vita era disciplinata come se fossimo anche noi dei militari. E adesso lasciami stare che devo andare a vestirmi.

- Sì. Hai ragione, scusa. Allora il caffè e latte non lo vuoi? Ti avevo preparato anche una fetta di torta. L’ho fatta ieri. È buona.

- Mangiatela tu.

- Già. È quello che faccio.

- Cosa hai detto?

- Niente. Niente. Io cucino, cucino, poi nessuno viene a cena e quello che ho cucinato resta lì. Allora io che faccio? Mangio. Mangio e ingrasso. Ingrasso e mangio. E tuo padre non viene a casa quasi mai. Cosa credi che non lo sappia che va dalla sua amante? Non mi va bene. Certo che non mi va bene, ma cosa posso fare? Non posso lasciarlo. Non ho un lavoro. Non ho più nessuno della mia famiglia. Alla mia età dove vuoi che vada? Ora che non lo seguiamo più in giro per il mondo e che abbiamo una casa, me ne sto qui. A cucinare e a mangiare. A mangiare e a cucinare.

- Se parli mentre sono in bagno non sento quello che dici.

- Non ti preoccupare. Niente di importante. Parlavo da sola... Esci? Dove vai?

- Mamma, piantala di farmi queste domande. Guarda che forse stasera non torno. Ciao.

Roberta sta per chiudere la porta.

- Anche tu!

- Come?

- Niente. Niente.

© 2013 Fratelli Frilli Editori