“Serena, ti devo raccontare una cosa che non ho mai detto a nessuno. Una cosa che riguarda la mia famiglia. Però tu mi devi giurare di non ripeterlo mai ad anima viva.”

“Giuro” alzò un sopracciglio, vagamente preoccupata.

Poi io le dissi tutto e le sue urla si sentirono echeggiare a lungo, nel campo bruciato di Polizia Assassina.

E dopo mi lasciò.

 

Il morso degli angeli (uscito per Senzapatria Editore) è un romanzo breve – o racconto lungo, siamo sempre lì: 60 pagine –, scritto dalla giovane – e talentuosa – autrice bolognese Maria Silvia Avanzato, con la sua narrazione densa e corposa, ricca di immagini, che spazia dall’immediato dei dialoghi a sfumature più raffinate. Un gioiellino di libro incastonato nella collana “On the road”, il cui nome dice tutto: è stata ideata come occasione per letture brevi ma intense destinate ai viaggiatori di ogni tipo – quelli che transitano alla stazione o negli aeroporti, ma anche quelli che viaggiano solo con la mente, i visitatori di librerie o di altri luoghi immaginari.

Ivo ha trent’anni, sua madre lo considera un incapace – così almeno urla al marito, mentre lo accusa di essere pazzo – e Serena, la sua ragazza, non è per sempre. Oltre a queste premesse, ruotano altri elementi non proprio secondari, un po’ presenti un po’ passati, come due bambini che s’incontrano in soffitta, un vecchio negozio di antiquariato, un’autostrada percorsa solo per carpirne i graffiti romantici, le invettive, o le disperazioni che di tali segni rimangono.

«Vedi, amico mio, io ho speso trent’anni a leg­gere quello che la gente scrive sui muri, a chie­dermi chi ha scritto cosa e perché. È chiaro che qualcuno deve pensare a loro quando è il mo­mento. Come quegli incredibili Ti Amo che ho letto in questi anni. Che un giorno spariscono dietro una colata di vernice o vengono tranciati da un Vaffanculo a spray nero».

Tra un’ambientazione che sfuma tra le terre laziali, l’autostrada e la sfera onirica dei ricordi, si inserisce inoltre – sempre come ritaglio di carta e di vita o anticipazione inquietante di un futuro svolgimento – l’ombra di uno scrittore, «Massimo Balillo, brillante autore del panora­ma letterario moderno» malato di can­cro e latore, lo si capisce presto, di un mistero.

L’autrice sparpaglia gli ingredienti – ma lo fa con cognizione e con garbo – che riunirà solo alla fine. Quando si conclude la lettura, ciò che resta di più è comunque il ritmo della sua scrittura, specialmente nei momenti descrittivi, come in questa fotografia di una casa che l’immaginazione riveste di sembianze horror:

«L’atrio di casa mia odora di polvere, uno zer­bino stinto sta obliquo in mezzo al corridoio, tut­te le porte sono chiuse, sverniciate: ogni stanza è un occhio stanco e le porte calano come palpebre sanguinanti sui segreti delle pupille. È tutto vuo­to, rannicchiato su se stesso, aspetta me.

Il telefono grigio sul tavolino basso mi osserva con la sua rotella immobile. Una dozzina d’occhi, uno per ogni cavità. Un dito in ogni cavità».