Con il notaio criminale Niccolò Taverna…

Il segno dell’untore di Franco Forte, Mondadori 2012.

Milano 1576 al tempo della peste. Il notaio criminale Niccolò Taverna è chiamato a risolvere due casi: il furto di un candelabro di Benvenuto Cellini nel Duomo e l’omicidio di un uomo importante, Bernardino da Savona, commissario della Santa Inquisizione, trovato morto strangolato e pugnalato al cuore in una casa modesta imbrattata dagli untori.

Qualche spunto “Alto, con il naso forte e i capelli neri ben tagliati, il naso glabro”, un bell’uomo tormentato dalla morte della moglie Anita che si trova invischiato nella lotta fra potere temporale (governatore Don Luigi Requenses) e potere spirituale (arcivescovo Carlo Borromeo). Se a ciò si aggiunge la Santa Inquisizione si capisce come il povero notaio, tirato da tutte le parti, debba barcamenarsi, pronto a riconoscere l’autorità superiore ma pronto anche a far valere, lui duro e cocciuto, il peso del suo ruolo e della sua intelligenza, tesa a cogliere l’insieme del problema e non a concentrarsi su un singolo dettaglio. Coadiuvato in questa sua ricerca da due aiutanti: dalla figura gigantesca di Rinaldo Caccia che, nonostante “lo sguardo vaporoso e l’espressione bovina” teneva “una mente lucida e sveglia” e da Tadino Del Rio, le cui argomentazioni servono a rendere più complessa e intricata la soluzione dell’enigma.

In breve. All’interno della stanza del delitto viene trovato del sangue che non appartiene al morto e sono rinvenute delle garze con umore infetto. Nella medesima notte viene portato via da una abitazione dello stesso palazzo un ragazzo colto dalla peste e sua madre sparisce.

Domande continue e assillanti (che ci faceva, per esempio, un uomo potente come Bernardino da quelle parti?), nuove possibilità di soluzione che si accavallano e si schiudono, l’incontro con una giovane e avvenente fanciulla, Isabella (forse qualche sua improvvisa apparizione di troppo), che rimescola il sangue al nostro Taverna e inserisce una delicata nota d’amore.

Al centro della storia l’indagine, direi moderna, lastricata di ostacoli e ricca di sorprese che si svolge nell’arco di ventiquattro ore, ma anche Milano con le sue strade, le sue piazze, le sue chiese, il monastero ecc… (ricordi manzoniani sopiti da tempo) con la sua atmosfera di paura, di intrighi, di schifo, la peste, i monatti, gli sgherri, le impiccagioni, le ruote di tortura. Atmosfera resa a tratti più stemperata attraverso un tocco di leggera ironia, il furto iniziale che si ricollega sapientemente al delitto. Una folla di personaggi ben calibrati, una prosa densa e compatta pronta a sgusciare tra una dotta documentazione storica e la fantasia di un romanzo popolare.

Ottimo.

A fine libro l’incipit del prossimo. C’è un tizio che dalla finestra si diverte a far fuori esseri umani con la balestra…