Diretto da Joe Wright, lo stesso regista del recente Il solista (con Robert Downey Jr. e Jamie Foxx), Hanna è interpretato dall’emergente diciasettenne Saoirse Ronan, già figlia di Catherine Zeta-Jones in Houdini - L'ultimo mago e assoluta protagonista di Amabili resti.

Hanna è una ragazza allevata dal padre Erik (Eric Bana) nelle sperdute lande scandinave. Non un’adolescente come le altre. E lo si capisce immediatamente dalla scena iniziale del lungometraggio dove la ragazzina caccia un cervo con arco e frecce, finendolo poi con un misurato proiettile esploso da una Luger. Per qualche secondo, nella corsa atletica e controllata della ragazza durante la caccia, viene alla mente l’inseguimento alla preda di Occhio di Falco/ Daniel-Day Lewis ne L’ultimo dei Mohicani del grandissimo Michael Mann.

“Ti ho mancato il cuore” Hanna (Saoirse Ronan)

Hanna è orfana della madre e vive isolata dal mondo. Il padre, un ex agente della CIA, la istruisce alle armi, a molteplici lingue, alle scienze, con una cultura nozionistica ed enciclopedica. La resistenza e la disciplina sono il corollario a un’educazione che ha il preciso obbiettivo di farne una perfetta assassina, pronta a reagire in qualsiasi evenienza.

Occorre solo del tempo ad Hanna per staccarsi da quella monade di ghiaccio che è tutto il suo universo, un tempo che scadrà quando la ragazza comprenderà che la sua immaginazione non è più sufficiente a tradurre in azioni ed emozioni le letture del padre, ma deve essere sorretta da l’esperienza personale in quel là fuori che non conosce realmente.

Il film si dipana tra alti e bassi, definendo i contorni della trama minuto dopo minuto e finendo per diventare una spietata caccia ad Hanna e suo padre da parte della crudele Marissa Wiegler, interpretata da Cate Blanchett, dove chi viene coinvolto non fa una bella fine.

Diciamolo subito. Il film non ci ha convinto del tutto. Il paragone con Leon di Luc Besson, con protagonisti unici come Jean Reno e Natalie Portman (sì, proprio lei, premio Oscar per la sua interpretazione ne Il cigno nero) è forse addirittura generoso. Anche lì una ragazzina - Mathilda -veniva addestrata a uccidere in un percorso drammatico e intenso, ma la forza e la poesia del film francese lo rendono un capolavoro assoluto. Il sicario semianalfabeta, che vive un'esistenza alienata, in una apparente assenza di emozioni, scopre cosa vuol dire l’amore in una successione adrenalinica di eventi che lascia senza fiato.

“Adoro questi brevi momenti di quiete prima della tempesta. Mi riportano sempre a Beethoven. Riesci a sentirlo ?! È come... quando poggi l'orecchio sull'erba. Riesci a sentirla crescere, riesci a sentire l'interno che passsssa! Ti piace Beethoven?! Adesso te lo faccio sentire...” (Stansfield - Leon)

In Hanna tutto questo non si percepisce, poiché la macchinazione diventa artificiosa, i personaggi impersonali e monolitici. Su tutti un improbabile Eric Bana che per tutto il film veste giacca e cravatta, non proprio l’abbigliamento più consono a un uomo in fuga…

La trama da metà film in poi è un po’ prevedibile. L’assenza di veri colpi di scena non dà sprint alla pellicola.

L’unica traccia di vivida umanità viene fuori da una breve quanto intensa amicizia di Hanna con una coetanea, casuale compagna di viaggio-fuga. Un po’ troppo poco per un regista che si è cimentato addirittura in una trasposizione di Orgoglio e pregiudizio.

Belle invece le ambientazioni, sopra tutte quella onirica del parco giochi di Berlino in stato di abbandono. Nel 1969, la DDR fece costruire il suo primo parco dei divertimenti del quartiere di Plänterwald. Il Kulturpark rimase l'unico parco di questo genere nell'intera Germania Est. L'emblema era la grande ruota panoramica visibile da lontano. Nel nuovo millennio, dopo l’occidentalizzazione, il gestore privato ha dichiarato bancarotta. Sono dieci anni che la superficie è ormai inutilizzata ed esposta al deperimento e al vandalismo. Un bel colpo l’averla scelta come scenografia del finale, anche perché ha dell’incredibile pensare che nella perfetta Germania ci siano aree in stato di abbandono.

Ed è nella scena finale del film, in particolare con un’inquadratura in campo largo davvero geniale, che Joe Wright si rivela definitivamente dopo aver lasciato traccia del suo intento nella prima parte del film, in una scena notturna, facendoci capire le sue vere intenzioni. Quella di dare una lettura in chiave moderna delle favole dei fratelli Grimm, imponendo ad Hanna un terribile percorso di conoscenza salvifico, che non lascia spazio a compromessi.

“A volte anche i bambini sono persone cattive!” Marissa Wiegler (Cate Blanchett)