Missione fallita: l’invasione del noir olandese sulle nostre coste (letterarie) dovrà aspettare tempi migliori.

Già la produzione del Benelux in generale è sempre stata in Italia straordinariamente sottorappresentata: con un Belgio (in questo caso fiammingo) che solo in questi ultimi tempi sta sollevando timidamente la testa con Pieter Aspe; e con un’Olanda che dalle glorie (ormai lontane) di Van Gulik – col suo Magistrato Dee – e di Van de Wetering – con la sua inossidabile coppia di sbirri Grijpstra e de Gier – non ci ha offerto più grandi novità; tanto che forse i Paesi Bassi più intriganti sono quelli della città immaginaria di Maardam del giallista svedese Nesser.

Poi ci si mette a peggiorare la situazione anche la quarantottenne nederlandese Daniëlle Hermans che, dopo aver saggiato gli impervi sentieri del noir storico con L’eredità Winckel, con L’Ordine dei 15 tenta l’ardua e disinvolta commistione tra presente e passato che – a nostro avviso – contraddistingue sempre lo scrittore non del tutto a suo agio con la documentazione storica: esistono infatti sia in Italia (due nomi a titolo di esempio: Danila Comastri Montanari e Alfredo Colitto) che in Europa (Ellis Peters su tutti) ottime prove di thriller completamente ambientati in epoche storiche ricostruite minuziosamente sui documenti e giocati interamente su psicologia e metodi investigativi contemporanei allo svolgimento della vicenda.

La Hermans invece parte da un fatto storico abbastanza noto nei Paesi Bassi (il prosciugamento dei Lago Beemster agli inizi del 1600) e da lì imbastisce – attingendo a piene mani all’arsenale complottistico ormai diffusissimo a livello internazionale – un’oscura trama che, allora come ora tessuta nell’ombra da potentissimi gnomi della finanza e dell’economia olandese, tenta di riportare il piccolo regno ai fasti dell’antico impero commerciale seicentesco.

La vicenda prende così le mosse da un misterioso delitto: dopo aver presentato infatti il suo progetto alla segretissima “loggia” dell’Ordine dei 15, volto a creare in Olanda un centrale mondiale del monitoraggio di tutti i progetti che hanno a che fare con la regolamentazione delle acque, il brillante (e odiatissimo) ingegnere idraulico Berend Adriaans viene trovato ucciso con la testa conficcata nell’argine di una diga e con un dito amputato; sorte singolarmente simile a quella capitata a un imprenditore del 1600, Jacob Poppen, coinvolto nel costosissimo progetto del prosciugamento del Beemster e poi ritiratosi dall’affare in circostanze poco chiare.

A investigare sulla morte di Adriaans – mentre la Hermans continua a giocare sui due livelli storici per suggerire un’inquietante parallelismo tra i fatti criminosi seicenteschi e quelli contemporanei – troviamo una scontatissima coppia investigativa della polizia di Alkmaar: da un lato c’è il mastodontico detective Rob van Helden, odiato dai colleghi (ma lo si capirà compiutamente solo alla fine) per aver incastrato a suo tempo un commissario corrotto; dall’altro c’è la tirocinante Nicole Hessels, detta Nick, dotata di un’incredibile sensibilità a profumi e odori, che tenta, sotto la guida di Rob, di arrivare all’agognatissimo posto di agente investigativo, bramato a dispetto delle diverse aspettative dei genitori.

Tutto potrebbe rientrare in uno scontato intreccio di medio livello se non ci fosse l’insistenza dell’autrice nel voler convincere il lettore dell’assoluta immutabilità dell’animo umano, allora come ora affascinato da denaro, potere e prestigio: il che, in una logica capitalistica del profitto, può indurre ad agire illegalmente (aste truccate, bilanci fasulli, frodi) pur di sconfiggere la concorrenza.

L’intento “pedagogico” (ma sarebbe forse più giusto definirlo ideologico) è talmente scoperto che persino l’emozionante caccia all’hard disk di Adriaans, che contiene il famigerato e segretissimo progetto sponsorizzato dai Quindici, e i ripetuti colpi di scena nelle ultime pagine (con i “buoni” infiltrati tra i “cattivi” e i presunti colpevoli che si scoprono innocenti) passano in secondo piano.

E il finale moraleggiante – ancorché non consolatorio, che ci guardiamo bene naturalmente dallo svelare, accentua la pesantezza dell’intero apparato che non regge a una disamina più severa.

Che dire?

A nostro avviso andrebbe processato Dan Brown non tanto per le “patacche” a suo tempo rifilateci, peraltro con grande maestria narrativa, nei suoi thriller esoterici, quanto piuttosto per aver sdoganato la tendenza a risolvere i problemi letterari del noir con il ricorso a complotti e a società più o meno fantasiose: come fa appunto, lei sì senza grande maestria, la nostra autrice.

Voto: 4.5