A qualcuno potrebbe sembrare inutile la distinzione che qui facciamo tra Catalogna e Spagna propriamente detta: ma tutti sanno come questa regione autonoma del regno iberico abbia dietro di sé un tale retroterra culturale da poter essere tranquillamente equiparata a un qualsiasi stato indipendente. Il catalano poi è una vera e propria lingua all’interno del gruppo neolatino e Vázquez Sallés ha scritto orgogliosamente questo noir (che inclina in verità verso la spy story), come si evince dal titolo originale, proprio nella sua lingua madre: tanto è vero che la versione in castigliano è stata curata da un normale traduttore e non dall’autore stesso.

Anche l’ambientazione iniziale di Papaveri neri per Roddick fa capo alla capitale, Barcellona, ma, come si conviene a un romanzo d’azione, ben presto il nostro eroe, un ex agente segreto tedesco occidentale, Michael Roddick, che vive la sua tranquilla pensione come ristoratore assieme alla figlia Elena, è costretto a schizzare da una parte all’altra del continente, dalla Provenza alla Val d’Aosta per arrivare prima a Berlino e poi in Baviera per salvare la vita della giovane minacciata dai suoi amici di un tempo.

Lo spunto iniziale, di per sé non originalissimo (un’ex spia che si trova a dover saldare i conti che ha lasciato in sospeso quando ha lasciato il servizio), è però collocato in un contesto storico assai originale: la transizione dalla Guerra Fredda all’unipolarismo statunitense con il pericoloso scatenarsi di tutti i cani sciolti che non sanno reinserirsi in un mondo ormai troppo cambiato.

Così in un vorticoso valzer di doppiogiochisti e di donne non più fatali, di affascinanti spie sovietiche con prole e di stanchi e cinici uomini dei servizi occidentali la vicenda precipita (a dire il vero con una certa fretta, visti i presupposti) verso un finale che lascia debitamente a bocca aperta anche il lettore più smaliziato: ma la speranza di una vita migliore che s’intravede per Roddick e la figlia (peraltro non sua, ma adottata) in conclusione di romanzo stride un po’ col disperato e al tempo stesso ironico cinismo del protagonista.

Una buona storia dunque nel solco di una tradizione, quella iberica in senso lato, che si sta affermando a livello europeo?

Vorremmo dir di sì, ma non possiamo ignorare qualche particolare di non poco conto.

Che Daniel Vázquez Sallés, per esempio, è sì produttore, regista, critico cinematografico, ma soprattutto figlio di quel Manuel Vázquez Montalbán che, con le avventure del suo detective privato Pepe Carvalho, ha imposto in Europa e nel mondo un originalissimo modello di giallo catalano.

Che Pepe Carvalho, guarda caso, ha un passato da spione al soldo degli americani anche se con una formazione marxista (e Roddick ha partecipato, da sinistra, al Sessantotto parigino prima di andare a servire la sua patria nei servizi).

Che il suddetto Roddick ha una cultura gastronomica sopraffina (esattamente come Carvalho, anche se la esercita in proprio nel suo ristorante e non privatamente solo per gli amici) che l’autore, in modo anche troppo compiaciuto, esibisce per tutto il romanzo.

Che per tutta la storia serpeggia una certa vena di anticapitalismo (che spesso diventa antiamericanismo), cara a Vázquez Montalbán, anche se più controllata rispetto a quella del padre.

E allora come salutare questo esordio?

Come il promettente inizio di una carriera letteraria? Come il divertissement di un figlio d’arte che decide di emulare il padre? Come il devoto omaggio a un monumento, qualunque sia il giudizio sulla sua opera, della cultura catalana di fine Novecento?

Nel dubbio assolviamo il giovane (si fa per dire, ha quasi quarant’anni) Vázquez Sallés in attesa della prossima (se ci sarà) avventura di Michael Roddick.

Voto: 7