Nel 2006 in Italia esplose un caso mediatico che è paradigma della qualità del giornalismo nel nostro Paese: venne data per nuova una notizia vecchia di trent’anni, e confuso l’inizio con la fine! Giornali e trasmissioni televisive fecero a gara per raccontare la vicenda del ritrovamento del “Vangelo di Giuda”, un vangelo cioè che si credeva perso per sempre e che invece era stato ritrovato. In esso sono raccontate le vicende degli altri vangeli da un altro punto di vista, quello del traditore Giuda Iscariota: ma sarà vero?

In realtà già dagli anni Settanta era noto il ritrovamento di questo testo eccezionale, anche se passarono sotto silenzio i successivi trent’anni di incredibili vicissitudini e avventure rocambolesche subite dal povero papiro (con relativi danni irrecuperabili). Dal 2001, senza che in Italia arrivasse alcuna eco, finalmente il papiro iniziò ad essere tradotto: nel 2006, quando cioè nel nostro Paese si disse che il vangelo era stato “recuperato”, finalmente la traduzione fu completata. I nostri organi di informazione sono arrivati con un leggero ritardo...

Visto però che questo vangelo è verissimo (anche se del suo contenuto molti dubitano), non può essere oggetto di questa rubrica, che invece tratta di “libri falsi”: ecco quindi due autori che, con intenti diametralmente opposti, presentano due versioni “false” del citato vangelo.

 

 “Il Vangelo di Giuda” (The Gospel of Judas) dell’autore britannico Simon Mawer, è un romanzo scritto nel 2000 - e uscito in Italia nel 2001 grazie a Il Saggiatore - che anticipa molto realisticamente il contenuto del “vero” Vangelo di Giuda. Anche se negli Stati Uniti il romanzo è uscito proprio l’anno dell’inizio della traduzione del vero vangelo, è stato scritto almeno un anno prima e quindi dubitiamo che lo scrittore abbia potuto accedere ad indiscrezioni sul contenuto del testo. Anche perché, come si vedrà, il suo romanzo ne dà una versione diversa.

Leo Newman, il protagonista della storia, è un prete archeologo che sta studiando i fantomatici Papiri di En-mor, frammenti e brandelli di testi la cui antichità è eccitante: precedenti la guerra giudaica, quindi prima del 66 d.C. Le implicazioni sono ovvie: il testo che questi frammenti riportano potrebbe essere stato scritto da un testimone della passione di Gesù. «Questa potrebbe essere la più grande scoperta di tutti i tempi. Potrebbe far sembrare i rotoli del Mar Morto un pic-nic nel giardino dell’Eden.»

Manderley Dewer è una donna che si interessa al lavoro di Leo, ma che darà il via ad una serie nefasta di eventi. L’archeologo infatti inizierà a provare sentimenti forti per Manderley, ma a causa dei voti presi dovrà sempre tenerla a distanza: in pratica rifiutare quell’amore che la donna vuole offrirgli. La ricerca sui testi sacri, quindi, diventa per Leo una ricerca interiore alla radice della propria fede religiosa.

Gli eventi precipitano quando Manderley si suicida: il gesto profondamente anti-cattolico e la morte di una donna cara sono un durissimo colpo per l’archeologo: come se non bastasse, dal suo lavoro di ricerca è uscito fuori uno spietato attacco ai propri valori religiosi.

«È Yehudà, figlio di Simone di Keriot, noto anche come Yehudà il sicarios a scrivere questo, e lo scrive perché voi sappiate che questa è la verità.» L’incipit del testo che i Papiri di En-mor vanno componendo non lascia dubbi: l’autore è Giuda!

Leo è scioccato. «Era sempre stato un problema, Giuda. Persino il suo nome, in parte patronimico - Giuda Is’ Queriyot, Giuda di Kerioth - e in parte soprannome - Giuda Sikarios, Giuda il Coltello - persino il suo nome era un problema. E lì c’era quel frammento di papiro che coronava il dibattito accademico con un semplice gioco di parole.»

Ma quale pericolo può arrivare da un Vangelo scritto da Giuda? La risposta non tarda arrivare, visto che l’autore del papiro anticipa che scriverà la “verità” su Yeshu il Nazir, che «morì e non risorse e io stesso ho visto il suo corpo in decomposizione.» «È un falso! Deve esserlo!» è il grido di Leo.

 

Simon Mawer
Simon Mawer
«Aperto, il rotolo somigliava a un pezzo di tela ruvida, lunga circa tre metri, corroso, mordicchiato dai topi o dal tempo, inesistente in alcuni punti e danneggiato in altri, eppure sostanzialmente intero.» Un oggetto così innocuo eppure un contenuto così devastante!

Parallelamente ad una ricerca genealogica - secondo cui addirittura Gesù sarebbe stato nipote di Erode! - Leo vive un terremoto interiore. Il senso di colpa per aver provocato indirettamente la morte della donna segretamente amata si sposa con le parole di Giuda che pian piano sta traducendo: non si parla del Gesù che conosciamo dagli altri Vangeli. «Gesù... questo Gesù ha spaventato la coorte di Gerusalemme fino a farla allontanare. Ha un intero maledetto esercito ad aspettarlo fuori dalla città.» Infatti a seconda dell’interpretazione delle parole greche usate sia dai Vangeli canonici che da quello di Giuda, si può sia pensare che Gesù fosse a campo di una banda o di un esercito, sia che verso la Maddalena provasse ben più della semplice carità.

Più Leo studia il testo greco del vangelo ritrovato, più perde la fede, più soffre: «Leo Newman, adultero, apostata, ebbe uno spasimo di compassione per l’intera cristianità che è ed era stata, e potrebbe non essere più.» Cosa rimane se scompare tutto ciò che Gesù ha rappresentato? Rimane «l’unica lezione che la vita può impartire. [...] Che non c’è nient’altro. Siamo solo tu e io, ora, in questo momento e in questo luogo. Tutto il resto non è che vuota speranza.»

 

Il romanzo di Mawer racchiude in sé tre parti ben precise. La parte “rosa” in cui si racconta del rapporto d’amore negato tra Manderley e Leo; la parte “thriller” che riguarda la minuziosa ricerca e l’attento studio del Vangelo di Giuda - con abbondanti e stuzzicanti citazioni in greco! - e per finire una parte di profondo sconforto che è il viaggio interiore del protagonista che sente la propria vocazione sciogliersi e la propria fede evaporare al sole di quel Giuda che gli parla da duemila anni di distanza, e che pian piano distrugge ogni dogma religioso conosciuto sulla passione di Gesù.

Leo, come molti altri “scopritori” di vangeli immaginari, decide di dare alle stampe il testo del Vangelo: che il mondo sappia la dura, durissima verità! Ci si aspetterebbero forti opposizioni da parte della Chiesa, invece la reazione è totalmente diversa. «Proceda pure, lo pubblichi e vada al diavolo - gli viene risposto. - La Chiesa sopravviverà a questo come è sopravvissuta a ogni altro attacco nel corso dei secoli. La Chiesa sopravviverà a lei.»

L’espressione finale non è esagerata, visto che tutti quelli che sanno dei suoi studi chiamano Leo “un secondo Giuda”. Una volta che l’opinione pubblica viene informata dei risultati dell’archeologo, del contenuto del vangelo ritrovato, scoppia il putiferio che ci si può aspettare... contro Leo! Nessuno crede a ciò che dice Giuda, e tutti accusano l’archeologo di essere un emissario del diavolo.

L’unico modo per uscire da questa situazione, è mettere in atto il destino comune a moltissimi pseudobiblia: il fuoco... Che Giuda, il povero testimone che cercò solo di testimoniare la verità, se ne torni nel silenzio in cui è sempre vissuto: solo così Gesù, quel Gesù che noi conosciamo, potrà continuare a vivere...

 

Di tutt’altra pasta e di tutt’altro spessore è “Il Vangelo secondo Giuda” (The Gospel According Judas): se il romanzo di prima parla del ritrovamento del fantomatico vangelo, questo ne presenta direttamente il contenuto!

Precisiamo immediatamente che questo libro è un’operazione commerciale nata esclusivamente per cavalcare l’onda dell’eco mondiale ottenuta dalla traduzione del vangelo attribuito per comodità all’apostolo traditore: il ritrovamento archeologico viene chiamato “Vangelo di Giuda”, questo invece è il “Vangelo secondo Giuda”.

Il romanziere Jeffrey Archer, specifica l’editore, voleva presentare al pubblico del XXI secolo la storia della passione di Gesù vista attraverso gli occhi di Giuda, e per fare questo si è avvalso della preziosa collaborazione del biblista Francis J. Moloney. Perché per farlo abbia scelto il 2007, quando cioè l’eco della traduzione finale del vero vangelo non si era ancora sopita, è abbastanza ovvio: la stessa trovata pubblicitaria secondo la quale in copertina non è specificato affatto che il testo di Archer è una sua personale elaborazione artistica, e che non ha niente a che vedere con alcun altro vangelo, canonico o meno.

Le premesse del romanzo sono le stesse del vangelo: Giuda non era affatto il bieco traditore che la tradizione vuole, bensì il più fedele degli apostoli. In realtà per queste premesse non c’era certo bisogno di attendere la traduzione ufficiale dei ricercatori: Diego Fabbri era partito dalle stesse premesse per la sua pièce teatrale “Processo a Gesù” (1955), e lo stesso dicasi per Tim Rice quando scrisse lo sfavillante testo del musical “Jesus Christ Superstar” (1970).

L’unica invenzione di Archer è quella di ipotizzare un vangelo scritto da Beniamino Iscariota (il cui nome campeggia in copertina) in cui vengono raccontate le vicende che videro protagonista suo padre Giuda. E Gesù, ovviamente.

«Io, Beniamino, figlio primogenito di Giuda Iscariota, ho ascoltato il suo resoconto di ciò che avvenne in quel tempo e ho messo per iscritto quello che egli vide e udì». Così si presenta l’io narrante e subito mette in chiaro che quanto andrà a raccontare è qualcosa di completamente diverso da quanto già detto: «Diversi altri Vangeli scritti in tempi recenti narrano i fatti avvenuti durante la vita di Gesù. Tuttavia solo pochi di essi, che la nuova setta detta dei cristiani non accetta, descrivono fedelmente le azioni che mio padre compì in quel periodo della nostra storia.»

 

Jeffrey Archer
Jeffrey Archer
Quello che segue è un testo molto particolare: non è un romanzo, in quanto graficamente e strutturalmente ricalca la conformazione dei Vangeli canonici (frasi brevi, molti punti ed ogni capoverso contraddistinto da un numero), ma allo stesso tempo non è una “reinterpretazione” in quanto si discosta pesantemente dai suddetti Vangeli. Durante la narrazione delle imprese di Gesù spunta sempre fuori un Giuda saggio e furbo, scaltro e sagace, affascinato e seguace del Cristo tanto da bacchettare in modo piccato chiunque osi mettere in dubbio la sua parola. Insomma, assomiglia troppo ad un personaggio di romanzo d’appendice perché possa risultare una figura vagamente credibile.

«Mentre Gesù parlava, Giuda ripeteva te sue parole poiché desiderava trasmetterle a chi non era presente a sentire il Maestro. [...] Udite queste parole, Giuda sussurrò ai condiscepoli: “Da quest’uomo vengono solo bontà e misericordia per coloro che si avvicinano a lui. Siamo fortunati ad aver trovato il nostro Rabbi e Maestro”». Giuda è sempre lì: a tenere le ceste durante la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ad ascoltare ogni singola parola detta dal Maestro, ad applaudire ai suoi discorsi, a consigliare Gesù e gli altri apostoli ricordando continuamente loro profezie e passi della Torah. Difficilmente negli altri Vangeli il protagonista è così fastidiosamente irritante!

Ma come si arriva da una sfacciata apologia al tradimento?

Il tutto nasce da uno scriba di Gerusalemme che si reca ad ascoltare Gesù, lo interroga sul significato di alcune parabole e finisce con il sentire che la risposta del Maestro lo ha umiliato di fronte a «gente così semplice», lui che è un nobile scriba.

Come se non bastasse, gli si avvicina Giuda e comincia a sciogliersi in lodi per Gesù e ad elencare tutte le sue opere buone e meritevoli: lo scriba, per salvarsi dalla sgradita compagnia, dice di essersi convinto e di voler far parte del manipolo di fedeli che stanno per entrare a Gerusalemme. Durante una cena, Giuda continua ad assillare il povero scriba confidandogli i propri timori: Gesù ha troppi nemici a Gerusalemme e questi possono avergli teso delle trappole. Lo scriba, stremato dall’assillo, ammette che in effetti il Maestro farebbe meglio a tornarsene in Galilea.

Quando Giuda insiste che è troppo tardi per convincerlo e che Gesù l’indomani sarebbe entrato comunque a Gerusalemme, la narrazione da involontariamente divertente diventa paradossale: come se si trattasse di un romanzo, lo scriba svela a Giuda un piano per risolvere la situazione ma il narratore non lo dice a chi legge... come una vera e propria dissolvenza, troviamo Giuda che dorme tranquillo pensando all’ottimo piano consigliatogli dallo scriba. Questa tecnica serve perché al lettore non venga svelato il colpo di scena che arriverà più avanti... ma un Vangelo non dovrebbe avere di questi artifici letterari!

L’entrata di Gesù a Gerusalemme segue passo passo la sceneggiatura di “Jesus Christ Superstar”, con frasi che sembrano uscire dai testi delle sue canzoni e stacchi di scena degni di una pellicola hollywoodiana.

Giuda intanto non è più convinto come prima e con un’innocenza da Candido voltairiano accetta l’aiuto dello scriba, il quale gli propone di separare Gesù da fedeli e discepoli e portarlo nottetempo in un posto più sicuro, per evitare che qualche malintenzionato possa fargli del male in città. Ovviamente lo scriba ha tutt’altre intenzioni: nel giardino di Getsemani si presenterà con i centurioni e, una volta che Giuda avrà indicato Gesù con un bacio, il gioco è fatto.

Il resto (è il caso di dirlo) è storia...

 

Il bacio di Giuda secondo Giotto (1306)
Il bacio di Giuda secondo Giotto (1306)
Una volta crocifisso Gesù, il povero e credulone Giuda che fine fa?

«Evitato dai capi giudei e abbandonato dai seguaci di Gesù, dopo trenta giorni Giuda partì dalla Città Santa e intraprese il lungo viaggio per Khirbet Qumran. Là entrò nella comunità degli esseni che, essendosi impegnati a passare il resto dei loro giorni in solitudine nel deserto, vivevano in una fortezza sulle rive del Mar Morto. [...] Giuda dedicò il resto della propria vita a lavorare con gli esseni, ma non passò giorno senza che si inginocchiasse a piangere la morte di Gesù.» Quindi non muore, come si è pensato fino ad oggi...

Il narratore, Beniamino Iscariota, va a trovare il padre fra gli Esseni anni dopo. Parlano del più e del meno ed esce fuori che anche in quella setta Giuda non riesce a stare in disparte: sta lavorando a creare una grande biblioteca di rotoli... e così dobbiamo a lui anche i Manoscritti del Mar Morto!

Beniamino racconta al padre degli altri Vangeli, e del fatto che alcuni lo danno per morto, ma Giuda liquida tutto dicendo che per un Giudeo è impossibile darsi la morte. Vuole sapere cosa si dice di lui negli altri testi sacri, ed ovviamente non prende bene la storia dei trenta denari... Così decide di dettare a suo figlio la “vera” storia del suo rapporto con Gesù.

Salutando altri Esseni che si stanno avviando a Masada (quindi al massacro!), Beniamino si congeda dal vecchio Giuda portando con sé la vera storia, e rallegrandosi che di lì a poco una legione romana stanerà gli Esseni e Giuda avrà il grande onore di morire crocifisso... «[Giuda], nel sentire che avrebbe subìto la stessa sorte di Gesù, rese grazie a YHWH.»

Cosa dire, infine, di un testo del genere, involontariamente umoristico? Al di là delle vere intenzioni del suo autore, se cioè abbia veramente voluto tributare un omaggio ad una delle figure più vituperate della storia, “Il vangelo secondo Giuda” resta un’operazione poco soddisfacente, risultando in alcuni punti addirittura infantile: gli assurdi sforzi di Archer di mettere insieme più eventi storici accreditati possibili rende il tutto assolutamente inverosimile.

Sarebbe stata un’operazione molto più onesta e anzi più gradevole se il suo Giuda si fosse comportato come il Baudolino di Eco o il Caino di Saramago: personaggi palesemente letterari che si trovano a vivere eventi storici reali ma apportandovi elementi inventati. Proprio perché invece questo Giuda viene spacciato per reale, risulta infinitamente più falso di ogni personaggio letterario.

In conclusione, Giuda fu vittima o carnefice? Gli pseudobiblia non hanno dubbi: fu vittima della più fenomenale operazione di marketing della storia umana!