Tra le spire di Umberto Eco… 

Il cimitero di Praga di Umberto Eco, Bompiani 2010.

Si parte dalla fine (24 marzo 1897), dal diario di Simone Simonini, quarantasette anni suonati portati bene, padre torinese e madre francese. Ama la buona tavola, odia gli ebrei, critica i tedeschi, i francesi, gli italiani, i preti, tra cui in modo particolare i gesuiti, le donne, si traveste, fabbrica documenti falsi, in crisi di identità, è o non è l’abate Dalla Piccola che si insinua furtivamente nei suoi diari? Insomma un tipo piuttosto “particolare”…

Qui abbiamo ben tre narratori: il nostro Simonini, l’abate Dalla Piccola e il Narratore vero e proprio che interviene quando la storia del diario si fa “arruffata”. Gli eventi, poi, non si susseguono linearmente ma, come in un racconto complesso che si rispetti, abbiamo diversi intorcinamenti temporali tanto per tenere ben desto il lettore (se si appisola anche per un secondo sono cavoli amari).

Dunque, in pratica la storia del nostro Simonini che butto giù un po’ così alla buona. L’infanzia a Torino, l’influenza del nonno Giovan Battista reazionario anzi che no (al contrario del padre), la laurea in giurisprudenza, le letture di Dumas, il contatto con padre Bergamaschi, il lavoro presso il notaio Rebaudengo da cui apprende l’arte di falsare i documenti, il rapporto con il cavaliere Bianco, la prima attività come spia contro i carbonari, la missione nelle terre conquistate da Garibaldi (la sua impresa deve apparire come inquinata da personaggi ambigui e corrotti) insieme allo stesso Dumas, l’incontro con Nievo, l’episodio di Bronte…

E poi vita a Parigi, la buona tavola (come gli piace mangiar bene!), addirittura in carcere per entrare in contatto con un fabbricante di bombe, l’odio per gli ebrei e la loro potenza, l’uccisione dell’abate Dalla Piccola (reale o immaginata?), i contatti con i massoni per svelarne le nefandezze, la figura di Diana che sotto ipnosi racconta scene incredibili, il satanismo, la magia, l’occulto, la presa di Parigi da parte dei prussiani, la Comune, l’episodio famoso di Dreyfus, l’antiebraismo che va bene per tutti, perfino per il popolo russo che ha bisogno di un nemico per avere il senso di una identità, la scoperta del trauma iniziale ad opera di Freud (riportato Fröide) e il chiarimento finale. Tanto per rimanere nel semplice e nello stesso tempo nel vago senza invischiarmi in territori paludosi assai.

Eccetto Simone Simonini tutti gli altri sono realmente esistiti e hanno dato vita ad una specie di romanzo d’appendice in stile ottocentesco con illustrazioni tipiche del feuilleton del tempo.

Ma c’è un altro protagonista, oltre i già citati. L’autore stesso, non tanto e solo come Narratore, ma proprio come Umberto Eco che si diverte un mondo a costruire storie complesse, aggrovigliate, a rimpinzarle di letture, libri, citazioni, a ricostruire personaggi vissuti, squarci di vita, atmosfere, idee, sentimenti, astuzie, tranelli, lotte, ricatti, passioni, amore e morte. E me lo immagino con gli occhietti furbetti a scuriosare tra montagne di documenti per creare, anche lui, un “documento” che faccia discutere (vedi il tema dell’antisemitismo, per esempio) e rimanga nel tempo.

All’uscita del libro un coro di alti e bassi, ovverosia sussulti incontenibili di gioia e stroncature impietose. Il libro è “entusiasmante”, oppure “noioso e farraginoso”.

Non dico che sia entusiasmante, né che sia noioso e farraginoso. E’ che tra le spire culturali di Umberto Eco, un po’ di affanno ci prende, via.

A scanso di equivoci mi prendo una boccata d’aria e poi inizio una seconda lettura…