Non fare la cosa giusta (Perdisa Pop) di Alessandro Berselli è la storia di Claudio Roveri, un informatore medico scientifico, in apparenza un professionista affermato, senza problemi economici, con una famiglia che sembra felice, una moglie avvocato e una figlia adolescente. Una sera, durante un rapporto sessuale extraconiugale, Claudio sente suonare il cellulare ma non risponde. Se ne pentirà amaramente perché chi lo cercava era sua figlia Erica, pochi istanti prima di essere uccisa. L’avrebbe salvata, Claudio, se avesse risposto? Perché, nonostante siamo incanalati in binari preconfezionati e dispensatori di certezze, molte cose non funzionano? E soprattutto: esiste una cosa giusta da fare? Lungo queste direttrici si muovono i sussulti nichilistici del protagonista, un uomo prototipo di mille altri uomini di oggi, individui persi nelle loro contraddizioni, annientati tra l’inadeguatezza esistenziale e un senso etico smarrito nelle incoerenze di una società destabilizzante. E i grandi pilastri – lavoro, amicizia, famiglia –, quelli dove dovremmo trovare riparo, sono i primi impianti sdrucciolevoli. Perché è da lì che parte l’anabasi e prosegue nell’animo umano. Un animo che l’autore ha già dimostrato di conoscere e di sapere affrontare con profondità anche nella produzione precedente, scendendo soprattutto nelle sue zone d’ombra con una narrativa tagliente e minimalista, a tratti segmentata, sempre intimistica, qui esaltata da una seconda persona che amplifica gli echi dei sensi di colpa e dei rapporti mancati. 

Abbiamo intervistato lo scrittore sugli aspetti più significativi del romanzo, ecco cosa ha risposto:

Si può dire che in tutto il romanzo Non fare la cosa giusta scorra, in sottofondo, una tacita interrogazione: “Ma esiste, poi, la cosa giusta?”, domanda che tu hai posto, sapientemente, nella mente del lettore?

Sì, non c'è la cosa giusta. C'è un protagonista, Claudio Roveri, che ha deciso che la vita diventa più interessante sotto il segno dell'errore. Fare la cosa non giusta sapendo di stare compiendo la cosa sbagliata. E compiacendosene. Non è un semplice rifiuto delle regole, è proprio l'adesione al contrario, la sovversione. E allora ben vengano l'adulterio, la xenofobia, la liberazione degli istinti. Sotto l'orchestrazione di un cattivo maestro

Riprendo una tua frase: “Non c'è nulla come l'alcol per non pensare alle cose a cui non vorresti pensare”. Quali sono le cose a cui il protagonista non vuole pensare?

Alla sua vita così com'è stata fino a quel momento. Ingabbiando gli istinti, illudendosi che casa, lavoro, moglie e figlia siano la giusta risposta. Non lo sono. Non per Claudio Roveri. E allora ben venga la discesa agli inferi con tutto il suo carico di degrado. Bello toccare il fondo facendo tutto quello che non si è mai fatto. Sbattersene di una professione di successo, fregarsene della fedeltà, praticare violenza. Claudio è come il Patrick Bateman di American Psycho, bastardo e indifferente. È classista, razzista, egoista. E orgoglioso di esserlo.

Il tema del tradimento è affrontato, nel tuo romanzo, con profondità e con un senso di ineluttabilità. Sei d’accordo?

È un noir spaventosamente intimista. Nella prima parte parla di disgregazione e tradimento, nella seconda di senso di colpa. L'adulterio si consuma mentre la figlia del protagonista viene uccisa. Lei prova a chiamarlo ma lui non risponde, troppo impegnato a completare l'amplesso. Una telefonata che potrebbe salvarla, o perlomeno fare risalire al colpevole. Ma Claudio Roveri lascia suonare il cellulare. Precludendosi per sempre la possibilità di capire. Spalancando l'abisso

Le paure interiori, il senso del peccato non cristiano ma un peccato stabilito dalle convenzioni aleggiano. Il protagonista compie su di sé e sui dettagli che osserva un’acuta analisi introspettiva. Tu che pensatore sei?

Un pensatore irrisolto. Analizzo, mi faccio domande, ma in quanto a risposte sono davvero un disastro. Non riesco a capire la vita, non so cosa voglio, procedo a tentoni. Faccio del mio meglio, con risultati altalenanti. Bravissimo a decodificare l'esistenza degli altri, paralizzato nel decodificare le dinamiche della mia. Un disastro. Spero solo che il bilancio finale sia soddisfacente

Erica è un’adolescente, anche se ha solo un ruolo scenografico, diversamente da Cattivo, dove hai posto un adolescente – e il suo mondo – al centro della narrazione...

In Non fare la cosa giusta sul banco degli imputati ho voluto mettere il mondo degli adulti. Non è un romanzo adolescenziale, indaga nel torbido della mezza età, a differenza di altre cose che ho scritto in precedenza l'intento di attaccare il protagonista è più che evidente. È un libro che parla ai miei coetanei non offrendo risposte ma fotografando la desolazione emotiva. È un libro che corrode, mi piace pensare a un lettore che si sente infastidito, scavato dentro se stesso

Questo è il tuo quarto romanzo. Se tu dovessi inquadrarlo in un genere?

Noir dell'anima, come tutto quello che ho scritto fino adesso. Lavorare sulla psicologia dei personaggi e declinare la storia verso dimensioni nerissime. La dimensione investigativa è evidente, ma chiaramente non è solo all'indagine che sono interessato. Mi piace l'idea di stare nel cervello del protagonista, vivere con lui le sue aberrazioni, accompagnarlo nella discesa. Sono stato Claudio Roveri per tutto il tempo, tanto, che mi è servito per scriverlo

In che senso si sta muovendo la tua scrittura?

Cerco di farla evolvere lentamente, restando coerente con i miei temi e il mio stile ma, nello stesso, tempo, non cristallizzandola. Non amo la serialità ma neanche la sperimentazione che ogni volta azzera tutto quanto. Amo gli scrittori che hanno una cifra caratteristica, identificabile, ma capaci di raccontare storie diverse in modo nuovo. Ci si affeziona alla scrittura degli autori, è importante non tradire questi affetti. Non dando, nel contempo, nulla per scontato

Ci saluti con una citazione da Non fare la cosa giusta?

«Non ho mai tradito tua madre. Avrei voluto, solo che non l’ho mai fatto. Ho sempre avuto paura. [...] L’assurdo trincerarsi dietro una facciata di ipocrita fedeltà coniugale non c’entra nulla. Sono un vigliacco dei sentimenti, uno che non fa le cose solo perché ne teme le conseguenze. Uno che resta colpevole, ma solo nell’anima.

Più comodo così. Peccatore ma impunito. Un modo vile per non sporcarsi le mani».