Ha esordito venerdì 8 gennaio in prima serata su Canale 5 la prima serie poliziesca del nuovo anno, Tutti per Bruno, 12 episodi in 6 puntate, secondo l’italico costume ormai ampiamente accettato.

È bastato assistere solamente al primo episodio, La seconda occasione (non abbiamo infatti avuto il cuore per seguire anche il secondo), per rimanere sbigottiti non tanto dal prodotto finale – si è visto persino di peggio, basti pensare all’ultima serie di Carabinieri – quanto dagli squilli di tromba coi quali la fiction è stata presentata alla stampa e, dal protagonista Claudio Amendola, a Striscia la notizia pochi minuti prima della messa in onda.

“Un poliziesco pieno di umorismo” prometteva l’ufficio stampa; “un prodotto dissacrante” assicurava il coprotagonista Antonio Catania; “riderete molto” concludeva lo stesso Amendola, stretto tra Greggio e Iacchetti nella promozione di se stesso e del cast nel Tg satirico di Canale 5.

Se per poliziesco si intende un racconto dove semplicemente compare la polizia, allora potremmo essere d’accordo; ma la rapina demenziale in cui i nostri eroi entrano in una banca per prelevare dei soldi e non si accorgono che tutti – clienti e impiegati – sono sotto il tiro delle armi da fuoco dei banditi; il successivo trasferimento punitivo in un commissariato a Ostia; l’interrogatorio tragicomico del palo della banda che muore d’infarto in pratica sotto i loro occhi durante un interrogatorio; l’occultamento del cadavere in una fossa scavata alla bell’e meglio col cellulare che squilla in tasca al morto: ebbene l’accozzaglia di tutto ciò non fa di una fiction un poliziesco.

Né si ride un granché; anzi, per essere sinceri, non si sorride nemmeno.

Persino il Coliandro televisivo (quello letterario di Lucarelli naturalmente è un’altra cosa) e Il commissario Manara strappavano qualche ghigno qua e là; l’ispettore Bruno Miranda (Claudio Amendola) invece e i suoi sgarupatissimi colleghi Giuliano Scarpa (Antonio Catania) e Luca Corsari (Gabriele Mainetti) sono semplicemente degli imbranati che vagano labilmente sorretti da una sceneggiatura insufficiente.

E vogliamo parlare della vita privata dei nostri detective?

Siamo già abituati in Italia (dai sommi esempi del commissario Montalbano e del maresciallo Rocca giù giù fino agli stucchevolissimi Carabinieri) alla miscela di giallo e commedia all’italiana e quindi non saremo noi i primi a puntare il dito sull’eccessivo peso dato ai risvolti sentimentali e affettivi dei protagonisti: ma la signora Miranda, Rosy, che al momento opportuno sa mettere in riga il marito, ma che subisce senza fiatare un trasloco a Ostia e non sa riconoscere nel lavoro che gli viene offerto una hot line telefonica; la figlia di Miranda, Sara, diciassettenne molto “moccesca” che civetta con Luca, incurante del fatto di essere la nipote della sua ex moglie; e via via tutte le altre trovate (compresa l’invadente Enza, madre di Bruno, dalla biancheria intima assai piccante stesa sul balcone) fanno solo rimpiangere l’oretta trascorsa di fronte alla tv invece che a letto in compagnia di un libro.

Eppure – come spesso succede in certi pastoni che ci vengono propinati in tv – le premesse (teoriche) per un successo c’erano tutte: un bel format spagnolo (I Cesaroni e Un medico in famiglia hanno la stessa origine), Los Hombres de Paco; un cast di attori brillanti (Amendola e Catania) con giovani più o meno promettenti; l’evidente richiamo a I Cesaroni; e persino qualche spunto rubato alla concorrenza: all’inizio del secondo episodio infatti – fatto che ci ha convinto a dare un’altra direzione alla nostra serata – la figlia dell’ispettore canta a squarciagola in auto un successo dell’estate 2001, Tre parole di Valeria Rossi; proprio niente a che vedere con le esibizioni canterine dei protagonisti di Tutti pazzi per amore?

Eppure il risultato, per noi, è stato sconvolgente.

Può darsi che l’Auditel ci smentisca segnalando l’enorme successo della fiction; e magari ne verrà messa in cantiere una seconda e persino una terza serie. Rimarremo comunque della nostra idea: per un vasto e duraturo successo di pubblico e di critica occorrono almeno tre elementi: una sceneggiatura brillante, ma robusta; uno o due interpreti di alto livello (qui, nonostante la buona volontà non c’è ombra non solo di uno Zingaretti o di un Proietti, ma neppure di un Terence Hill e di un Frassica); e quel pizzico di imponderabile che rende la tv – come le partite di calcio – mai prevedibile e scontata.

Non ci resta che sperare nel resto della stagione 2010…

 

P.S. Come si suol dire: al momento di andare in stampa apprendiamo che lo share dei primi due episodi è di poco superiore al 20%: un telespettatore su 5 venerdì sera ha seguito Tutti per Bruno. Non capiamo ma ci adeguiamo…

Voto: 1