Jan Dix, critico d’arte che opera nell’Olanda dei giorni nostri, è il protagonista dell’omonima miniserie bimenstrale a fumetti pubblicata, a partire dal maggio 2008, da Sergio Bonelli Editore.

Ideatore e sceneggiatore della collana, composta da 14 volumetti, di cui però non è esclusa la possibilità di ulteriori episodi in caso di riscontro positivo da parte dei lettori, è Carlo Ambrosini, che ha disegnato anche il primo numero nel quale vengono presentati ambientazioni e personaggi principali.

Il lettore farà così la conoscenza di Jan Dix, consulente artistico del Rijksmuseum di Amsterdam e fidanzato con la bella gallerista Annika con cui ha continui battibecchi.

Il suo lavoro principale è quello di fare perizie su sculture e quadri e recuperare reperti preziosi ed antichi.

L’Arte per lui è come un libro tutto da divorare per approfondire la conoscenza della vera natura dell’uomo.

Oltre a Dix e ad Annika, figura femminile della serie che ha le fattezze di Julia Roberts e rispetto al personaggio principale è più pragmatica, concreta e meno metafisica, spiccano altri due comprimari fondamentali: il giudice Illman, un giudice in pensione che è un po’ il mentore di Jan e Gerrit, un giovane studente universitario con la faccia di Jeremy Irons, che funge da assistente del protagonista.

Questo primo numero, in cui la trama poliziesca si sviluppa su una struttura noir dai contorni piuttosto rigidi, dal soggetto confusamente interessante e non originale che trascinerà il lettore in Ungheria presentandogli un giovane falsario che riproduce così perfettamente Vermeer da poter essere una sua reincarnazione e che dà involontariamente il via a un piano criminoso, sembra un numero di prova, un numero zero in cui sono stati inseriti alla rinfusa e in misura ridotta ingredienti di vario genere a volte discordanti, nel tentativo di capire quali siano i più adatti.

I personaggi, sia quelli principali che quelli di contorno come, per citarne alcuni, il Barone nano, collezionista avido dai tratti lombrosiani e il fantasma di Vermeer, sono tutti degli stereotipi e, nonostante il cospicuo numero di pagine a disposizione, il loro sviluppo è pressochè nullo.

L’ambientazione nel mondo dell’arte poi, è piuttosto pretestuosa nel senso che la professione del protagonista, consulente e collezionista d’arte, non è essenziale ai fini dello svolgimento della storia.

Al di là dello spunto di partenza, questo stesso mondo è tutt’altro che centrale nella vicenda e sarebbe perfettamente sostituibile con qualunque altro contesto.

All’interrno della narrazione poi, è presente anche un’aspetto onirico e metafisico dettato da un sogno del protagonista, che apre e intervalla l’albo, che richiama per atmosfere il film Gli ucelli di Alfred Hitchcock.

Queste sequenze sono senza dubbio la parte più riuscita e l’elemento di maggiore interesse della storia e la speranza è quella di vederle sviluppate adeguatamente.

Ciò che colpisce maggiormente di questo primo numero sono le cadute di ritmo e di sceneggiatura.

Ambrosini dimostra notevoli difficoltà soprattutto nel gestire il gran numero di pagine.

La vicenda vera e propria infatti, si conclude molto rapidaemnte e le pagine finali sono un mero riempitivo che creano l’aspettativa, puntualmente vanificata, che stia per succedere qualcosa che rovesci completamente la deludente conclusione della vicenda.

L’alternarsi di piani temporali è più un virtuosismo che non una necessità narrativa e lo spazio che poteva essere utilmente impiegato per l’approfondimento dei personaggi viene invece riempito di lungaggini che uccidono il ritmo della storia.

I disegni di Jan Dix si caratterizzano per un tratto duro ed essenziale che spesso e volentieri risulta di scarsa leggibilità, in particolare per quanto riguarda le fisionomie delle figure principali che, a partire dal protagonista, sono sfuggenti e mutevoli da una vignetta all’altra.

Queste caratteristiche grafiche riportano così i personaggi a quell’inconsistenza che è il loro unico elemento veramente caratterizzante.

Alla luce di quanto detto possiamo affermare quindi che questo primo numero è una storia imperfetta, ma non come un dipinto grezzo di cui bisogna indovinare la bellezza senza rifarsi ai canoni consueti, quanto come una tela su cui il pittore ha provato diverse soluzioni senza avere bene idea di dove andare a parare.

Da un artista completo come Ambrosini è lecito sicuramente aspettarsi di più.