Livio Frittella fa parte di quei giallisti italiani seguaci del cosiddetto “giallo all’inglese”, alla Agatha Christie, per intenderci, e pertanto tutto basato sulle indagini intorno a un delitto, il cui colpevole viene scoperto solo alla fine. In Italia abbiamo rappresentanti illustri di questo genere fin dagli anni Trenta, con Augusto De Angelis e Alessandro Varaldo e, oggi, con il compiano Marco Polillo, con Enrico Luceri e pochi altri. Dico pochi altri perché, negli anni, da noi, a prendere più piede è stato il noir dalla forte impronta sociale e storica. Racconti cioè che, di fronte a un delitto, del quale magari si sa già il colpevole, investigano nelle pieghe oscure del potere politico ed economico, della corruzione e del costume. Loriano Macchiavelli, Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo, Maurizio De Giovanni, per fare i nomi più gettonati, sono gli autori che meglio rappresentano quello che potremmo ormai definire “giallo italiano”. Ma sappiamo che non sono pochi i lettori, almeno quelli cresciuti nella tradizione del “Giallo Mondadori” fondato da Alberto Tedeschi, che apprezzano la scuola inglese. Lo rivela anche il successo dei film e delle serie tv che tutt’oggi si rifanno a questa con le avventure di Poirot o della Signora in giallo e così via.
Livio Frittella non nasconde di essere anche lui, sia come lettore che come scrittore, un assiduo del giallo all’inglese, arrivando al punto, con il suo libro d’esordio “Ingannevoli apparenze” di ambientarlo in Inghilterra, con personaggi e atmosfere inglesi. Pertanto, chi ama questo genere in particolare può dedicarsi al suo ultimo giallo “Agnizione fatale”, edito da Luoghi Interiori, che lo presenta con un sottotitolo “Un giallo in alto mare” su una bella copertina con un transatlantico dalla romantica linea di fine Novecento: una scelta giusta, considerando che la storia si svolge nel 1990.
La nave, nella finzione, è l’Ocean Empress, ammiraglia della compagnia di navigazione Seven Seas, naturalmente battente bandiera del Regno Unito, mentre il protagonista, che si rivelerà essere, suo malgrado, un detective si chiama Valerio Portenti, che si autodefinisce un “idiota sapiente”. Cosa vuol dire? Lo scopriremo ben presto: Portenti, tempo prima, era una persona comune, poi, in seguito a un incidente, una deflagrazione di cui è rimasto vittima, ha acquistato miracolosamente capacità intellettive superiori. Il risultato è stato così straordinario da diventare l’uomo soggetto di studio da parte degli psicologi. Fa parte di questi Lorenza Valdi, la quale prende addirittura a seguirlo ovunque per capire il fenomeno. Pertanto, lo segue ovunque, pertanto anche sulla nave così da poter analizzare giorno dopo giorno, anzi ora dopo ora, il processo della sua mente. Sulla nave è favorita dal fatto che la crociera organizzata dalla compagnia di navigazione ha ambizioni letterarie e scientifiche, tanto da obbligare il soggetto anche a un singolare confronto con altre menti illustri.
Diciamo che Portenti dà subito mostra delle sue eccezionali capacità intellettive, ma l’autore deve essersi tano divertito a raccontarle da dimenticare che stava scrivendo un giallo. Infatti, farà passare ben tre quarti del romanzo prima che si arrivi al giallo vero e proprio. Se il romanzo, la trama per la precisione, ha una pecca è questa: di aver atteso troppo da giustificare il sottotitolo “Un giallo in alto mare”.
Poi, sì, c’è il rinvenimento di un cadavere a bordo e la cui morte è misteriosa, ma spero di non sbagliare se temo che il lettore, arrivato a quel momento clou per il genere, non abbia nel frattempo già abbandonato la lettura, perdendo il finale. Che, naturalmente, sarà risolto brillantemente dal nostro protagonista, al punto forse da non stupire più nemmeno il lettore, dopo avere assistito, questi – per pagine e pagine e col dubbio crescente di trovarsi davvero con un giallo in mano – alle sue tante prodezze intellettuali.
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