Joseph Sheridan Le Fanu è un immenso creatore di atmosfere.

Le sue pagine sono complessi, stupendi giochi di stile che si tendono nell’utopia di afferrare l’impalpabile, di catturare quello che è al di là del mero fatto raccontato o del semplice personaggio da letteratura d’appendice. La sua penna si affanna non sulle cose, ma intorno ad esse. La vedi sempre, pagina dopo pagina, cercare di rendere a parole il senso ambiguo di uno sguardo, il valore di un gesto, il colore di un sentimento. Nei dialoghi cerca l’inespresso, ciò che sopravvive a stento tra le righe convenzionali delle chiacchierate in società. Allo stesso modo nella descrizione degli ambienti il suo sguardo è rivolto più all’evanescenza del baluginio della luce di una candela che non alla concretezza di un muro o all’intarsio delicato del legno di una scrivania che con tanto piacere si fa accarezzare dalla mano.

La stessa Natura si lascia ammaestrare dalla penna dello stilista e si lega all’umore e al carattere dei personaggi con uno spirito romantico che non è mai svenevole. Gli alberi rigogliosi sono ripari attenti alla luce della luna per l’amante appassionato in cerca della sua bella (La stanza al Dragon Volant), ma possono divenire, con appena un po’ di nebbia in più, segni di una decadenza inarrestabile e di una malattia che è della mente, ma anche di un’intera classe sociale (L’ospite inatteso).

La storia scompare un poco dietro le griglie magiche di questa ricerca di stile, si sfilaccia, si fa inconsistente come un ectoplasma che sta al romanzo come il fantasma sta all’uomo : la intravedi in filigrana, ma non pensi mai che sia davvero così importante e così fondamentale come, invece, avviene altrove.

Quanto è bella e quanto sa essere caliginosa la prosa di Le Fanu (ottimamente tradotta in italiano per questa raccolta edita da Gargoyle) ! Soprattutto quanto sa essere camaleontica ! Una dote, quest’ultima, non poi così scontata in pieno profluvio ottocentesco.

Se ha a che fare con la realtà di una piccola nobiltà decaduta il giro di frase si fa lungo e la costruzione dei periodi insegue un’eleganza d’altri tempi, d’un tono latteo che sfuma i contorni delle cose in un’opalescenza che non ha mai il sapore della polvere (L’ospite maligno). Se si lega alla natura avventurosa di un giovane in cerca di soldi facili ed avventure amorose in quel della Francia post napoleonica ecco allora che la frase si fa franta e la prosa assume un che di gergale che ti fa sentire, dietro le parole, il senso di un accento di una precisa regione d’Inghilterra.

Sarà stata probabilmente questa propensione all’atmosfera ad interessare un regista come Dreyer che cercava, per il suo Wampyr, una fonte letteraria da saccheggiare con tranquillità. Ma se il motivo narrativo della sepoltura prematura il grande maestro danese l’ha preso di peso da La stanza al Dragon Volant che si conclude appunto con una soggettiva impossibile dalla bara, è da tutto il resto di Le Fanu che ha tratto l’ambiguità e l’incredibile clima sospeso.

Perché lo scrittore irlandese è maestro di sottigliezze indefinibili. La sua penna si muove sinuosa in un clima a metà tra sonno e veglia e molto di quello che leggi non sai mai se è parte di una rêverie onirica o te la puoi trovare davanti, sotto gli occhi, girando l’angolo delle nostre contrade razionali.

Per questo il tema dello specchio assume, nelle sue narrazioni, un sovrappiù di senso. In L’ospite maligno la Gray Forest, dimora antica che cade a pezzi sotto la scure di un tempo che non ammette restauri, confina con una casa ed un giardino più curati. Se quest’ultima è il mondo di oggi, con le sue volute geometrie razionali che mimano un desiderio sociale di pienezza e ricchezza, la prima è la sua immagine riflessa nello specchio. In Le Fanu c’è sempre un “di qua” ed un “di là” che sono spesso uniti da un corridoio nascosto e, per lo più, sconosciuto. La peculiarità, almeno in questi racconti meno celebri di Carmilla eppure altrettanto belli, è che l’aldilà non è oltre la morte, nel campo del fantastico, ma nel qui ed ora della malattia mentale (L’ospite maligno) o della crudeltà umana che ordisce trame troppo crudeli entro cui far cadere i giovani sprovveduti (La stanza al Dragon Volant). Il gotico sta, insomma, nelle sole guglie della coscienza umana e il vero mostro è l’Uomo. Una scoperta non da poco per un piccolo precursore di Freud.

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