Archetipi è il titolo di un’antologia curata da Luigi Acerbi e Daniele Bonfanti per la Collana Camera Oscura di Edizioni XII (www.xii-online.com). Dodici scrittori, stregoni, cronisti dell’impossibile –come li ha definiti Gianfranco Nerozzi nella prefazione– si sono prestati alla proposta dei curatori: scrivere un racconto il cui epicentro fosse  un archetipo. Ma per farlo son dovuti prima risalire all’etimo greco della parola, ὰρχέτῦπος (modello, marchio, esemplare) e ὰ;;ρχέ;; (originale). Cos’è, quindi, l’archetipo? Una sorta di matrice, una figura concettuale di base, timbro originario di interpretazione della realtà e della vita. Dodici alchimisti della parola scritta coi loro rispettivi archetipi, riferimenti di suggestivi racconti corredati da una tavola illustrativa, creata dal duo Diramazioni, che ne ricalca l'atmosfera misteriosa e ancestrale.

Dall’antichità ai giorni nostri, ai salti nel tempo e nello spazio, estensioni geografiche, nature strabilianti, coincidenze meravigliose, convergenze che travalicano rimandi biblici e religiosi. Perché forse è proprio questa la ricchezza insita nell’archetipo: che, dato un imprinting primitivo, permette una dilatazione infinita dal fantastico al quotidiano. E scrivere di archetipi è un po’ come eseguire un’azione magica: questi autori compiono sortilegi con la genesi del concetto.

Così il Demone di Danilo Arona è una creatura enorme, nè condor nè drago, e, mentre le sue ali gigantesche frusciano, pare quasi che inghiotta le stelle. Il Diluvio di Daniele Bonfanti parte da un panorama messicano di pinete e foreste tropicali, e mantiene, nelle ondulazioni del periodo, una cadenza acquea. Dalla terra arriva il Golem di argilla di Ian Delacroix: ha membra possenti e infesta gli incubi di bambini e adulti. La fenice è simbolo della Resurrezione di David Riva, e ogni volta che rinasce è sempre più forte, almeno questo spiega una vecchia babuska alla sua nipotina. Giuseppe Pastore ci prepara all’archetipo del Cannibalismo con una magistrale atmosfera d’attesa, paludi di zolfo e antri sibillini, mentre Strumm dimostra che l’Uomo Nero esiste, e il suo vincolo col nulla è direttamente proporzionale alla fame di vita altrui. Hanno voci suadenti le Sirene di Samuel Marolla, ingannevoli come la nebbia che avvolge i loro scogli. Qualcosa di terribilmente attuale richiama l’Erede di Biancamaria Massaro, forse perché, oltre l’epilogo imprevedibile, si può seguire un’interessante lettura in chiave psicologica. Uno scenario di battaglia introduce i Confini del Mondo di Alberto Priora e le mappe non sempre decifrabili del suo Cartografo, mentre è durante la caccia che Elvezio Sciallis fa detonare la Natura Ribelle in tutta la sua mostruosità. E se l’archetipo della Maschera di J. Romano riflette la sua ombra nelle atmosfere malinconiche di un circo, quello dell’Anima di Luigi Acerbi chiude la raccolta (e forse, in qualche recondito modo, la fa ricominciare) con uno scontro, che si profila all’orizzonte, tra grandi blocchi religiosi monoteistici.

book trailer:

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Abbiamo rivolto due domande a ciascun curatore.

Risponde Daniele Bonfanti

Perché la scelta del numero dodici?

Il dodici: è numero-archetipo della misurazione del tempo concepito come ciclico.  E la fondamentale caratteristica dell’Archetipo è il suo ritornare. Ripresentarsi, declinato ma immutato nell’essenza, nel tempo (e nello spazio). Come ogni giorno arriva la mezzanotte, e bisogna passarci per forza, così sono gli Archetipi: sono ciò che rimane fisso – e, in ciclo, ritorna – mentre il resto è in flusso e cambia.»

Ci spieghi i passaggi dall’idea alla genesi dell’opera? 

L’idea nasce a inizio 2007 fa da una chiacchierata tra me e Luigi sugli Archetipi alla base di storie che noi tutti ci siamo raccontati fin da quando abbiamo cominciato a raccontarci storie, e che continuiamo a raccontarci. Ci interessavano in particolare quelli terrifici.

Daniele Bonfanti
Daniele Bonfanti
Li abbiamo inquadrati come codice memetico condiviso dell’essere umano, che lo rende tale così come fa il codice genetico a livello biologico; e immaginati come nodi dell’Immaginario Collettivo. Punti in cui strade diverse – le nostre – si incrociano come in una rete.

Oppure serrature su altrettante porte.

Non si apre però una serratura descrivendola: gli Archetipi andavano attivati, come prevede la scienza alchemica. E per attivarli occorre sentirli e immaginarli, viverli, rivestirli di emozioni e memorie: ecco perché servivano delle storie costruite attorno agli Archetipi, accompagnati da illustrazioni (come gli emblemi dei testi ermetici).

Volevamo anche una certa dose di entropia: per cui dopo aver scelto sei compagni di battaglie con cui avevamo già lavorato e che sapevamo essere sulle stesse corde narrative, e gli illustratori, conosciuti in piena sincronicità junghiana proprio nella fase opportuna del progetto, è stata bandita da Edizioni XII una selezione editoriale aperta per gli altri quattro posti (che è stata estremamente folta e combattuta, ma anche molto sportiva e divertente).

Il libro è quindi una raccolta di racconti, sì, ma è anche un viaggio, un percorso attraverso queste dodici porte, dove ogni racconto è una chiave. E chissà cosa si troverà alla fine.

Risponde Luigi Acerbi

Perché proprio questi archetipi?

Dopo aver spiegato nel dettaglio la nostra concezione di archetipo e il respiro della raccolta che avevamo in mente, abbiamo lasciato agli autori la libertà di scandagliare il loro personale abisso e proporre ciò che avessero intravisto. Molti conoscevano già bene cosa vi avrebbero trovato – si prenda Il Demone per Danilo Arona –, altri hanno voluto esplorare profondità diverse dal solito, ma che in quel momento li attiravano in modo prorompente.

Questi archetipi rappresentano una delle infinite possibili proiezioni dell’Immaginario Collettivo – visto come una chimerica, immutabile struttura multidimensionale. L’umanità compie delle traiettorie attraverso questa architettura babelica di concetti; le ombre che essa proietta possono quindi mutare nel tempo a seconda di dove si trovi il pallido sole della realtà, ma sono gettate sempre dalle medesime forme primeve.

Forse un giorno, se mai la memetica sarà una scienza, potremo capire perché questi Archetipi in questo luogo e in questo momento, ma adesso il nostro approccio non può che essere quello dell’alchimia, laddove si osserva, si studia e – per i più saggi e pazienti – si compie l’Opera, ma ogni singolo passaggio racchiude un mistero ermetico che nessuno è in grado di spiegare davvero.

Le narrazioni del libro sono tutte qualitativamente molto alte e pare che si siano “accordate” a uno spartito unico, pur mantenendo ciascun autore le proprie peculiarità. Avete avanzato particolari richieste stilistiche o quest’accordo è stato un processo spontaneo?

Sullo stile abbiamo in modo analogo lasciato massima libertà, rispettando nella fase di editing le caratteristiche di ciascun autore. Oltre a un accordo spontaneo, sospetto però che ci sia anche una componente di retrocausazione.

Luigi Acerbi
Luigi Acerbi
Infatti, credo che in parte l’idea di forte uniformità emerga a posteriori perché tutti i racconti, pur con le loro peculiarità distintive, appartengono alla medesima, ancestrale regione della noosfera, e il nostro cervello se ne accorge molto bene – del resto è ottimizzato per trovare cause, origini, regolarità. La sensazione viscerale di uno spartito unico, quindi, è il modo con cui ci informa che – occhio – questi sono tutti archetipi, e hic sunt leones.

Abbiamo poi chiesto a ciascuno degli autori: «Come è avvenuto il passaggio dall’archetipo al racconto?». Ecco le loro risposte:

Danilo Arona

Per qualche motivo poco misterioso mi sono trovato a fronteggiare l'archetipo del Demone. Al che scelta obbligata, ovvero il demone sumerico dei venti, quel Pazuzu che invase Regan nei primi 2 capitoli de L'esorcista e che è tornato - innominato, ma è lui! - ne La genesi di Harlin. Il nostro è veramente un archetipo consacrato persino da Zecharia Sitchin al quale ho già dedicato due libri e un terzo in gestazione. Per quel che mi riguarda è un antico compagno di strada e, dato che non può esistere un copyright sul suo sfruttamento commerciale, farò mio il tentativo di trasformarlo in un personaggio di tutto rispetto nel panorama horror. Il racconto "jay.rtf" è la versione narrata di un presunto, "autentico", avvistamento risalente agli anni Ottanta. C'è un sacco di gente che sul pianeta Terra vede i demoni...

Daniele Bonfanti

Volevo declinare l’Archetipo il meno possibile, cercarlo nella sua forma più pura, distillata. Quindi è stato naturale decidere di esplorarne le radici, in equilibrio precario tra Storia e Mito. L’indagine sul Diluvio è intimamente legata alle origini e alla fine delle civiltà antiche: altro ingrediente da metterci. Poi, era mia intenzione concentrarmi sulla natura ciclica dell’Archetipo: quindi una storia antica che ritorna a galla grazie a tecnologie e uomini di oggi. La scelta contingente del Messico deriva da una chiacchierata in cui un amico archeologo mi raccontò di un ritrovamento reale appunto in Messico, che costituiva il perno perfetto per tutto questo (e la scusa per raccontare degli Olmechi).

Ian Delacroix

Il passaggio è stato naturale, non appena si è parlato di Archetipi ho pensato al mio feticcio per eccellenza, il golem, e a una città cui siamo entrambi legati: Praga.

La storia è venuta da sola, è stato sufficiente lasciarsi attraversare dalle numerose suggestioni che questo archetipo evoca.

Ho voluto inserire numerosi simboli e richiami in modo che il testo fosse un grosso mosaico che, a seconda di come lo si guarda, presenta ogni volta nuove sfaccettature.

David Riva

Per come è avvenuta la raccolta delle fonti, il processo di amalgama non avrebbe potuto essere più lineare: avevo il luogo, suggeritomi dalla lettura di un saggio sui Gulag sovietici, un collante che congiunge realtà e sovranatura (l’alchimia), e il materiale simbolico-esoterico dell’archetipo. La Fenice non poteva che essere una donna, fragile ma passionale, dotata di un potere inconsapevole: la protagonista, arsa dalla fiamma reviviscente, viene immersa in un’ambientazione glaciale, e l’unione di queste istanze estreme ha scatenato la deflagrazione delle forze sottese all’archetipo. Morte e resurrezione si inseguono dentro un’opera al nero, zeppa di elementi allegorici e di una natura in continua alternanza tra umano e sovrumano.

Giuseppe Pastore

Nel mio caso il percorso logico è andato dal Cannibalismo alla Fame, e da questa alle pulsioni che muovono i due personaggi principali: Marziale Tre-Dita, affamato di carne, e Re Syllion, bramoso invece di potere. Il primo è la personificazione di un bisogno primordiale vero e l’emblema della caduta di regole “civili” e perfino di legami di sangue dinnanzi alle necessità primarie; il secondo invece è l’espressione di un bisogno maslowiano solo secondario e quindi probabilmente anche meno accettabile.

In entrambi i casi, comunque, la loro necessità deve essere soddisfatta, e le vie per farlo sono più simili di quanto non sembri: Marziale mangia materialmente delle persone, e Syllion cannibalizza l’intera società umana rendendola selvaggia e bestiale.

Se lo scopo sia stato raggiunto non lo so, ma questa è l’idea di base del racconto.

Strumm

Scrivere dell'Uomo Nero dà grosse responsabilità. La documentazione sulle sue origini e presenza nelle diverse culture, e i miei ricordi d’infanzia sono stati la chiave: il nero e l'ignoto che, sempre in agguato, incontrollabili e imbattibili, sono il Golia di ogni bambino.

Volevo una storia nera, buia ed emotivamente molto densa. Al centro Davide con le sue paure, nella fase di passaggio all'età adulta, quando si affrontano le prove più dure, e ci si lancia contro l'ignoto più estremo, ma si ha ancora l’ardire che può cambiare gli equilibri nella vita. Davide, quindi, e Golia.

Davide è un bambino come tanti, e l'incomunicabilità è male attuale e diffuso.

L'Uomo Nero non può sparire, perché è nella natura umana la paura che lo anima.

Samuel Marolla

L’archetipo delle Sirene è talmente ricco e antico da poter trasformarsi in una miriade di tracce diverse. Nel mio caso, ho voluto essenzialmente creare qualcosa di semplice, utilizzando l’atavica paura del mare e delle sue creature, e richiamando il mistero dell’attrazione-repulsione verso queste creature fantastiche. Il tutto calato in una realtà folklorica nostrana, quella di un certo tipo di Sicilia legata alle tradizioni, con uno svolgimento e un clima tipicamente lovecraftiano. Chi sono queste creature? Da dove arrivano? Che cosa vogliono da noi? Queste le domande alla base del racconto. Beh, l’ultima ha avuto anche una simpatica risposta: divorarci tutti.

Biancamaria Massaro

Tra i vari archetipi che potevo affrontare, ho scelto “l’erede” perché volevo reinterpretare in chiave moderna l’inevitabile conflitto che si crea durante il passaggio di poteri tra una generazione e l’altra. Mi sono ispirata sia ai miti greci che a Biancaneve, però li ho rivisti sotto la nuova e tenebrosa luce che ci verrà offerta dai futuri e non troppo fantascientifici progressi della medicina. Questo mi ha permesso di creare una realtà in cui i genitori non affronteranno i loro figli, ma versioni “aggiornate” – e non per questo migliori – di se stessi. In una guerra in cui le parti in lotta sono una lo specchio dell’altra, non potranno esserci vincitori e i vinti perderanno in una sola battaglia l’umanità e la propria identità.

Alberto Priora

Volevo, fin dal principio, dare ampio respiro all’archetipo scelto (e non ridurlo a semplice metafora personale di un anonimo personaggio che si muove in una tradizionale trama chiusa) e anche non perdere quel senso di mistero e di scoperta epica (e anche di frustazione) che vedevo nei Confini del Mondo. Avevo già creato l’ambientazione di Altrove come mondo potenzialmente infinito, dove tutto è frontiera da superare e nulla è scontato; una volta individuati i due protagonisti principali, è stato naturale usarla trasportandovi esperienze, aspirazioni e delusioni di Alessandro e del Cartografo. Mescolare poi gli elementi fantastici (come gli alieni) a quelli ripresi dalla realtà (come la falange) è stata poi la parte più divertente ed emozionante.

Elvezio Sciallis

Temo che per il sottoscritto la risposta sia assai diversa rispetto a quella data da altri scrittori che hanno partecipato alla presente antologia.

Io non scrivo mai racconti su commissione o a tema per concorsi o raccolte, quindi non è avvenuto in me alcun tipo di processo che, partendo da un archetipo, mi portasse quindi a pensare a qualche tipo di narrazione.

Avevo un racconto pronto e per puro caso abbiamo notato, insieme ai curatori dell'antologia, come esso ben si accordasse al tema della natura in rivolta.

Il lavoro seguente è stato quello di limare quanto possibile per creare maggiore aderenza all’archetipo, lavoro che grazie alle capacità degli editor coinvolti è stato concluso in modo per me (e spero anche per i lettori) soddisfacente.

J. Romano

Nel mio caso non c’è stata premeditazione...

Decisi di scrivere "Il buio sotto la pelle" dopo essere stato ispirato da un film di D.Lynch, da un documentario che parlava di un disturbo del sonno e dal Cirque du Soleil: elementi provenienti da mondi diversi, nei quali incappai nel giro di pochi giorni, riuscivano a coesistere in una storia piuttosto solida. Pensai subito  d'inserirla in una mia raccolta - tuttora in fase di rifinitura - ma una volta iniziata la stesura mi resi conto di avere tra le mani un racconto che narrava (anche) di quel che può celare una "maschera", ovvero l'archetipo che avevo scelto. 

Una piacevole sorpresa!

Luigi Acerbi

L’archetipo e lo spunto fondante del racconto – le caratteristiche del culto della Church of Unity – sono emersi nello stesso istante, e non ho indagato oltre, accontentandomi come dicevo prima di osservare e riprodurre, senza capire il mistero della sorgente delle idee. Altri elementi della storia hanno invece radici più palesi, all’epoca stavo lavorando sulla tesi e per certi versi l’ambiente del Nucleo Anti-Mistificazione Religiosa richiama l’atmosfera un po’ folle e stralunata di certe giornate nell’aula laureandi di fisica teorica, così come il bizzarro approccio tra il pop e lo scientifico che viene riservato alle religioni in questo futuro prossimo lievemente discronico.