Si è appena concluso su Facebook il tuo giallo “Medina-La vedova in Rosso”, che vede ancora come protagonista quel Carlo Medina da te creato quindici anni fa e apparso la prima volta nel  novembre 1994 in “Milano da morire”, nel Supergiallo Mondadori n.1. Progetti per questo nuovo giallo a puntate?

Uno, immediato: la “replica” integrale su ThrillerMagazine, partita il 9 dicembre! “La vedova in Rosso” è nato nel 2004 per un'iniziativa congiunta del portale Lycos.it e del Giallo Mondadori. È tuttora il primo e forse unico Giallo Mondadori interattivo e ora che ne ho recuperato il testo da un vecchio hard disk, sono lieto di vederlo rinascere a nuova vita!

Nell’ultima puntata (la nona), una delle frasi di chiusura ha il sapore di asserzione: “La memoria è più forte di tutti noi.” Ce la spieghi?

La memoria è una delle mie ossessioni. Se cerchi di rimuoverla, prima o poi ritorna, perché sei costretto a rivivere gli errori del passato. Quindi è meglio coltivarla, diffonderla, preservarla e usarla per difenderci. Specie in un'epoca in cui si premiano ignoranza e oblio.

Carlo Medina lo troviamo anche, fino alla fine del mese, in edicola con la sua nuova avventura nell'antologia di SuperGiallo Mondadori “Il mio vizio è una stanza chiusa” (a cura di Stefano Di Marino). Medina è un killer che opera con le stesse tecniche di un investigatore privato. Per chi ancora non lo conoscesse, vuoi svelare qualcos’altro del tuo personaggio?

Copywriter pubblicitario negli ultimi anni della Milano da Bere, di cui ha intuito la fine imminente, coinvolto suo malgrado in un intrigo, ha scoperto che la sua creatività poteva essere impiegata in un altro ambito.

Ed è diventato un killer, sia nel senso letterale, sia nel senso di “killeraggio” dell'immagine pubblica di un bersaglio: viene arruolato da uomini di marketing e della politica, dirigenti d'azienda e malavitosi, perché ora la concorrenza è più forte e dopo la Milano da Bere è arrivata una Milano da Morire. Lavora come un tipico investigatore hardboiled, ma anziché risolvere i delitti, il suo mestiere sarebbe commetterli.

Cosa c’è di autobiografico in Carlo Medina? Si può definire Medina un incrocio tra te e Diabolik?

Medina è decisamente un mio alter ego, con tanto di baffi alla Charles Bronson... ma con un istinto criminale che io posseggo solo come scrittore, non nella vita. Diabolik e Medina sono di fatto anticorpi creati dagli ambienti in cui vivono: la Clerville ricca e corrotta del primo e l'Italia post-Tangentopoli del secondo. Sono criminali, è vero, ma i loro principali bersagli sono gli elementi peggiori delle rispettive società, quindi nel perseguire i loro interessi personali diventano accidentalmente due giustizieri.

E a proposito di Diabolik, parliamo del tuo sodalizio con questo eroe del furto.

È cominciato nel 2000, quando con il fumettista Alfredo Castelli (già sceneggiatore storico di “Diabolik”) stavo concludendo un romanzo a puntate su Internet con protagonista il suo Martin Mystère. Ci venne proposto di fare un'altra storia a puntate, con Diabolik, poi non realizzata. Quella fu però la scintilla che mi portò a scrivere “La lunga notte”, nel 2002. Il resto è venuto di conseguenza: mentre chiudevo il primo romanzo avevo già voglia di scriverne un secondo e dopo cinque anni di gestazione è arrivato “Alba di sangue”, che già prevedeva un seguito.

Quest'anno mi sono avventurato in un'altra sfida: proseguire la saga raccontando due vicende autonome e parallele, una dal punto di vista di Diabolik, l'altra dal punto di vista di Eva Kant: finalmente un romanzo con lei sola come protagonista assoluta. In questo modo sono nati “Diabolik-L'ora del castigo” ed “Eva Kant-Il giorno della vendetta”. E la storia non è ancora finita...

Per Diabolik ogni colpo è una sfida quasi elettrizzante. Tu hai mai rubato?

No, se si eccettua quando da bambino mi appropriai di 100 lire che mia madre aveva lasciato in giro, ma poi, stravolto dal senso di colpa, le ho rimesse dove le avevo trovate e nessuno si è mai accorto di niente: un delitto perfetto. Mi dichiaro tuttavia colpevole di appropriazione più o meno cosciente di idee e suggestioni da tutte le storie che ho letto e visto fin dall'infanzia. L'ultimo furto è ampiamente confessato: alcune idee dal thriller di Umberto Lenzi “Gatti rossi in un labirinto di vetro” per il mio racconto con Medina ne “Il mio vizio è una stanza chiusa”. Ma un paio di giorni fa lo stesso Lenzi mi ha scritto facendomi i complimenti! Quindi stavolta sono perdonato.

Ti hanno mai rubato qualcosa?

Purtroppo sì. E non solo, qualche tempo fa, la mia macchina fotografica digitale con le foto della mia presentazione della sera prima (maledetti!) ma molto di più.

Per esempio alcuni parenti non abbastanza lontani hanno saccheggiato eredità e patrimonio di famiglia: dopo dieci anni di costosa battaglia legale sono riuscito a salvare almeno casa mia. Inoltre più volte sono stato derubato dei frutti del mio lavoro, e l'ultima – la più grave – risale a un anno fa. Sarebbe meglio essere vittime di Diabolik: almeno lui corre rischi personali, non si nasconde dietro un'apparente legalità sapendo che oggigiorno una banale sopraffazione nella maggior parte dei casi rimane impunita.

Stai finendo il libro “Le grandi spie” che uscirà per Vallardi (Lonaganesi). Ci dai qualche anticipazione?

Un progetto a cui posso dire di avere lavorato per trentadue anni! Intorno al 1977 avevo già preso la decisione che sarei diventato uno scrittore di storie di spionaggio e che quindi mi dovevo documentare. Poi lo sono divenuto davvero: con alcune storie di Medina – tra cui il mio libro di maggior successo, il thriller “Morte accidentale di una lady”/“Ladykill” – e i romanzi della serie “Nightshade”. Nel frattempo ho scritto anche articoli su spie famose del mondo reale e la fiction radiofonica su Mata Hari con Veronica Pivetti.

Da tempo sognavo un intero libro sulle grandi spie: non una fredda enciclopedia, ma una raccolta di racconti lunghi e brevi basati su storie vere. Grazie a un archivio di ormai centinaia di volumi e alle interviste che ho fatto nel corso degli anni (compresa una a John Le Carré), ne è venuto fuori un concentrato di 310 pagine, completo di bibliografia e indice analitico: soltanto la “postproduzione” ha richiesto altri due mesi. Il risultato è, forse, il più completo e aggiornato lavoro divulgativo mai pubblicato sullo spionaggio e i suoi protagonisti, da Mata Hari fino ai giorni nostri. Di sicuro è il libro più impegnativo di tutta la mia carriera. Dovrebbe uscire nei primi mesi del 2010.

Puoi vantare una decennale esperienza di saggista e consulente editoriale. Ci parli di qualche libro importante che è passato tra le tue mani? Penso a Dexter, per esempio...

Dexter è stata una delle scoperte più piacevoli: nel 2003 mi passò tra le mani come dattiloscritto la prima stesura del primo romanzo, quello su cui si è basata la serie televisiva. In un periodo in cui i serial killer inflazionavano la narrativa gialla con storie che spesso imitavano stancamente stereotipi già visti, il personaggio di Jeff Lindsay era una ventata di originalità e ironia. Dissi: “Comprare subito!”

Nello stesso periodo lessi la spagnola Matilde Asensi, di cui ho poi tradotto due romanzi (“Iacobus” è stato anche finalista al Premio Bancarella), autrice che in Italia è uscita un po' in ritardo rispetto all'enorme successo in Spagna: prima, d'altra parte avrebbe rischiato di finire in una “nicchia” di scarso pubblico.

Nel frattempo però mi capitava di leggere le prime 150 pagine di un mediocre romanzetto di un autore americano, pompato da un'esagerata campagna di promozione a livello mondiale: per il pubblico italiano era una brutta copia di quello che avevamo letto per anni, da “Il pendolo di Foucault” ai fumetti di “Martin Mystère” e da noi sarebbe finito a un enclave di lettori che sarebbero pure rimasti delusi; spiegai a Sonzogno (che fu d'accordo) che solo Mondadori – con la sua forza sul mercato – sarebbe riuscita a rientrare del mezzo miliardo di dollari o giù di lì richiesto come anticipo, imponendo il libro proprio a chi non avrebbe mai letto Umberto Eco o Martin Mystère. Così Mondadori, Dan Brown e il suo modesto “Il codice da Vinci” (leggete i libri a cui si è ispirato e capirete perché dico “modesto”) hanno guadagnato i loro miliardi facendosi leggere da un pubblico che pensava fosse tutta farina del sacco di Brown. Ma, sull'onda, Sonzogno ha potuto pubblicare con successo anche Matilde Asensi, che i propri libri li aveva scritti prima e molto, molto meglio.

Sei scrittore e traduttore, la tua produzione spazia dal giallo, all’avventura, allo spionaggio e al fantastico. Hai scritto romanzi, racconti, saggi, sceneggiature per fumetti (Martin Mystère, Bonelli Editore) e fiction radiofoniche (Mata Hari, RaiRadio2). Ha pubblicato per Mondadori, Sonzogno, Addictions, Alacrán e altri editori. Hai quindi un’idea precisa del panorama editoriale oggi. Come funziona? Cosa funziona e cosa non funziona?

Tutto funziona piuttosto bene nelle piccole case editrici o in certe aree delle grandi case editrici in cui chi sceglie i libri conosce il proprio pubblico, lo coltiva e non lo tradisce. Tutto funziona male quando ci si affida al cosiddetto marketing editoriale... che andrebbe benissimo, se si rispettasse la vera filosofia del marketing. Ma è deleterio quando è affidato a persone che non sanno niente di libri e talvolta anche poco di marketing, che riempiono la testa dei loro capi di promesse che non saranno mai mantenute, e che sono abili solo nel trovare capri espiatori (o Cappi espiatori) per le loro sviste madornali.

Se costoro hanno una dose adeguata di arroganza e ipocrisia, di solito vengono promossi.

Sei molto amico di Andrea G. Pinketts. Definiscilo con i titoli di 5 libri.

Ha “il senso della frase” ma non “il vizio dell'agnello” o “il dente del pregiudizio”; paga sempre “il conto dell'ultima cena” e, malgrado il suo stile di vita, non si è ancora giocato “l'ultimo dei neuroni”.

Se dovesse parlare di te, cosa direbbe per descriverti?

Di solito dice “il mio braccio destro... se avessi bisogno di un braccio destro” e “un grande scrittore”. E poi parte a ricordare il periodo in cui sono stato al suo fianco nel 2000, quando fu l'unico essere umano a essere colpito dal millennium bug... In queste settimane mi sta restituendo il favore. Non ne ho mai dubitato.

Ci racconti un aneddoto (tra i tanti) delle vostre serate letterarie al locale Sud?

Di solito, proprio all'inizio di ogni serata al Sud di via Solferino a Milano, racconto un aneddoto sul suo conto, ma ultimamente mi sono lamentato dicendo che Pinketts – e io con lui – stavamo diventando troppo seri. Poi, l'ultima volta, proprio alla serata dedicata a Charles Bukowski, Pinketts si presenta con la faccia piena di lividi bluastri e abrasioni rossastre, e le nocche della mano destra escoriate, dopo una rissa di qualche sera prima. E dice soddisfatto: “Be', sono ancora in grado di suonarle a cinque avversari in un colpo solo... hah hah hah hah!”

Ci anticipi qualcosa sui progetti futuri?

“Segretissimo” attende il sesto romanzo con Mercy “Nightshade” Contreras, il penultimo prima della conclusione della sua saga, che è fermo da un anno a causa di altre incombenze lavorative. Lo riprendo tra pochi giorni per scriverne la conclusione, che aprirà la via all'episodio finale. Sempre per “Segretissimo” devo scrivere un nuovo romanzo di Medina, mentre sono in via di pubblicazione tra “Giallo Mondadori” e “Segretissimo” altre sue avventure più brevi. Tra noir e fantascienza c'è anche un romanzo breve inedito che dovrebbe uscire nell'estate 2010 in un altro speciale del “Giallo”, con un nuovo personaggio già apparso la scorsa estate nell'antologia “GialloLatino 2009” di Ego Edizioni: vorrei che fosse l'inizio di una nuova serie per la quale mi piacerebbe scrivere anche un romanzo più esteso. E poi ci sono un paio di progetti per romanzi storici, tra cui uno a quattro mani. Li trascurando per eccesso di impegni... non sempre retribuiti, ma noblesse obblige.

Salutaci estrapolando una citazione da Medina.

In un racconto intitolato “Piuttosto la morte”, gli faccio dire una frase che rispecchia la mia filosofia di vita: “Quando sai che non ti lasceranno mai vincere, hai un'unica scelta: continuare a combattere.”