racconto

Douglas Preston non è solo l'inventore di eccezionali storie criminali. È lui stesso un criminale.

Lo sospettavo da tempo. Non ricordo esattamente quando il dubbio cominciò a prendere corpo, sono tre anni che ci frequentiamo assiduamente. Forse, ma non ne sono certo, fu quando scoprì di avere preso casa, una bella villa dalle parti di Giogoli, a neanche cento metri dal prato dove nel 1983 il Mostro di Firenze aveva massacralo due turisti tedeschi.

Quando lo seppe, fu percorso da un brivido. Mi accorsi che era di piacere.

Era arrivato a Firenze con in testa la storia di un Masaccio scomparso, di studiosi americani che lo cercano e che vengono trovati ammazzati e senza occhi, perché quel quadro non può essere visto. Che io sappia, quella storia non 1'ha mai scritta. In questi tre anni ha pubblicalo altri due libri, "La stanza degli orrori" e "Natura morta", che mi ha dedicato. Il gesto mi aveva commosso; non avevo capito che era un cenno d'intesa da criminale a criminale.

Poi, un giorno, me lo ha confessato. Per e-mail.

Anche quando Douglas Preston, Doug per gli amici, abita a Firenze, io e lui comunichiamo spesso per posta elettronica. È un mezzo che consente di scrivere e di spedire in un attimo un pensiero che ti passa per la testa; a chi lo riceve, dà il tempo di rispondere quando ha voglia. Vantaggio enorme sul telefono.

Bene. Era la fine di maggio quando, con Kyky, Christine, Myriam, Franco e Paolo andammo a fare una gita e un picnic in un luogo affascinante e assurdo, l'ex area Nobel di Lastra a Signa. Novanta ettari di alberi e prati recintati, nessuna impronta umana, costruzioni industriali risalenti al primo Novecento semidistrutte, ricoperte in parte dalla vegetazione che sbuca dalle finestre, dai tetti crollati, dalle porte spalancate, che cresce sui tavoli di laboratori di chimica, sulle travi che ora stanno sul pavimento. Sono le fabbriche, i dormitori degli operai, le abitazioni dei dirigenti, i depositi della società che costruiva dinamite in Italia, proprietà di quell'Alfred Nobel che, a sconto della sua scoperta micidiale, istituì il premio Nobel.

Il picnic era abbondante e buono. Doug scomparve. Rispuntò dalla finestra al secondo piano di una palazzina semidiroccata. Sparì di nuovo.

In quei luoghi, che un Brian De Palma non avrebbe osato immaginare, stava commettendo omicidi efferati con la mente affilata.

Più tardi, a metà pomeriggio, qualcuno ebbe l'idea di andare fino a Carmignano, perché Doug e Christine potessero vedere la "Visitazione" del Pontormo nella chiesetta di San Michele.

Arrivammo a metà pomeriggio. Nel piazzale antistante la chiesa non c'era nessuno. Era domenica. Parcheggiai comodamente la mia Twingo d'argento. La porta della chiesa era chiusa, ma, accanto, era aperta quella che introduce a un piccolo chiostro. C'era anche una specie di locandina che pubblicizzava il quadro del Pontormo. Entrammo in chiesa da un ingresso secondario e subito, a sinistra, sopra un altare sconsacrato, intravedemmo il capolavoro.

Anche la chiesa era deserta e, con la sola eccezione di una ristretta area davanti all'altare con il quadro, era puntellata di tubi Innocenti.

La polvere alzata dai muratori si era depositata abbondante sopra il vetro che protegge la tavola con Sant'Anna e la Madonna. Un trespolo con tre lampadine ai piedi dell'altare la illuminava malissimo. Afferrai quell'aggeggio e, per meglio illuminare il quadro, lo poggiai sull'altare. Risuonò fortissimo l'allarme elettronico che ci fece stridere i denti.

Mi affrettai a riappoggiare il trespolo dove lo avevo preso. Non venne nessuno.

Poi fu Paolo che, volendo indicare un particolare, quasi sfiorò la tavola con l'indice.

Riscattò l'allarme e di nuovo i denti ci fecero male.

E di nuovo non arrivò nessuno.

Allora, da buon criminale, feci la prova: infilai la mano nell'invisibile fascio di particelle elettroniche e feci per la terza volta scattare l'allarme. Questa volta non ritrassi la mano.

Il suono altissimo risuonò per alcuni minuti.

Come avevo sospettato, non venne nessuno. A quel punto potevo essere cerio che non c'era nessuno a guardia di uno dei più celebri quadri di tutta la storia dell'arte.

Ma risalimmo nella mia Twingo d'argento e riprendemmo la strada per Firenze.

La sera, ormai solo a casa, ebbi un sussulto di sana criminalità. Mandai un e-mail a Doug: "Hey Doug, siamo proprio stupidi! Oggi avremmo potuto fare il colpo del secolo.

Avremmo potuto prendere indisturbati il Pontormo e, dopo una settimana in cui sarebbe scoppiato uno scandalo mondiale, lo avremmo riconsegnato al sovrintendente Paolucci.

Sarebbe stato un bello scoop! Oppure - aggiunsi - visto che stai per tornare in America, avresti potuto portarlo con te e venderlo al Getty Museum!".

La risposta, agghiacciante, arrivò quella sera stessa: "Hey Mario, siamo davvero due criminali. Anche io ho pensato che avremmo potuto prendere quel quadro. Ho anche notato che è fissato con sole otto viti, un lavoretto veloce. Ma è troppo grande per la tua Twingo. Quando torniamo a Carmignano, dobbiamo affittare un Doblò!".

Poi Doug è partito per il Maine, grazie a Stephen King luogo eccellente di crimini letterari. È rimasto lì tutta l'estate, in mezzo ai fantasmi ronzanti e zanzare silenziose, e sicuramente si è ricaricato.

E ora Doug sta per tornare.

 

Ferragosto 2003

 

Il racconto, già pubblicato su l'Almanacco del Giallo Toscano 2004, è stato ora riproposto in un minuscolo ebook.

Mario Spezi è autore di libri importanti, tra cui — elencando solo gli ultimi — Dolci colline di sangue. Il romanzo sul mostro di Firenze (Sonzogno 2006); The Monster of Florence (2008), scritto insieme a Douglas Preston, bestseller negli Stati Uniti, rimasto per otto settimane fra i top ten e che sarà portato sugli schermi da Tom Cruise; Un indagine estrema del commissario Lupo Belacqua (Barbera Editore 2009). Altri suoi libri sono stati pubblicati in Italia da Marco Tropea, Hobby&Work, Aliberti. Ha lavorato per il "New Yorker", "L'Espresso", "L'Europeo", "Panorama", "Gente", "La Nazione", "Il Corriere della Sera", nonché per la Rai e per Mediaset.