I

L’uomo irrompe nella sala dell’aeroporto seguito dalla sua pesante valigia. L’espressione agitata e i gesti nervosi indicano senza ombra di dubbio che si tratta di un viaggiatore ansioso. Uno di quelli che riescono a mandare in tilt anche l’hostess più paziente e finiscono inesorabilmente per innervosire chiunque si trovi nel suo immediato raggio d’azione.

La signora bionda che lo segue non sembra prestargli molta attenzione: trascina piuttosto pigramente il suo elegante trolley e ha addirittura l’ardire di fermarsi a comprare il giornale.

Il suo compagno si gira in preda ad un evidente attacco di panico: “Emì, ti sembra questo il momento di fermarsi all’edicola? Vuoi rimanere a terra?”

La signora sospira comprensiva: “Ma se mancano ancora due ore! Abbiamo tutto il tempo per fare il check-in e per rilassarci in attesa del volo. Dai Ciro, cerca di calmarti … Il nostro è un viaggetto romantico non una deportazione!”

L’uomo non sembra convinto. Continua a protestare e a borbottare ad alta voce mentre si incolonna dietro una famiglia di viaggiatori dall’aspetto nordico e dal contegno catatonico.

“Scommetto che ti sei dimenticata la prenotazione …” rincomincia all’indirizzo della sua compagna di viaggio, che, nel frattempo, ha scartato con invidiabile flemma un croissant ripieno di cioccolata.

“Eccola!” gli sussurra sorridendo. E intanto gli carezza il gomito con un gesto fra il sensuale e il rassicurante.

Ciro sospira. O meglio, tenta di rilassarsi facendo il solito esercizio respiratorio che gli ha insegnato il suo psicanalista.

Finalmente sono seduti, l’uno accanto all’altra, in attesa che l’aereo decolli.

Una hostess svizzera, immancabilmente bionda ed esangue, illustra mimando con gesti da marionetta quello che bisogna fare in caso di emergenza.

“Ecco, ci mancava anche questa scema che pretende di insegnarti come si naufraga comodamente dopo che l’aereo è precipitato in mare …”

“Tranquillo, Ciro, non dobbiamo sorvolare l’oceano ma solo qualche montagna. Fra un’oretta saremo a Zurigo e da lì arriveremo comodamente ad Istanbul. Tu ed io soli. E, come ogni coppia clandestina che si rispetti, ci chiuderemo furtivamente nella nostra camera di albergo…”

“A te sembra tutto facile! Già l’idea di dover partire da Napoli in treno e di dover prendere l’aereo a Firenze mi è sembrata un’assurdità. Sei sempre stata una donna complicata tu!”

“Scusa, ma che problema c’è? Siamo o non siamo una coppia di amanti, decisi a vivere la loro relazione adulterina sullo sfondo affascinante della Porta d’oriente?”

“Emilia, per favore, falla finita!” Ciro si gira verso l’oblò e guarda giù, al di sotto della coltre di nubi.

Sotto di loro, le case minuscole, i campi arati e le strade serpeggianti sembrano giocattoli in miniatura. Elementi perfetti di un plastico ordinato. Da lassù le ansie del mondo appaiono lontane e irreali. Ciro distoglie lo sguardo, cercando di rilassare i muscoli contratti. Si abbandona sulla poltrona e segue con gli occhi il percorso dell’aereo sulla mappa del piccolo schermo di fronte.

Emilia lo carezza lentamente sulla fronte, gli sorride e infine socchiude gli occhi. Non dopo averlo rassicurato con sollecitudine quasi materna: “Se vedi che ti viene l’attacco di panico, prendi subito il Tavor sotto la lingua!”

II

“Finalmente! Non ne posso proprio più... La prossima volta ce ne andiamo a Positano e chi se ne frega se ci riconoscono. Tanto sono sicuro che Rosetta ha già capito tutto. Figurati se crede alla storia del viaggio di lavoro. Sa perfettamente che da solo non vado nemmeno dal dentista …”

Ciro cerca disperatamente un fazzoletto di carta per detergersi il sudore dalla fronte. Ovviamente non lo trova e si innervosisce ulteriormente. Tira fuori un pacchetto di gomme alla doppia menta, un nebulizzatore di Vix e i resti della pastiera che Emilia aveva preparato per il viaggio. Del fazzoletto nemmeno l’ombra!

“Vieni, svelto! Prendiamoci i bagagli e cerchiamo un taxi. Questa è una città di 12 milioni di abitanti. Non credo che tu abbia la forza di salire su un tram o su un autobus. Guarda là che folla.”

“Brava, fammelo anche notare così mi viene un bell’attacco di claustrofobia!”

Emilia scuote la testa. Poi lo prende per mano e lo trascina verso il nastro che trasporta le valigie: “Ecco la mia. Fermala per favore!”

Ciro afferra il trolley. Un secondo dopo intravede la sua valigia, con il cartellino che indica nome e indirizzo del proprietario meticolosamente scritti con il pennarello verde. Ma, mentre protende il braccio per fermarla, una signora in tutta gli si para davanti e lo precede di un soffio. Ha già sollevato la valigia e sta per portarsela via. Ciro la blocca in tempo: “Sorry, this suitcase is my suitcase…” Ma lei sembra non capire. Lo fissa con certi occhi neri, completamente straniti e fa il gesto di strappargli di mano la valigia che lui tiene saldamente. Poi, all’improvviso, stacca la presa e si dilegua perdendosi fra la folla che si accalca all’uscita dell’immenso aeroporto di Istanbul.

“Hai visto, Emì? Siamo appena arrivati e quella ladra ha tentato di rubarmi il bagaglio. Ti rendi conto? E poi dicono male dei napoletani... E hai notato lo sguardo? Mi vengono i brividi a ripensarci.”

“Ma quale ladra?! Quella ha sbagliato valigia. Sono cose che capitano nella confusione. Ecco, chiama uno di quei taxi gialli. Guarda, Ciro… non sono per niente sgarrupati. E guarda là che aiuole di tulipani! Sembra di essere in Olanda... Ci pensi, siamo appena arrivati e tu, invece, di immergerti nel clima favoloso dell’antica Costantinopoli, stai a polemizzare su un banale scambio di bagagli. Dai, rilassati e godiamoci questa vacanza.”

“Please, Byzantium Hotel … Sultanahmet!” Il conducente del taxi sembra aver capito alla prima. Carica le due valigie e siede al posto di guida avviando il motore.

Emilia non si sconvolge troppo per la guida disinvolta del taxista. È abituata alle acrobatiche performance dei taxisti napoletani. Anche Ciro dovrebbe esserci abituato ma, come al solito, non riesce a tenere a freno la sua naturale vis polemica: “Ehi, ragazzo, cerca di non andare a fracassarti contro il tram. Mi piacerebbe vivere ancora qualche ora. Almeno il tempo di visitare S. Sofia … Attento! Accidenti, da queste parti le rotonde si prendono volando?”

Emilia lo mette a tacere con un bacio intenso e passionale. Uno di quei baci mozzafiato. Da film, tanto per intenderci. Il taxista sorride sornione sotto i baffi neri da pirata saraceno tristemente venduto al turismo di massa.

III

Finalmente Ciro ed Emilia ritirano la scheda magnetica della stanza n° 34. L’addetto al bureau è un giovane compassato che parla un inglese da manuale. Nella hall, due turisti giapponesi quasi tascabili consultano in silenzio una mappa della città, sprofondati nel divano di pelle dello stesso colore dei tappeti. La luce soffusa conferisce all’ambiente un’ atmosfera da tardo impero. Anche i quadri alle pareti evocano immagini di antica lussuria ottomana: harem popolati di giovani languide e velate, sultani armati di scimitarre con lo sguardo più annoiato che bellicoso, dervisci rotanti dotati di un apparato vestibolare a prova di vertigine, un ritratto imponente di Ataturk … Insomma un posticino confortevole e rassicurante. Scientificamente studiato per mettere a suo agio anche il turista più esigente. Ma non certo uno come il nostro Ciro!

“Guarda, c’è anche il bagno turco … Dai, prenotiamolo subito per domani! È un’esperienza che non voglio perdere.” Incalza Emilia entrando in ascensore.

“Tu sei pazza. Figurati se rischio un collasso in mezzo a tutto quel vapore! Lo sai che ho la pressione sotto i piedi. Tu vuoi uccidermi.”

Anche la camera del Byzantium Hotel non è niente male: piccola ma pulita. Inoltre, dalla finestra, si gode uno spettacolo da cartolina: da una parte, la cupola e i sei minareti della Moschea blu che splendono di una luce irreale e, dall’altra, la maestosa sagoma di Santa Sofia. Sullo sfondo, una luna incredibilmente rossa, che si riflette sulle acque luccicanti e increspate del Corno d’oro.

Per Ciro, uno spettacolo così dovrebbe essere più rasserenante di un massaggio shatsu!

Invece, un’inspiegabile inquietudine gli impedisce di rilassarsi e di godere di un paesaggio così magico.

Sdraiato sul letto, pensa che forse una bella doccia lo ritemprerà dalle fatiche e dallo stress del viaggio. Emilia,invece, sembra eccitata. Ha indossato un pantalone scuro e una camicia di seta intonata al clima della notte turca: mezze lune e stelle nere su sfondo rosso porpora. Chissà dove l’avrà trovata?!

“Per stasera sarà meglio cenare in uno di questi localini vicino all’albergo. Sembrano abbastanza tipici. Ma domani una bella camminata in questo dedalo di strade non ce la toglie nessuno. Non vorrai startene tutta la sera chiuso in albergo, eh?”

Ciro sbuffa, visibilmente contrariato. Poi si lascia prendere per mano e segue Emilia.

Poco dopo, per strada si lasciano irretire da un giovane cameriere che adesca i turisti fuori dal suo locale, facendo leva anche sull’odore di arrosto e di spezie che impregna l’aria. Ha lo sguardo smaliziato del mercante, conosce qualche parola d’italiano e assomiglia un po’ a Johnny Deep. Particolare che non guasta agli occhi di un’appassionata di cinema ed esteta dichiarata come Emilia.

All’interno del ristorante il clima è decisamente allegro. Forse per le lampade variopinte che pendono dal soffitto o per le ciotole fumanti colme di carni e verdure affogate in misteriose salse.

Se non fosse per un gruppo di turisti milanesi che urlano e ridono scambiandosi i piatti, ci si potrebbe anche abbandonare alla musica un po’ lamentosa di sottofondo.

Ciro consulta perplesso il menu. Alla fine, sia lui che Emilia ordinano il piatto forte della casa: “agnello della favorita del sultano”, sperando che i gusti di questa regale signora coincidano con i loro.

Emilia sembra a casa sua. Scherza con lo pseudo Johnny Deep e segue la musica oscillando la testa e battendo il tacco della scarpa sul pavimento. Ma, soprattutto, ride eccitata dalla novità. Proprio come una liceale in gita scolastica.

“Beata te che riesci a non pensare ai problemi … ” le sussurra Ciro con un pizzico di invidia.

“Quali problemi?” ribatte lei, affondando il coltello nella crosticina croccante dell’agnello della favorita.

“Ma come? Abbiamo una relazione che dura da più di un anno. Mia moglie ignora tutto. Tu mi imponi di dirle la verità al nostro ritorno e io dovrei sentirmi tranquillo e sereno come se niente fosse. Tu non conosci Rosetta. È buona a farne una tragedia. È sempre stata permalosa e incline al rancore!”

“Dio mio, come sei esagerato! Il mondo è pieno di gente che divorzia e che rimane in rapporti non dico amichevoli ma almeno civili … E poi siete fortunati perché non avete figli e siete benestanti. Anzi, diciamocelo pure, siete ricchi. In fondo, un divorzio consensuale non è un gran dramma.” Emilia si accalora nella discussione. Contemporaneamente si accanisce sull’osso da spolpare con la meticolosa precisione di un chirurgo.

Ciro non condivide affatto né la flemma dell’amante, né il suo fiducioso ottimismo: “Consensuale? Figurati se Rosetta accetta un divorzio consensuale. Toglitelo pure dalla mente. Ci sarà da combattere!”

“Ma se le hai appena intestato l’attico al Vomero e la villa sulla costiera amalfitana … ”

“Tu non conosci l’avidità di Rosetta. E il suo orgoglio. E la sua soddisfazione nel suscitare nel prossimo feroci sensi di colpa e rimorsi imperdonabili. Queste patate fanno un po’ schifo …”

“ Non ti preoccupare, le mangio io!”

Alla fine della cena Ciro sembra rassicurato. Sarà perché l’agnello della favorita non era niente male, sarà perché Emilia lo ha convinto che Rosetta non lo sopporta più e non farà troppe storie quando sarà il momento di farsi liquidare.

Insomma, si avviano mano nella mano attraversando il giardino a due passi dalla moschea.

La solita luna rossa illumina le aiuole di tulipani. Emilia si copre la testa con un foulard per ripararsi dalla leggera brezza che spira dal mare. I due passeggiano costeggiando il giardino mentre dal carretto di un ambulante si sprigiona l’aroma inebriante del caffè ottomano.

Ad un tratto un’ombra accovacciata per terra si protende in avanti. È una vecchia mendicante tutta intabarrata nei suoi cenci. Sta con il capo chino. Appena i due amanti le passano accanto sussurra qualcosa di incomprensibile e allunga una mano simile ad un artiglio. Emilia tira a diritto, mentre Ciro si ferma come paralizzato. La vecchia lo fissa con due occhi neri che sembrano quelli di uno sparviero e per un breve istante Ciro ne scorge l’espressione.

Un’espressione che ha già visto da qualche altra parte. Tira fuori una moneta dalla tasca e la getta nella mano della donna che lo ringrazia con una specie di ghigno.

“Emì, l’hai vista? Chi ti ricorda?”

“E che ne so?! Non posso certo conoscere anche le accattone di Istanbul…”

Ora Ciro affretta il passo. Il respiro diventa sempre più affannoso e una gran voglia di fuggire gli mette le ali ai piedi: “Svelta, torniamocene in albergo!”

“Ma che ti prende? La vuoi finire di farneticare? È mai possibile che tu non riesca a trovare un attimo di pace? Secondo me, quel tuo dottore ha sbagliato di nuovo la posologia del Sereupin.”

“Ma che diavolo c’entra il dottore? Quella donna … l’ho riconosciuta. Anche se era vestita diversamente. Era lei. Ti dico che era lei. Quegli occhi non si dimenticano facilmente.”

“Ma di quale donna parli?”

“Ma della ladra, no? Quella che mi voleva rubare la valigia all’aeroporto!”

Emilia lo guarda scuotendo la testa: “ Già, dal furto ora è passata direttamente all’accattonaggio e in poche ore è invecchiata di vent’anni …”

“Tu non mi credi, Emì … Pensi che sia pazzo. Ma io l’ho riconosciuta, capisci?” Intanto il tono della voce si è alzato e due ragazze di passaggio si girano a guardarlo. Un vecchio, intento a scopare il marciapiedi davanti alla sua bottega di frutta lo squadra incuriosito.

Emilia, spazientita, lo afferra per un braccio e lo trascina in direzione dell’albergo.

Varcata la soglia, la ragazza di turno al bureau sorride in maniera formale e allunga loro la scheda. Il cuore di Ciro è in tumulto, le mani continuano a sudare in preda ad un tremito incontrollabile. Emilia lo spinge in ascensore reprimendo uno dei suoi plateali sbadigli.

IV

Il Bazar egiziano è affollatissimo. Una marea umana, variopinta e senza alcuna fretta, indugia con flemma levantina dinanzi ai banchi dei venditori. Dovunque, enormi ceste traboccano di tè alla frutta, spezie e dolci di miele incastonati con mandorle grosse come diamanti. Ad ogni angolo è tutto un brulicare di carretti straripanti di ciambelle salate ricoperte di sesamo, pannocchie di granturco e castagne arrostite.

Emilia si sofferma a guardare e ad assaggiare ad ogni passo. Con grande irritazione di Ciro che, passa ben presto dal fastidio all’insofferenza evidente. Insofferenza che, dopo mezz’ora di contrattazioni, si tramuta in palese inquietudine: “Emì, datti una smossa. Io non ce la faccio più con tutta questa folla. Mi manca l’aria e quella poca che riesco a respirare puzza di sudore e di cannella. Vuoi che mi senta male?”

“Dai, non vedi come è esotico? Da noi un posto così dove lo trovi? Guarda, Ciro, ci sono le trecce con i pomodorini secchi … E le melanzane, i pistacchi e la frutta secca ricoperta di cioccolata!”

“Beh, questa roba c’è anche nei miei negozi!”

“Sì, ma costa un occhio della testa … Inoltre, le tue commesse non sono così folkloristiche. E poi, lasciatelo dire: la tua famosa catena “Primizie e delizie” avrà anche una clientela esclusiva e sarà senz’altro ben fornita ma queste coreografie te le sogni! Sarai anche un esperto di marketing ma non hai un briciolo di creatività e di fantasia. Non li vedi quei peperoni come sono sistemati? E che colori! Sembrano un quadro fiammingo: uno rosso, uno giallo, uno verde … Visto che sei nel settore potresti approfittare di questo viaggio per aprirti la mente e per confrontarti con altre strategie di vendita …”

Ciro sta per replicare che la geometria applicata al settore ortofrutticolo non gli interessa granché, quando una gomitata sul fianco destro lo fa girare di scatto. Il tempo per trovarsi, faccia a faccia (si fa per dire) con una donna anziana, completamente velata (eccetto gli occhi) che si fa largo fra la folla con la sua stazza imponente. Sembra che la massaia turca vada piuttosto di fretta perché è affannata e non fa attenzione nemmeno alla montagna di noccioline che oscilla pericolosamente al suo passaggio. Ciro, però, fa in tempo a fissare lo sguardo sugli occhi della sconosciuta. E questo gli basta per ripiombare nell’ossessione che lo tormenta da quando è arrivato ad Istanbul.

“Emì, andiamocene, per favore … andiamo via da qui!” il suo non è né un invito, né una supplica. Semmai è un grido di angoscia. Il grido di un uomo ormai convinto che i suoi incubi si siano inesorabilmente trasferiti nella realtà.

“Ma che diamine ti succede?” gli chiede Emilia allarmata. Un anziano si ferma e li osserva incuriosito, mentre un gruppo di bambini che giocano a rincorrersi è lì lì per investirli. Ciro non se ne accorge ma ha alzato il tono della voce. La sua agitazione non scalfisce l’indifferenza della folla ma qualcuno incomincia a girarsi e a chiedersi che cosa sia capitato a quel turista un tantino eccentrico...

Emilia è costretta a spingerlo verso l’uscita, camminando contro corrente, mentre lui farnetica di “occhi neri come la pece che hanno deciso di perseguitarlo fino a farlo impazzire”.

V

“Emì, sei sicura di aver capito bene? Ti pare possibile che per andare alla fumeria si debba passare per un cimitero?”

Ciro si guarda intorno, intimorito dalle lapidi chiare che si susseguono sia a destra che a sinistra del vialetto che hanno appena imboccato dopo aver lasciato la strada principale brulicante di folla. Nonostante il buio, su alcune di esse si distinguono chiaramente dei bassorilievi floreali, su altre delle scritte misteriose e su altre ancora degli strani turbanti. Ma di immagini dei defunti neanche l’ombra!

“Fidati di me!” risponde Emilia avviandosi in fretta verso una specie di baracca in legno, laggiù in fondo al cimitero. Attraverso le finestre illuminate si vedono le sagome dei clienti avvolte in dense nubi di fumo. Ciro sembra sollevato.

Appena entrati, una piacevole sensazione di benessere li fa sentire subito a loro agio. La stanza non è molto ampia ma i divani sono disposti in maniera tale da garantire una certa intimità.

In sotto fondo la solita musica lamentosa ma suggestiva.

Accanto a loro, un gruppetto di uomini conversa amabilmente, sorseggiando tè alla mela e fumando il narghilè. L’ambiente sembra quello di certi quadretti esotici che andavano di moda nei salotti del ‘700: tappeti rossi e neri a disegni geometrici e soffitto di legno scuro dal quale pendono grappoli di lampade che, riflettendosi nelle vetrate, si moltiplicano creando straordinari giochi di luce. Sulle poltroncine e sui divani i clienti sembrano immersi in un’atmosfera senza tempo, inebriati dal fumo e dal calore delle bevande.

“Spero che tu non vorrai mettere la bocca su uno di quei cosi immondi …” balbetta Ciro non appena il ragazzo con il grembiule gli chiede, in inglese, se vogliono fumare.

Emilia gli fa cenno di portare due narghilè e due bicchierini di “apple tea”. Solo quando arrivano due bocchini monouso asetticamente sigillati nel loro sacchettino di cellophane, Ciro si convince a fumare e finalmente si abbandona sulla spalla di Emilia.

“Ah, era dai tempi dell’università che non mi facevo una bella canna!” sospira pervaso da un’insolita serenità.

“Ma quale canna, Ciro … È un tabacco leggero, leggero. Roba da bambini. Non lo senti che sa di frutta? E non fa nemmeno male perché quando ti arriva in bocca è già depurato dall’acqua.”

Emilia tira un sospiro di sollievo nel vedere il suo compagno finalmente rilassato.

Ma è questione di poco. All’improvviso, un’ombra di preoccupazione passa nello sguardo di Ciro. Il solito pensiero ossessivo non vuole lasciarlo in pace e anche ora che potrebbe distrarsi non può fare a meno di tornare con il pensiero a tutte le disavventure della giornata che sta finendo.

“Se ripenso a quella donna che correva verso il treno, alla stazione dell’Orient Express, sono sicuro che stanotte la passo in bianco. Ti giuro che mi ha spinto di proposito. Per poco non mi ha fatto cadere sul binario. Era lei! Era la solita donna che mi perseguita da quando siamo arrivati a Istanbul.”

“Uffa, di nuovo con la storia degli occhi assassini … Scusami se insisto ma, se fossi in te, lascerei perdere quel tuo psicanalista da strapazzo e mi affiderei ad uno psichiatra di quelli che dico io. Guarda che incomincio a capire anche Rosetta. Non deve essere facile viverti accanto e sopportare tutte le tue fisime …”

“ Grazie per la comprensione! Se tu avessi osservato bene gli occhi di quella ragazza, nella sala del Topkapi non parleresti così! Con la scusa di ammirare il diamante di 86 carati, prima mi ha calpestato i piedi e poi si è girata di scatto lanciandomi la solita occhiata agghiacciante. Già, ma tu continui ad essere convinta che io soffra di manie di persecuzione. Me lo hai detto chiaramente anche poche ore fa, quando quella che si spacciava per una innocua turista francese mi stava spingendo nelle acque della Basilica Cisterna in bocca alle carpe affamate … E, all’ora di pranzo, mentre ti estasiavi ad ascoltare il muezzin fuori dalla moschea, chi ha cercato di farmi andare di traverso la pannocchia arrostita che stavo mangiando? Era di nuovo lei, stavolta travestita da casalinga turca. E si era portata dietro un nugolo di bambini sguaiati per nascondersi meglio. Ma era lei! Ormai la conosco come le mie tasche e sono in grado di intercettarla in mezzo alla folla, di avvertirne la presenza e persino l’odore …”

Ciro si è agitato di nuovo. È tutto sudato e il tremore gli fa cadere il narghilè dalle mani.

Emilia cerca di calmarlo ma la sua pazienza è al limite. I clienti accanto li osservano discretamente. Uno di loro fa un cenno di commiserazione al cameriere. È troppo!

“E ieri sera a Taksim? Tu non te ne sei accorta perché eri tutta presa dai negozi. Ma io l’ho vista di nuovo lungo Istiklal Caddesi … Era sul tram che sfrecciava fra la folla e mi ha lanciato un’occhiata da farmi rabbrividire. Ho avuto proprio la sensazione che mi invitasse a gettarmi sulle rotaie …”

Ora Emilia non lo ascolta più. Paga in fretta e lo spinge verso l’uscita.

Nel buio, fra le lapidi, continua a farneticare. E, mentre inveisce contro la sua ignota persecutrice,  non si accorge che il laccio della borsa di Emilia gli appare all’improvviso davanti alle gambe. È questione di un attimo! Ciro inciampa nel laccio, barcolla e infine cade pesantemente a terra. C’è mancato poco che sbattesse la nuca contro una lapide più alta delle altre.

VI

Emilia ha deciso di fare la crociera sul Bosforo. Non ha voluto sentire ragioni. E Ciro, alla fine, si è rassegnato.

Se ne sta zitto e corrucciato sul ponte del battello, mentre la costa gli scorre accanto mostrandogli le ville di legno dove i nobili turchi della Belle Epoque si godevano le vacanze estive.

Lancia qualche occhiata distratta ai gabbiani che solcano il cielo facendo la spola fra Europa e Asia. Ma il suo pensiero è altrove.

Sul ponte c’è troppo vento per Ciro. E il vento lo rende nervoso. Così lascia Emilia in estatica contemplazione del palazzo di Dolmabahc, che ostenta i suoi marmi e i suoi giardini davanti allo sguardo ammirato dei turisti, e si ritira sotto coperta, deciso a conquistarsi un posto a sedere. ll più lontano possibile da tutti quei passeggeri fastidiosi.

Mentre scende le scalette di legno, si volta a guardare la sua compagna. Il vento del Bosforo le scompiglia i capelli e lei si abbandona, lasciandosi coccolare dal rumore del motore e dalle grida dei gabbiani. Sul suo viso Ciro non può fare a meno di leggere una specie di composta soddisfazione, che, invece di contagiarlo, lo inquieta ancora di più, senza che ne riesca ad intuire il motivo. “Beata lei!” sussurra fra sé e sé, quasi invidioso.

Ma un turista annoiato è un boccone troppo goloso per il lustrascarpe di turno, deciso a guadagnarsi la giornata a spese degli ingenui stranieri vogliosi di sensazioni esotiche da raccontare.

L’uomo tira fuori dalla sua cassetta tutta la sua usurata attrezzatura: una spazzola, un barattolo di lucido e uno straccio così sporco che ha sicuramente lustrato gli stivali di un intero esercito di giannizzeri. Con un balzo felino, accompagnato da un sorrisetto furbo e servile, afferra un piede di Ciro e fa il gesto di appoggiarlo sulla cassetta. 

La reazione del mancato cliente è tanto istintiva quanto repentina. Scatta in piedi e per poco la scarpa prigioniera non sferra un calcio in faccia all’incauto “sciuscià”.

Dopo aver liberato il mocassino, Ciro si alza dal sedile e si precipita verso il ponte, non senza inveire furiosamente all’indirizzo del lustrascarpe attonito e deluso.

Un gruppo di turisti italiani commenta la scena alternando battute e risate.

Ora Ciro ha bisogno di aria. E di silenzio. Ma il rumore che proviene dalla sala macchine gli rimbomba il cervello. Si guarda intorno disperato, in preda ad un’irrefrenabile desiderio di fuga.

Sa che l’unico rimedio è allontanarsi dalla folla, rifugiarsi in un angolino appartato e rassicurante e, soprattutto, respirare lentamente. Ecco, laggiù, vicino al parapetto del battello, lontano dalla calca …

L’aria del Bosforo ha qualcosa di magico perché sa di storie antiche. Ma, in questo momento, Ciro non è affatto in grado di apprezzare né il peregrinare avventuroso degli eroi omerici né le gesta ardite dei conquistatori di Costantinopoli. A lui interessa soltanto che questa maledetta crociera finisca il prima possibile!

Intanto, la costa continua a scorrere come nel fotogramma di un film, alternando cupole scintillanti a minareti aguzzi, ponti moderni a fortezze antiche.

All’improvviso una ragazza bruna con una gonna variopinta da zingara gli si accosta con la mano tesa.

Ciro sta per respingerla con un gesto di diniego quando … di nuovo quegli occhi!

La testa incomincia a girargli come una trottola e le gambe non lo reggono più. Un urlo soffocato gli muore in gola. La ragazza lo fissa in silenzio. Come fa un serpente di fronte alla sua preda. E non ha bisogna nemmeno di tanta forza per spingerlo oltre il parapetto perché lui l’ha preceduta di una frazione di secondo, sporgendosi verso le acque increspate del Bosforo.

Meglio affrontare l’abisso piuttosto che quegli occhi del colore della pece!

VII

Emilia è esausta. Prima la ricerca frenetica di Ciro scomparso nel nulla. Poi la testimonianza della giovane zingara. Infine l’estenuante interrogatorio della polizia turca.

Sono le dieci di sera quando riesce a tornare in albergo. Il ragazzo di turno al bureau, che ha già saputo dell’incidente, le offre un caffè con aria contrita. Come vogliono le  circostanze. Lei rifiuta con un sorriso mesto e si avvia verso l’ascensore tormentandosi i capelli spettinati.

Solo dopo che la porta della camera si è chiusa dietro di lei, riesce a tirare un sospiro di sollievo. Si toglie le scarpe, tira fuori il portatile dalla cassaforte e si collega in fretta, premendo sull’icona di skype.

Ecco, la persona che cerca è in linea! Così, quando appare il simbolino verde del telefono, non le resta che pizzicarlo con il mouse e la telefonata inizia. Una telefonata discreta, senza pericolo di essere intercettati. Che bella invenzione, la rete!

“Allora, è andata?” chiede una voce un po’ concitata dall’altra parte. Contemporaneamente appare nel quadratino anche l’immagine di una giovane donna bruna che muove le mani con visibile nervosismo.

“Direi di sì … ” risponde Emilia, più compassata.

“Ma l’hanno trovato?”

“Per ora no. Mi hanno fatto capire che domani mattina incominceranno a dragare il fondo nel punto in cui si pensa che sia caduto …”

“Caduto o scaraventato?”

“Fa qualche differenza?”

“Eh, sì, cara Emilia … Se si è suicidato, il compenso per la nostra attrice è uno. Se, invece, gli ha dato fisicamente una mano, è chiaro che il prezzo sale. Vorrei essere sicura, prima di pagarla. Mi sa che quella è furba e vuole sistemarsi una volta per tutte. Così può mandare finalmente a quel paese la compagnia di teatro sperimentale di Forcella …”

“Ascoltami, non mi sembra proprio il caso di tirare sul prezzo... Tu erediti tutti i suoi beni e io incasso l’assicurazione sulla vita che ha stipulato in mio favore. Come vedi ce n’è abbastanza per tutte e due! In fondo, la ragazza ha lavorato in maniera professionale e senza lasciare tracce. Ti assicuro che è stata proprio brava. Lo ha esasperato con i suoi “occhi di pece” in un crescendo veramente micidiale. Veramente degno di un film di Hithcock... E dire che Ciro, nonostante la sua nevrosi, non è … cioè non era … certo uno sciocco... ”

“D’accordo. Alla parcella di “occhi di pece” ci penso io! Tu, piuttosto, cerca di rimetterti dalla fatica. Mi raccomando, recita la tua parte fino in fondo e, soprattutto, cerca di immedesimarti nel ruolo dell’amante inconsolabile!”

“E tu in quello della vedova affranta. Magari fai un giro per i negozi a fare un bel necrologio davanti ai dipendenti. Tanto ora è tutta roba tua.”

“Va bene. Ora ti saluto. Buona fortuna, Emì e … grazie di tutto!”

“Anche a te, Rosetta. Con tutto il cuore!”

L’immagine si dissolve dopo essersi dilatata e deformata. Infine, il computer si spegne. Emilia si spoglia e lascia che l’acqua bollente della doccia le lavi le membra dalla stanchezza, dall’ansia e … dagli eventuali rimorsi.

VIII

La solita comitiva di turisti italiani sosta davanti alla stazione dell’Orient Express a Sirkeci. La guida spiega che chi vuole assistere allo spettacolo serale dei dervisci deve prenotare. Altrimenti non entra.

“Per di qua, prego. Ora vi mostrerò il museo dell’Orient express dove sono conservati tutti i cimeli del famoso treno passeggeri che collegava Parigi a Istanbul … Attenzione, state lontani dai binari.”

L’uomo è abituato a intrattenere i turisti. Sono sei mesi che fa questo mestiere ed è molto richiesto dalle agenzie. Primo perché è italiano. Secondo perché si capisce subito che è istruito. Terzo perché il mistero che circonda la sua persona rappresenta un ottimo incentivo per richiamare i clienti. Diciamo che la storia del suo miracoloso salvataggio e l’enigma della sua identità gli garantiscono un discreto reddito mensile. Senza contare le mance.

Una signora particolarmente loquace non lo lascia in pace un minuto. Non vede l’ora di rivolgergli qualche domanda personale, anche se conosce già tutti i particolari. Glieli ha raccontati la sua amica che ha fatto lo stesso viaggio organizzato due mesi prima dalla CAP di Prato.

“Dunque lei è il famoso naufrago salvato dal pescatore di Uskudar…” attacca subito appena entrata nella saletta del museo, invece di ammirare le foto e gli arredamenti del treno più celebrato dell’ ‘800.

“Per servirla, signora!” risponde pronto il nostro animatore turistico, ormai abituato a recitare notizie storiche, artistiche e personali, senza distinguere più le une dalle altre.

“Dunque lei non ricorda proprio niente del suo passato?” “Assolutamente niente!”

“Ma allora lei è come lo smemorato di Collegno! Che emozione …”

Da una delle finestre del museo si intravede la bandiera turca che sventola contro un cielo al tramonto che sta per lasciare il posto alla sera. L’uomo sospira: “Non creda che sia così terribile non ricordare il proprio passato. Può darsi che non sia stato un granché. Le confesso che il presente non mi dispiace affatto. Istanbul è una città unica al mondo e ormai qui mi sento a casa mia.”

“Possibile che non le riaffiori alla mente nessun particolare della sua vita precedente? Che ne so, un viso, una situazione, un’emozione …”

“Oh, di emozioni ne provo tante, eccome! Ma non riesco a collocarle nel tempo e nello spazio. Vede, è come se avessi in mano tanti pezzetti di un puzzle e non riuscissi a sistemarli nel posto giusto. A volte mi capita di afferrare un particolare ma subito dopo mi sfugge …”

“In che senso?”

“Le faccio qualche esempio. Quando accompagno i turisti al bazar egiziano mi incanto dinanzi ai peperoni... ”

“Ai peperoni?”

“Esattamente! Lei non può immaginare l’emozione che mi danno a vederli così colorati e disposti sui banchi in maniera tanto armonica. Certe volte penso di essere stato un pittore o, perlomeno, uno dotato di grande senso estetico. Invece, quando devo accompagnare le comitive a visitare il palazzo di Topkapi, mi devo fermare all’ingresso dell’harem.

Non so come mai ma l’idea di tante mogli tutte insieme mi mette addosso una grande agitazione. Evidentemente non devo aver avuto una vita coniugale molto soddisfacente.” L’uomo sorride per sdrammatizzare. È abituato a suscitare curiosità negli ascoltatori. E ogni volta si diverte ad aggiungere qualche particolare romanzesco in più.

“Vede, signora, io sono il solo a permettermi il lusso di immaginarmi come voglio. Hanno fatto tante indagini ma nessuno è riuscito a darmi un nome e allora io mi chiamo come desidero io. Secondo le esigenze del momento e secondo l’umore. Visto che mi hanno salvato dalle acque, potrei chiamarmi Mosè. Oppure potrei avere il nome di un grande conquistatore. Che ne so? Cesare, Alessandro o magari Ciro … Sì, ho deciso. Ciro mi piace proprio!”

“La sua storia mi mette i brividi. Lei sembra uscito pari pari da un dramma di Pirandello.” osserva eccitata la signora, che da anni è una fedele abbonata del Club degli Editori.

“Signori, la visita sta per finire. All’uscita della stazione troverete il vostro pullman” taglia corto lo smemorato di Istanbul, che non vede l’ora di tornarsene nella sua casetta di legno sulle rive del Bosforo.

Intanto si diffondono le prime note di musica sufi che accompagneranno lo spettacolo serale.

“Se c’è una cosa che non sopporto sono i dervisci rotanti. Solo a guardarli mi gira la testa. Presto, signori, la visita è finita.”

La signora lo saluta con molta cordialità proprio sotto l’enorme ritratto di Ataturk: “Arrivederla e speriamo che recuperi la memoria.”

L’uomo sorride: “Speriamo …”

Ma forse non è troppo convinto. E se ne va, con le mani in tasca e il vento in faccia, mischiandosi alla folla che attende il tram.

Nell’aria l’odore del kebab si mischia a quello dei fumi di scarico delle auto che sfrecciano incuranti dei pedoni lungo la grande strada scintillante di insegne luminose.

In alto, sopra la stazione, la solita bandiera turca continua a sventolare sullo sfondo di un cielo ormai scuro, punteggiato da qualche stella dalla luce ancora sbiadita.

Dedicato a Ilaria, Monica, Ernesto, Lucio, Emilia, Raffaele, Maria, Enzo, Cecilia ed Egidio, fedeli amici di una vacanza turca.

Laura Vignali è nata nel 1957 a Pistoia, dove vive e insegna lettere all'Istituto Tecnico Commerciale "F. Pacini". Ha pubblicato due romanzi gialli: Il treno fischiava ancora, Pescara, Tracce 2007 e Tutta colpa di Amalia, Viareggio, Del Bucchia 2007. Il suo racconto inedito L'ultima sfida nel far west padano ha partecipato al "Premio Europa" per la narrativa gialla e noir al femminile, classificandosi al I° posto. Nel 2008, sempre per Del Bucchia editore, è uscito il giallo Il dottor Bencistà e il segreto delle tre donne sole.  www.lauravignali.blogspot.com