La signora Miranda alzò gli occhi dalla pagina 128 della “Vita della beata Salvina”.

Ogni giorno, appena sveglia, prima ancora del caffè, quel testo edificante l’aiutava a meditare sui frutti della santità e  le dava la giusta carica energetica per affrontare le difficoltà quotidiane di “questa valle di lacrime”.

Dalle persiane socchiuse della stanza da letto filtrava un debole raggio di luce. Miranda spense l’abat–jour e, con l’aria  appagata, chiuse il libro. Ma, nello stesso tempo, non poté fare a meno di gettare la solita occhiata di commiserazione all’indirizzo del comodino di suo marito, letteralmente invaso da un esercito di volumi immorali che, a suo giudizio, avrebbero inesorabilmente condotto il suo perverso consorte alla perdizione finale. Bastava leggere i titoli. “Dalla littorina al pendolino”, “Uomini e treni”, “La ferrovia delle Dolomiti”, “Il binario racconta”, e ancora: “Locomotive da corsa”, “La direttissima degli Appennini”, fino alla monografia moralmente più pericolosa: “Ferrovie e miniere in Toscana”.

Mentre la signora sospirava con riprovazione, Gualtiero Bianchi Bindi, ingegnere della Breda in pensione, aprì rumorosamente la porta spingendola con un ginocchio, dal momento che le sue mani erano occupate da una pila di scatole, che teneva miracolosamente in bilico una sull’altra.

“Allora io vado a Prato. C’è l’assemblea dei ferromodellisti e, siccome bisogna eleggere il consiglio direttivo, può darsi che faccia tardi … Anzi, guarda, alla tua ora, mangia da sola. Io mi arrangio con un panino al bar della stazione. Ciao Miranda!”

L’ingegnere si dileguò in un batter d’occhio con il suo carico di modellini ferroviari, ansioso di farli girare sul plastico della Direttissima che faceva bella mostra di sé negli scantinati della stazione di Prato.

“Non vedo l’ora di provare il nuovo carro gru di Linea Model. L’ho assemblato con tanta fatica. Ma è venuto quasi perfetto. Farò crepare d’invidia il Bagazzini…”gongolava fra sé e sé mentre imboccava l’autostrada.

Dopo tanti giorni di pioggia, il cielo sembrava volgere al sereno. I campi erano avvolti in una nebbiolina leggera ma nell’aria si incominciava già ad avvertire la fine dell’inverno.

Gualtiero si sentiva libero. Libero e quasi felice.

Ad essere sinceri, da quando aveva deciso di dare una svolta alla sua vita, qualche vago senso di colpa si era talvolta insinuato fra i progetti e i sogni di redenzione. Ma li aveva subito ricacciati indietro, confortato da milioni di giustificazioni assolutorie.

Come si poteva tollerare più a lungo la convivenza con Miranda senza imboccare il vicolo cieco della paranoia? Non che lui avesse niente da ridire sui digiuni, le veglie di preghiera e gli esercizi spirituali della consorte… Ma, si sa, anche l’individuo più paziente, prima o poi, arriva ad un bivio. L’alternativa era una sola: continuare a mortificarsi o cercare di assaporare qualcosa di diverso prima che fosse troppo tardi. Così, un pomeriggio noioso, nel buio della sua cantina attrezzata a officina, mentre osservava pensoso il 656 Caimano che sfrecciava impavido da una galleria, aveva finalmente deciso di uscire dal buio.

“Non posso dire che Miranda sia cattiva! – pensò a voce alta, mentre la sbarra del telepass gli apriva la via verso orizzonti che odoravano di libertà. – Diciamo, piuttosto, che, con il passare degli anni, ha accentuato un po’ troppo gli aspetti ossessivi e rituali del suo carattere. Capisco la genuina religiosità ma tutta quella mortificazione delle passioni terrene, a lungo andare, diventa proprio insopportabile.”

Superata la rotonda di Pratilia, l’ingegner Bianchi Bindi si era ormai convinto di avere tutte le ragioni per riconquistare la sua perduta libertà.

Una volta parcheggiata la Megane Scenic nel piazzale della stazione, ogni residuo senso di colpa era definitivamente evaporato insieme alla brina del mattino, cosicché si diresse, fischiettando con passo deciso, verso la sede del gruppo ferro modellistico pratese.

Miranda aveva già indossato il pellicciotto sintetico e stava per chiudere la porta di casa, quando  si accorse di aver dimenticato la bolletta del consorzio Ombrone già scaduta da un mese.

“Ma dove l’avrò messa? – si chiese mentre rovistava nella borsetta – “Scommetto che l’ha nascosta Gualtiero, in mezzo a tutti i suoi fogliacci…”

La signora entrò sbuffando nello studio. Incominciò a rovistare sulla scrivania del marito, affollata di giornali e di mille misteriosi oggetti indispensabili ad un ferromodellista degno di questo nome.  Due  decoder caddero a terra. Miranda non si curò di raccoglierli. Tutti quei demoniaci aggeggi sparsi ovunque per la casa avevano il potere di innervosirla fino a farle compiere gesti distruttivi e pericolosi per la pace familiare.

Gualtiero lo sapeva e, quando sua moglie decideva di mettere ordine, si rifugiava immediatamente nella cantina, per la quale era riuscito ad ottenere lo status di “zona franca”. Lì poteva dare libero sfogo alla sua passione, senza subire  attentati e ritorsioni.

“Scommetto che l’ha infilata in qualche cassetto, scambiandola per l’abbonamento a una di  quelle sue  stramaledette riviste. Che vuoi che gli importi se dopo arriva la soprattassa? Già, lui non si occupa delle faccende di casa... è troppo preso dai suoi  trenacci!”

Miranda si scostò dagli occhi un ciuffo di capelli grigi sfuggito al fermaglio e aprì con violenza il cassetto della scrivania. Subito lo sguardo le cadde su una busta azzurrina  che se ne stava tranquillamente adagiata sull’ultimo avviso della riunione mensile del “Gruppo ferro modellistico Porrettana”. Incuriosita, la prese in mano, non senza un inspiegabile timore. 

La busta non era chiusa e il foglio, anch’esso azzurrino, sgusciò fuori senza opporre alcuna resistenza. Anzi, sembrava che non vedesse l’ora di essere letto.

Toh, la lettera era indirizzata proprio a lei!  Quindi non era indiscreta se  si soffermava a leggerla in anteprima …

Quanti anni erano che suo marito non le scriveva? Almeno dai tempi in cui frequentavano i campi scout.

Cara Miranda,

mi dispiace dirtelo così, per scritto, ma sai che sono sempre stato un po’ vigliacco e che non sono più capace di sostenere quel tuo sguardo da Savonarola indignato. Sì, è vero, non ti sopporto più. Specialmente quando mi rimproveri perché non seguo le direttive ecclesiastiche e mangio le salsicce il venerdì.

Quello che sto per compiere è, in effetti, un atto poco ortodosso. Diciamo pure che è una carognata. Ma ti assicuro che ci ho pensato bene e ho deciso che preferisco affrontare la punizione divina riservata agli adulteri piuttosto che continuare a sopportare una routine che mi rende profondamente infelice.

Ti posso  assicurare che, se non ci fossero stati i pomeriggi a Barbaricina, nel retrobottega dell’elettricista pisano e i viaggi con “Gli amici della Porrettana”, mi sarei già sparato con la carabina della buon’anima del nonno Athos. Ma ho fatto bene a resistere fino ad ora perché la Provvidenza (o chi per lei) ha avuto pietà di me e mi ha voluto concedere una possibilità di fuga, proprio sulla soglia dell’andropausa. Questa possibilità ha un nome: Ljudmila. E anche  un aspetto che tu non esiteresti a definire “peccaminoso”: venticinque anni,  bionda, occhi verdi, più curve della Faentina.

Insomma avrai capito che sto per partire con lei verso una nuova esistenza in terra moldava. Meno ascetica ma sicuramente più appagante.

Per risarcirti del mio ignobile, ma per me salvifico, tradimento, ti lascio una parte dei nostri risparmi, la casa e, con un gesto di profondo affetto nei tuoi confronti, tutti i miei modelli. Abbi cura di loro, per rispetto alla nostra passata vita in comune. Ti saluto e ti auguro di trovare la serenità, magari in uno di quei bei conventi Bed & breakfast che vanno tanto di moda.

Baci, tuo Gualtiero.

Miranda lasciò cadere il foglio, insieme a due biglietti aerei.

Li raccolse con le mani tremanti e lesse un nome che non aveva mai sentito: Chisinau.

L’ingegner Bianchi Bindi appoggiò i trenini sulla cassapanca dell’ingresso ed entrò nel salone con fare circospetto.

Miranda lo accolse seduta su un panchetto di fronte al camino acceso: “Allora, come sono andate le elezioni del consiglio direttivo?”

Gualtiero rimase stupito dal suo tono di voce stranamente calmo, privo di quell’accento  astioso che da troppi anni avvelenava ogni tentativo di dialogo.

Ma non ci fece troppo caso. Forse Miranda era soddisfatta per il successo della fiera di beneficenza. O per la sospensione “a divinis” di qualche prete eretico e fedifrago.

“Bene, bene … – rispose distrattamente, togliendosi il piumino sponsorizzato Rivarossi – Sei pronta per il viaggio a vapore di domani?”

Era il momento buono per tirare fuori il cartoccio delle salsicce che aveva comprato, come ogni venerdì, dal norcino vicino alla stazione di Prato.

Quando lui prese la griglia e la pose in mezzo ai ceppi incandescenti, Miranda non fece neppure la solita smorfia di disgusto. Lo lasciò fare, osservando con lo sguardo perso le fiamme che proiettavano ombre surreali sul muro di fronte e le scintille che schizzavano come stelle cadenti. Istintivamente le venne da esprimere un desiderio. Un desiderio che si sarebbe ben presto trasformato in realtà…

E mentre Gualtiero si sporgeva in avanti per girare le salsicce sulla griglia, Miranda capì che era giunto il momento.

“Mi è andata di lusso. Lo sai che volevano eleggermi tesoriere? Figurati se avevo voglia di prendermi una simile responsabilità. Alla fine sono riuscito a convincerli e abbiamo votato tutti per Brunello. Sai, quello che sa sempre tutto e che non vuole essere contraddetto… Accidenti, questa si è quasi bruciata.”

L’ingegnere si protese verso la fiamma per recuperare la salsiccia sfuggita al forchettone. E fu in quel mentre che Miranda, preso l’attizzatoio, lo scagliò, con la precisione di un lanciatore olimpionico, sulla nuca del marito.

Il colpo fu talmente inatteso che lui non si accorse di nulla. Il suo viso  accaldato passò, in meno che non si dica, dalle fatiche dell’arrosto alla pace eterna.

La salsiccia, ormai carbonizzata, emise le ultime gocce di grasso, che andarono a soffriggersi sulla pietra del camino, simili a saporite lacrime di compianto.

Miranda osservò imperturbabile la camicia di flanella che prendeva fuoco. Quando, infine, le fiamme avvolsero anche i pantaloni di velluto insieme al corpo massiccio e sanguigno di Gualtiero, aprì la finestra, respirando voluttuosamente l’aria della notte, mista al fumo che si sprigionava da quel rogo purificatore.

“Bella grigliata ieri sera, eh Miranda? Il fumo è uscito dal comignolo per tutta la notte. E che odorino ! Era rosticciana? Immagino che abbiate avuto diversi invitati… ”

La vicina di casa, nota per la sua totale assenza di riservatezza, tentò di continuare la conversazione per acquisire qualche altro indizio utile per la sua indagine.

Ma Miranda aveva fretta e la chetò con cortese fermezza: “Già, una cena con qualche amico di mio marito.”

“Ah, ecco perché avete affumicato tutto il quartiere! Si sa, queste riunioni fra uomini vanno per le lunghe: una mangiata, diverse bevute, una partitina a tressette, qualche sigaro, un cognacchino… Ci vuole pazienza, cara la mia Miranda.”

“Altro che pazienza ! Arrivederla, Silvana.”

“Arrivederla… e  mi saluti  Gualtiero!”

“Grazie, presenterò.” – rispose Miranda, sporgendosi dal finestrino, mentre avviava frettolosamente il motore della Seicento.

Mezz’ora dopo arrivò trafelata alla stazione di Pistoia, dove una folla chiassosa e festante si accalcava  vicino ai binari.

La locomotiva a vapore, tutta imbandierata, scalpitava in attesa della partenza, mentre due  fuochisti con il viso impiastricciato di fuliggine gettavano il carbone nella voragine del forno.

Miranda stava per dirigersi verso la carrozza di coda quando un nugolo di bambini guastatori fu lì lì per investirla. La salvò un signore distinto, con il piumino del “GFP”, che la spostò appena in tempo.

“Stia attenta, signora Miranda. Questi ferromodellisti in erba sono alquanto pericolosi. Ma dov’è Gualtiero?”

“Buon giorno, presidente. Sono sola, purtroppo. Mio marito si è svegliato con una brutta sciatalgia e ha preferito rimanere a letto. Io non volevo venire, ma lui ha insistito tanto …”

“Mi dispiace per il povero Gualtiero. Su, salga con noi. Vedrà che si divertirà di sicuro!”

“Ehi, il treno parte, sbrigatevi!”, urlò dal predellino un giovane alto, armato di telecamera.

“Presidente, in carrozza!”, urlò un altro aggiustandosi il cappello a tesa larga  che sapeva  di fumo.

In quel mentre l’orchestra dei Paracadutisti intonò le note struggenti di un famoso pezzo di Glenn Miller.  Gli ultimi passeggeri, come in una vecchia cartolina d’inizio secolo, si affrettarono a salire sulle carrozze storiche. Alcuni di loro, affacciati ai finestrini, salutavano con i fazzoletti, altri si stipavano sui sedili di legno, incuriositi dalla novità e affannati dalla corsa.

Il capostazione fischiò. La locomotiva sbuffò e, con un’ultima potente impennata, si slanciò, ansante, pronta ad affrontare l’arduo percorso della Porrettana, accompagnata dal rumore dello scappamento.

Il Presidente del “GFP” sospirò estasiato: “Notate il sublime biellismo!”

“Questa sì che è poesia…” – gli fece eco Aldemaro, affacciandosi al finestrino e aspirando, voglioso, l’aria impregnata di fumo.

Miranda taceva, seduta in maniera composta sul suo sedile.

Il Paolatti si tolse il cappello e sedette di fronte a lei: “Così Gualtiero ci ha tirato il bidone, eh? Glielo dico sempre che non ha più l’età per certe bisbocce. Scommetto che gli è venuto anche il suo solito bruciore di stomaco…”

Miranda gli rispose con fare distaccato, mentre tirava fuori dalla borsa un libriccino dalla copertina rosso cardinale: “Già, sì, proprio il bruciore!”

Nessuno dei presenti osò più distoglierla da quella che sembrava una lettura davvero avvincente.

Solo il giovane Simeone provò a sbirciare il titolo e ne rimase  sinceramente colpito: “La fiamma del peccato”.

“Ognuno ha le sue perversioni” – sentenziò fra sé e sé, pensando con rimpianto alla cabina del macchinista a lui preclusa. E dire che avrebbe potuto dispensargli qualche utile consiglio tecnico!

Frattanto, la locomotiva si avventurava impavida lungo i binari e ad ogni stazione si ripeteva la solita scena di Pistoia.

Ogni volta che ripartiva era un’apoteosi. Una celebrazione densa di allegra nostalgia e, al tempo stesso, una manifestazione futurista. Un rito per iniziati. Un vero e proprio inno al vapore!

Superato trionfalmente anche il mitico Ponte alle Svolte, il macchinista aumentò la velocità, lasciandosi dietro un acre odore di fumo.

Miranda era sempre più assorta nella sua lettura, in uno stato di imperturbabile distacco.

Solo quando giunsero all’altezza della Galleria dell’Intronato, la signora si alzò come un automa.

Si avviò nel corridoio, lanciò un’occhiata tutto intorno e, quando si fu accertata di essere sola, tirò fuori dall’inseparabile borsa una scatolina di legno della Roco Collection.

L’aprì con compassata ritualità, facendo scorrere il coperchio. Poi si affacciò al finestrino e, con gesto quasi sacerdotale, lasciò che la polvere contenuta nella scatola cadesse leggera lungo i binari, subito dispersa dal vento frizzante dell’Appennino.

“Addio, Gualtiero…” – mormorò Miranda, accompagnando le parole di affettuoso commiato con un’impercettibile smorfia delle labbra.

Quel pomeriggio, l’aeroporto di Pisa non era particolarmente affollato. Se non fosse stato per qualche passeggero che aspettava il volo in compagnia delle proprie valigie, si sarebbe potuto scambiare per un accogliente centro commerciale. Alcuni cercavano di ammazzare l’attesa bevendo un caffè al bar, altri sbirciando distrattamente la vetrina della libreria. Qualcuno si era perfino addormentato sulle poltroncine di fronte al distributore di pop corn. 

Miranda, superate le porte automatiche, avvertì subito un tepore confortante.

Un bimbetto le tagliò la strada urlando, inseguito da una madre infuriata che parlava una lingua sconosciuta. Un paio di militari sfrecciarono accanto a lei, impassibili nella loro divisa, mentre due ragazze molto alternative trascinavano una via di mezzo fra un trolley e una pilotina. 

Miranda cercò con lo sguardo i pannelli luminosi con le scritte che segnalavano le partenze e gli arrivi, ma non riuscì a trovare quello che cercava. Consultò l’orologio: non c’era nessun motivo di innervosirsi, dal momento che aveva tutto il tempo per compiere la sua missione.

Cercando di mantenere la calma, si avviò verso il box delle informazioni e bisbigliò qualcosa all’indirizzo della ragazza dietro il banco. Parlottarono per qualche secondo. Alla fine, Miranda sembrò soddisfatta e si diresse verso la seconda fila di passeggeri che aspettavano il chek–in.  Per fortuna, non erano molti. Evidentemente era presto e quel volo non era affollato...

“Meglio così!” pensò Miranda accodandosi dietro ad un tizio elegante, con lo sguardo impenetrabile e una valigetta di pelle scura.

Con l’aria più indifferente possibile incominciò a scrutare ad una ad una le persone che la precedevano nella fila.

Davanti a quello che sembrava un uomo d’affari – ma poteva anche essere, indifferentemente, un pedofilo in trasferta o un epigono di James Bond in missione speciale – c’era una coppia anziana dall’aspetto alquanto dimesso. Lo sguardo di Miranda andò oltre. Ecco un ragazzo con un giornale tedesco in mano, una suora dall’espressione poco mistica e una ragazza con un ridicolo scialle in testa. No, non erano loro che cercava! Vuoi vedere che aveva sbagliato l’ora e il giorno?

Miranda si accorse di essere agitata dalle mani che non riusciva a tenere ferme oltre che dal caldo improvviso che le fece avvampare il viso. Guardò ancora oltre e distinse chiaramente una ragazza alta … e bruna. Accidenti, non poteva essere lei!

Ad un tratto, si sentì urtare da una gomitata sconosciuta. Si girò di scatto  e si ritrovò faccia a faccia con una giovane donna, che si guardava intorno con un paio di occhi verdi e smarriti, scuotendo una gran massa di riccioli biondi che le ricadevano su uno scollo generoso.

Miranda esultò. Il cuore prese a batterle all’impazzata, ma si ricompose subito. E la voce le uscì spontanea, prima ancora di formulare il pensiero: “Ljudmila?”

La ragazza si girò immediatamente, fissandola stupita: “Sono io… ma, scusi… lei chi è?”

L’accento era inequivocabile. Ora era veramente sicura che quella vichinga spaesata fosse la padrona delle curve che facevano concorrenza alla Faentina!

Allora Miranda si fece forza e assunse un’espressione cordiale. Quasi affettuosa. Addirittura materna: “Cara, che piacere conoscerti… Non ti dispiace, vero, se ti do del tu? Potresti essere mia figlia… E che bella figlia! Sì, è vero, Gualtiero ha sempre avuto gusti raffinati, in fatto di donne. Anche la brunetta del mese scorso era piuttosto caruccia  Veniva da Santo Domingo. Invece quella con cui voleva fuggire per Natale mi pare che fosse tedesca … No, mi sbaglio,  era slovena. Sì, slovena! Sai, lui dice sempre di essere cosmopolita. Così ogni volta vuole sperimentare una nazionalità diversa.”

La bionda la guardò sbigottita. Miranda notò con soddisfazione che il labbro inferiore incominciava a tremarle vistosamente. Ad un tratto le cadde anche il voluminoso beauty case che teneva nella mano libera dalla valigia.

“Non capisco…” – farfugliò Ljudmila.

“E invece capisci perfettamente, bambina mia. Non lo sai che gli uomini sono tutti  bugiardi? Dai retta a me, che ho una certa esperienza: non te la prendere. Anzi devi essere contenta perché con i soldi che Gualtiero mi ha pregato di consegnarti puoi comprarti un bel quartierino nella Repubblica Moldova e anche tanti bei vestitini… E poi, vuoi mettere? Ti sei liberata di lui che, detto fra noi, per te è un po’ troppo stagionato. E, anche da quel punto di vista lì, non è poi un granché. Fra noi, che lo conosciamo,  possiamo anche dirlo: più che un motore elettrico è… un diesel ingrippato!” 

Dagli occhi di Miranda, di solito così ascetici, trasudavano lampi di compiaciuta crudeltà. 

Subito dopo, con uno scatto fulmineo, tirò fuori dalla borsa una busta voluminosa e un biglietto aereo, che mise  fra le mani della bionda esterrefatta.

Ljudmila era visibilmente sotto shock ma non abbastanza per non rendersi conto di quello che le conveniva fare. Mormorò qualche parola spezzata nella sua lingua, mise la busta nel marsupio allacciato alla vita sopra l’ombelico scoperto, prese il biglietto e, calpestando i piedi al presunto uomo d’affari che la precedeva, si mise in fila.

Miranda tirò un sospiro di sollievo e fece dietro front.

Arrivata all’uscita si girò appena in tempo per notare la bionda che implorava con un timido sorriso la protezione del suo nuovo compagno di viaggio.

“Speriamo che non sia un trafficante di ragazze perdute…”  – pensò preoccupata Miranda.

Infine, afferrato il rosario che teneva nella tasca della pelliccia, uscì dall’aeroporto, respirando a pieni polmoni l’aria fresca che veniva dal mare.

“Avete saputo della fuga del Bianchi Bindi?” – chiese Simeone entrando nella sede del “GFP”.

“Che storia – osservò il Presidente,  afferrando una carrozza Castano–Isabella appena deragliata – e dire che sembrava uno tutto “casa e stazione”!

“Sono quelli più pericolosi – rincarò la dose il Paolatti – sembrano rassegnati alla monogamia e poi, all’improvviso, restano folgorati da un paio di tette e addio alla moglie, agli amici e alle littorine …”

Il Presidente, che non amava il gossip, azzardò una debole difesa d’ufficio: “Non si può mai giudicare. Mi dispiace solo per la povera signora Miranda …”

“A me, no! – intervenne Aldemaro –  Quella vecchia beghina è davvero insopportabile. Io Gualtiero lo capisco. E, detto fra noi, lo invidio anche.” 

Il Presidente osservò, con accenti di  vivo rimpianto: “Almeno avesse pensato a lasciare i modelli al “GFP”. Gualtiero possiede un vero e proprio patrimonio. Giovedì scorso siamo stati tutto il pomeriggio nella sua cantina, noi due soli, a far girare le  sogliole nuove che ha comprato a Viareggio da “ Treni & Treni”. Una meraviglia! Io mi domando come possa aver rinunciato a tutto questo per una ragazzina che ha un terzo dei suoi anni …”

“Io, invece, – lo rimbeccò nuovamente Aldemaro –  se mi chiedessero di scambiare tutti i miei carri artigianali con una polacca di vent’anni, quasi, quasi  ci farei un pensierino… “

Il Presidente si sentì in dovere di richiamare all’ordine i presenti: “Per favore, ragazzi, non superiamo i limiti della decenza. Credo, anzi, che dobbiamo ricordare il nostro amico e socio di tanti  momenti gloriosi, con il rispetto e l’amicizia che ha sempre meritato.”

“Ehi, aspettiamo a fargli il necrologio. Non è mica morto! Anzi, secondo me, a quest’ora sta meglio di noi.” E qui il Paolatti ammiccò in maniera più che eloquente.

Miranda chiuse le persiane del salone.

Alla radio avevano appena trasmesso “il sermone della sera” e si apprestavano a mandare in onda un radiodramma della serie “Invito a cena con delitto”. Le sembrò opportuno spegnerla.

Mentre stava per salire in camera, un’idea le baluginò, improvvisa, nella mente e, invece di salire le scale, incominciò a scenderle, animata da un istinto irrefrenabile.

La porta della cantina emise un cigolio sinistro ma Miranda non ci fece caso. Accese la luce e si fermò davanti al mirabile plastico che il marito aveva montato nell’arco di quindici lunghi anni. Anni durante i quali aveva assemblato, segato, dipinto, incollato e digitalizzato, con l’entusiasmo di un adolescente soggiogato dal primo amore.

Ora era lei a scrutare il carro gru in miniatura, la piccola stazione, le mucche microscopiche che pascolavano sul pratino incollato di fresco e, soprattutto, le tre sogliole verdi, con il loro tettino grigio e lucente. Tre  piccoli gioielli del ferromodellismo. Tre fulgidi testimonianze di come l’uomo riesca talora ad interagire armonicamente con la macchina, compenetrandosi in essa attraverso un processo di  goduriosa identificazione.

Miranda, dopo un breve attimo di esitazione, prese in mano il trasformatore e spense la luce. Quindi pigiò il pulsante e immediatamente le tre sogliole incominciarono a muoversi ordinatamente sui binari, simili a  piccoli  mostri degli abissi.

I loro occhietti maliziosi illuminati da una luce azzurrina e irreale baluginavano nel buio della cantina, emettendo bagliori seducenti e sinistri.

Miranda sorrise come ipnotizzata e il sorriso si tramutò gradualmente in una risata isterica che le scosse il petto con violenza. Ad un tratto, scossa da un tremore inarrestabile, prese il trasformatore che aveva appoggiato sul tavolo del plastico e lo scagliò con furore contro il mobile degli attrezzi. Le sogliole si fermarono come per incanto e la cantina piombò nel buio.

Allora Miranda parve rendersi conto di quello che aveva fatto. Si chinò e incominciò a cercare al tasto il trasformatore caduto per terra.

Eccolo! Era ancora intero... L’avrebbe riacceso e avrebbe contemplato di nuovo la magia delle sogliole che incedevano come regine in corteo, tronfie e orgogliose nella loro inimitabile eleganza.

Miranda pigiò di nuovo il pulsante ma un lampo improvviso la scosse da capo a piedi. Non fece nemmeno in tempo a gridare perché cadde riversa sul pavimento, accanto al compressore.

Sui binari, le tre sogliole la contemplarono, immobili, con i loro occhietti di ghiaccio.

Laura Vignali è nata nel 1957 a Pistoia, dove vive e insegna lettere all'Istituto Tecnico Commerciale "F. Pacini". Ha pubblicato due romanzi gialli: Il treno fischiava ancora, Pescara, Tracce 2007 e Tutta colpa di Amalia, Viareggio, Del Bucchia 2007. Il suo racconto inedito L'ultima sfida nel far west padano ha partecipato al "Premio Europa" per la narrativa gialla e noir al femminile, classificandosi al I° posto. Nel 2008, sempre per Del Bucchia editore, è uscito il giallo Il dottor Bencistà e il segreto delle tre donne sole.  www.lauravignali.blogspot.com