Difficile sottrarsi al plauso unanime che ha accolto Gran Torino, forse l’ultimo film di Clint Eastwood che ha annunciato il desiderio di dedicarsi d’ora in avanti solo alla regia.

Compito difficile si diceva…

Qualche perplessità sulla storia rimane ma farne una colpa al buon Clint è comunque difficile, anche se la conversione del suo personaggio da becero razzista a padre putativo del giovane Thao, suo vicino di casa asiatico di stirpe Hmong (un gruppo etnico asiatico che parla la lingua di Hmong e che vive nelle regioni montagnose del Sud della Cina e nelle regioni dell'Asia sud-orientale, Vietnam, Laos, Myanmar e Thailandia del Nord). è troppo repentino per convincere davvero.

Comunque le perplessità sono impacchettate tra un inizio monumentale, con un Eastwood da brivido congelato com’è in un mondo, il suo, che rigurgita razzismo, e un finale quasi alla stessa altezza (anche se con un sottofondo di ingenuità che lo guasta un po’…).

Rimane il fatto che la parte scritta meglio dell’intero film è quella del giovane sacerdote. Qualcosa vorrà pure dire…