Mi allontanai dalle luci il più possibile, seguendo il sentierino di campagna per raggiungere il posto.

Lei abitava lì ormai da un annetto, la vedevo quasi ogni notte, ultimamente, venire fuori dall'uscita secondaria e aggirarsi furtiva tra l'erbaccia incolta e poi raggiungere a testa bassa il fienile.

Alcune volte ci incontravamo in cortile, per caso, e ci guardavamo di traverso conoscendo entrambi i nostri reciproci pensieri. Negli ultimi tempi era diventata più sospettosa, anche perché avevo sentito il pianto del piccolo proprio vicino all'uscita secondaria. Lei lo aveva ricacciato dentro con malagrazia, poi era andata, ma ero sicuro che non mi aveva visto né sentito.

Faceva sempre il solito percorso, che ormai avevo imparato a memoria, e usciva sempre alla stessa ora, quando ormai era troppo buio per essere vista. Attraversava il cortile della cascina, entrava nel fienile, rubava la frutta, quella che riusciva a trovare, oppure un uovo dal pollaio, poi ritornava sui suoi passi, silenziosa e quasi invisibile, rientrando dall'entrata principale.

Era un bersaglio facile, il più facile che mi fosse capitato da un paio d'anni.

Avrei potuto afferrarla appena fuori dell'uscita, ma il problema era il piccolo che avrebbe sentito le grida della madre e si sarebbe messo a strillare attirando una folla di curiosi. Perciò avevo scartato la prima ipotesi e avevo ideato un nuovo piano che avrei messo in atto proprio quella sera.

Mi nascosi dietro al carro piccolo. Le luci della cascina si stavano spegnendo, perciò il contadino doveva essere in procinto di coricarsi.

Era una serata tranquilla d'estate, senza stelle e senza luna, c'era anche un bel venticello fresco. Studiai attentamente il percorso che avrei dovuto effettuare tra le ombre e attesi. Il cortile della cascina era lastricato di selci, e qua e là il contadino aveva disposto alcune aiuole contornate da sassi lisci e bianchi, dove aveva seminato le zinnie e i tulipani in ordine sparso.

Accanto alla casa si ergeva il portico con il fienile e il pollaio, le cui colonne erano coperte di buganvillee. Sotto il portico c'erano ogni genere d'attrezzo agricolo, che nelle ombre di una notte senza stelle assomigliavano ai mostri che popolavano i miei incubi.

Lei sbucò senza far rumore, al buio, come sempre dall'uscita secondaria.

Stavolta non si sentì la voce del piccolo, forse aveva atteso che si addormentasse prima di uscire.

Lei era bruna, del colore della terra arata nei campi in autunno, slanciata e dalle curve morbide. Si muoveva quasi come se non toccasse terra. Potevo sentire il suo profumo portato dall'aria mischiarsi all'odore del fieno secco sparso nel cortile, quel tipico profumo delle madri che allattano, qualcosa che mi riportava a indelebili ricordi d'infanzia.

Si avviò guardinga scivolando sopra l'erba secca che nasceva tra le fessure del lastricato, fermandosi ogni tanto di scatto e guardandosi attorno, ascoltando il rumore del vento.

Era furba.

Ma io lo ero di più. Non mi avrebbe mai sentito arrivare.

Raggiunse il portico con un paio di falcate, e io dietro a lei di pochi metri. Stava entrando nel pollaio, silenziosa, senza esitare stavolta.

Ne uscì senza nulla in mano, forse aveva pensato bene di cenare prima di fare razzia nella frutta. Le vidi negli occhi scuri quella soddisfazione che poteva avere solo un ladro.

Non mi vide, né mi sentì neppure questa volta.

Forse non era così furba come pensavo. Ero quasi deluso.

Attesi qualche minuto dietro ad una colonna del portico. La sentivo rovistare nella cassetta delle mele. Faceva un chiasso d'inferno. Avrebbe svegliato tutti.

Finalmente uscì. Si stava mangiando l'ultimo pezzetto di mela e sembrava un po' disorientata. Attesi di nuovo che si allontanasse verso l'entrata principale. Era più lenta ora, più tranquilla.

Con un salto le balzai al collo e strinsi. Lei iniziò a scalciare, a divincolarsi. Non riusciva ad emettere un vero e proprio grido, solo un rauco rantolo. Tentò di rivoltarsi, graffiandomi, e dovetti gettarla al suolo e tenerla giù, soffocando il rantolo nell'erba secca del cortile. Era più forte di quel che pensavo, riuscivo a malapena a tenerla, ma si agitava troppo anche se la stretta era mortale.

Non volevo ucciderla subito, avrei voluto divertirmi un po', come facevo di solito, ma lei era troppo grossa, non avevo calcolato la sua forza. Se avessi allentato la presa avrei rischiato di lasciarmela sfuggire.