Prima che sia troppo tardi

Sto fumando un po’ d’erba per calmare i nervi. Mi volto verso il leone e rimango a fissarlo. Ha lo sguardo perso e la bocca aperta proprio come me. Ma lui ha le zanne così non mi sento di provocarlo.

 

Mi giro e dico a Marco di darmi spazio. Gli chiedo quand’è stata l’ultima volta che s’è fatto i cazzi suoi. Lui alza le spalle e dice: «Non voglio vederti scappare.»

 

«Mica scappo.» mi viene da rispondergli. Ma la frase rimane sospesa a metà e il mio sguardo è di nuovo rivolto verso quello del leone.

 

Non è proprio intero, c’è solo la testa che emerge dalla parete di pietra.

 

Marco mi spinge. «É al vento che stai consumando quella cazzo di canna?»

 

«Pazzesco ‘sto quartiere.» mi viene da dirgli. Ma la frase rimane di nuovo sospesa a metà quando vedo una sagoma comparire oltre l’arco di via Tagliamento.

 

«É lei.» dico.

 

«Si.» dice lui.

 

«Beh, vattene.» gli dico.

 

«Che cazzo, no.» dice. «Sono stato qua al freddo fino adesso.»

 

«Non ce la faccio con te qui davanti.»

 

«Io non me ne vado.» dice.

 

«Non sono stato io a chiederti di aspettare qui.»

 

Lui aspira e dice: «Non me ne vado.»

 

«Cazzo.» dico. La guardo e vedo che si avvicina. «M’innervosisci.»

 

«Sei stato un’ora a fissare il muso di quel leone.» risponde. «Mi vuoi dire che lui non ti da fastidio?»

 

«Eh?»

 

«Il leone, il leone!» ripete come se fosse ovvio.

 

La vedo mentre si stringe nel cappotto. Sento il rumore dei tacchi sul marciapiede.

 

D’un tratto mi piglia l’agitazione.

 

«Andiamocene tutti e due.» dico. «Lo faccio un’altra volta. Non sono pronto.»

 

«Quanto pensi che ci metta ad arrivare qui in piazza?» dice lui. «Anche se non t’ha ancora visto, andandotene ti farai notare.»

 

Io mi giro verso il Villino delle Fate. Davanti stanno giocando a pallone dei ragazzi del liceo, così dico a Marco: «Ci uniamo a loro.»

«No.» dice lui. «Non mi va di giocare a calcio, adesso…»

 

«É solo per non farci vedere.» dico io.

 

«Tu vai.» alza le spalle Marco.

 

«Come?»

 

Lui si volta verso di me e dice: «Non fare il pivello, cazzo.»

 

Lei ha quasi raggiunto piazza Mincio e il ginocchio mi trema da solo per il nervoso.

 

Mi viene in mente che forse la sicura è ancora inserita.

 

Lei procede svelta e mentre sto per decidere d’impegnare il ginocchio tremante per sollevarmi e imprimerle il fatidico foro in fronte, un pallone mi si ferma in mezzo ai piedi.

 

Io e Marco lo osserviamo. Poi guardiamo i ragazzi che a loro volta guardano noi e non dicono una parola. La mia attenzione torna a lei.

 

«Ehi.» dice un ragazzino.

 

«Sssh.» fa Marco.

 

«Ma che cazz…»

 

«Sssh.» ripete Marco.

 

«Vogliamo solo il pallone.» dice il ragazzino.

 

Lui d’un tratto si fa prendere dal nervoso e lancia la palla nel giardino della villa.

 

«Andatevelo a prendere e non rompeteci il cazzo.» dice.

 

Io lo guardo cercando di capire che gli prende, poi mi volto verso i ragazzi accorgendomi che ci vengono incontro.

 

«Ecco la cazzata più grossa che potessi fare.» dico.

 

«Tu stai zitto e accoppa la troia. Sta serata comincia a darmi sui nervi.»

 

«Ma non le vedi che stiamo per essere circondati da una scolaresca di testimoni?»

 

«Quelli li ammazzo io.» dice sfilando la pistola dalla cinta.

 

A mia volta io estraggo la mia dai jeans e la punto verso di lei.

 

I ragazzi ci sono praticamente addosso. Tempo per prendere la mira pari a zero.

 

E nel secondo precedente in cui io sto per centrarla in fronte e Marco sta per creare una carneficina in pieno quartiere Coppedé, una Golf entra in piazza e affronta la rotonda a tutta velocità.

 

La sgommata attira l’attenzione dei ragazzi che si fermano sul marciapiede, di Marco che sta prendendo la mira contro il primo della fila e della ragazza che si volta giusto in tempo per vedere l’ultimo cofano della sua vita.

 

Il corpo viene investito dal muso dell’auto e rimbalzato quattro metri più avanti, proprio di fianco a noi.

 

Per pochi secondi c’incantiamo a guardare il corpo senza vita che perde sangue sull’asfalto. Poi ci rendiamo conto che ci conviene mettere via le armi.

 

Marco rimette le mani nel giaccone, rimane immobile.

«Sai. » dice. «Non capisco se ci è andata bene o male.»