Schiere di candeline di citronella, strategicamente appostate nel giardino di casa Scarpetta, tentavano invano di tener testa ad un agguerrito drappello di zanzare tigre, ferocemente assetate nella calura di agosto. Una leggera brezza proveniente da Monte Morello  forniva un’illusoria speranza di refrigerio ai sudati abitanti della piana di Sesto.

“Venite, ho apparecchiato in giardino. Speriamo che venga un po’ di fresco …”  Clementina Verdi in Scarpetta incominciò a fare gli onori di casa, guidando gli ospiti verso il tavolo apparecchiato, sul quale troneggiava una zuppiera di pan molle profumato di basilico accanto ad un enorme vassoio, dove stavano voluttuosamente adagiate fette di melone e veli di prosciutto, alternati a lattiginosi bocconcini di mozzarella di bufala.

“Il posto a capotavola è riservato al nostro presidente!” proclamò Clementina, sfoderando un sorriso cordiale che mise immediatamente a loro agio i membri del Club del giallo, lì riuniti per definire il programma delle manifestazioni letterarie di fine estate.

Il marito di Clementina, l’ispettore di polizia Folco Scarpetta, fece capolino tutto sudato dalla cucina con il mestolo in mano: “Buonasera a tutti. Fra due minuti è pronta l’ amatriciana!” Un lampo di tenerezza illuminò i suoi  occhi gioviali d’investigatore romano emigrato in terra toscana.

“Ma non  dovevamo lavorare? Qui mi sembra, invece, che abbiate preparato una cena luculliana … Vi avverto, se stasera non discutiamo tutti i punti all’ordine del giorno, nessuno va a dormire!” intimò  Giorgio Vescovi, il presidente dell’associazione che riuniva gli appassionati di letteratura gialla e noir della zona.  Nonostante l’aspetto pacifico da distinto bancario in pensione, il Vescovi era un  appassionato di storie criminali e, oltre a scrivere di suo pugno  racconti costellati di misteriosi delitti,  era anche un apprezzato cultore della materia.  Il suo volto, un po’ burbero ma bonario, era noto agli spettatori più affezionati di Tele Sesto, grazie alla  trasmissione settimanale, nella quale recensiva, in coppia con il giornalista Silvano Rosi, gli ultimi romanzi gialli e noir pubblicati da Mirko Del Secchia, giovane promessa dell’editoria toscana.

“Vi piace la tettoia in legno e policarbonato che abbiamo fatto montare proprio stamani? “ chiese, con evidente orgoglio, Clementina, che gli amici chiamavano affettuosamente la Jessica  Fletcher di Sesto, non solo per una vaga somiglianza con la famosa Signora in giallo ma anche per l’eccezionale acume poliziesco che le permetteva di coadiuvare  il marito nelle indagini più complesse.

“Un gran  bell’oggetto! Speriamo che non faccia da trampolino a qualche ladro! “ osservò ammirata Ritanna Ezechiele, scrittrice emergente sempre pronta a carpire qualche spunto per i suoi thriller conditi di sapiente ironia.

“Eccoci tutti qui! Non sarà mica un invito a cena con delitto? Chi sarà la vittima predestinata a questo giro?” chiese maliziosamente il Rosi accarezzandosi il pizzetto mefistofelico.

“Qui non si assassina nessuno. Tutt’al più gli si fa sballare il colesterolo!” gli rispose Folco, mentre incominciava a distribuire nei piatti gli spaghetti grondanti di sugo.

L’odore dell’amatriciana si confondeva con le fragranze della menta e del rosmarino, anche se, a tratti, qualche refolo di aria calda trasportava lontani miasmi di asfalto e di fogna. Ma nessuno sembrava farci caso: i soci del club del giallo erano troppo assorti nell’arduo compito di arrotolare gli spaghetti senza schizzarsi il sugo sulle camicie.

Ad un tratto, dalla villetta confinante, una roca imprecazione si abbatté, come un fulmine estivo, sui commensali attoniti: “Accidenti a voi e alla vostra setta satanica! Prima o poi, a forza di mangiare, vi strozzerete tutti. E, finalmente, andrete all’Inferno.” La donna che aveva pronunciato il terribile anatema si sporgeva dal terrazzino, ansando come un mantice. Il suo volto ossuto era contratto dalla rabbia. Un ciuffo di capelli unti del colore della stoppa le ricadeva sulle fessure degli occhi iniettati di sangue. Occhi,  che mandavano bagliori di invidia attraverso i grappoli di glicine che le impedivano una vista completa sul giardino dei vicini.

Fabio alzò la testa   verso il pulpito improvvisato e, rivolgendosi  a quell’incrocio fra un Savonarola indignato e un’Erinni in piena crisi di nervi, la salutò bonariamente:” Buona sera, Wanda. Vuole favorire?”

La donna si strinse con un gesto iroso il colletto della vestaglia. Per un istante sembrò vacillare, trafitta dagli sguardi sbigottiti degli ospiti. Ma subito dopo riprese, impavida, il suo sermone: “E poi, come vi siete permessi di costruire codesta orribile tettoia? Scommetto che non avete nemmeno il permesso del Comune …" Infine, respirando sempre più a fatica, soggiunse : “Domani vi manderò i vigili e allora, vedrete … Finirete tutti in prigione!”

La Furia contrasse le labbra livide in una smorfia disumana e scomparve, ghignando minacciosamente,  dietro la persiana.

Gaspare, il galletto mugellese appollaiato sulla magnolia, si svegliò improvvisamente dal suo torpore e le fece eco con un  lugubre Chicchirichì.

“Anche il pollo si è sprogrammato. Proprio come la sua padrona …” sospirò pietosamente Clementina, mentre inseguiva con la forchetta un pezzo di pancetta affumicata.

“Che ottimo incipit per una storia dell’orrore! – osservò visibilmente eccitato il Rosi – Non vi pare che la scena richiami un po’ La finestra sul cortile di Hitchcock?"

Il presidente, da parte sua, si pulì la bocca con il tovagliolo e chiese preoccupato: “ Ma chi è quella pazza?”

“Non ci fate caso – rispose Folco riempiendosi di nuovo il piatto – la signorina Bocchini è metereopatica  e, quando arriva il caldo, dà in escandescenze. Che volete, è sola e non sa che diavolo fare tutto il giorno.  Così se la prende con i vicini. C’è solo da compatirla, poveraccia…”  

“Siete sicuri che non sia pericolosa? Si leggono certe storie sui giornali …” osservò Gualtiero, il compagno di Ritanna, il quale, facendo il rappresentante di gelati in giro per il mondo, aveva una vasta esperienza di soggetti socialmente pericolosi.

Il dottor Gavino Todde, che fino ad allora aveva osservato la scena senza turbarsi troppo, commentò seraficamente:” Dal punto di vista narrativo l’inizio promette bene: il rancore che nasce dalla solitudine si tramuta in odio e, infine, sfocia in un ineluttabile gesto di follia, tipo una strage di vicini di casa. Insomma, una bella storia di sangue, in perfetto stile Grazia Deledda o Salvatore Niffoi. Solo che, invece che nella selvaggia Sardegna, è ambientata nell’interland industrializzato di Firenze.”

Ben presto, di fronte  ai saltimbocca alla romana, nessuno pensò più all’irruzione apocalittica della Bocchini, una sessantenne conosciuta nella zona oltre che per il fanatico zelo religioso, anche per la passione morbosa nei confronti del giardinaggio, nonché per l’esecrabile abitudine di spiare i vicini di casa.

La mattina successiva, un sole abbacinante si rifletteva sulla splendida tettoia in policarbonato degli Scarpetta, mentre Lola, il cane della Wanda, sonnecchiava uggiolando in un angolo del giardino e scacciava con una zampa una mosca tenace che le ronzava sul muso.

“Chicchirichì … ”berciò Gaspare, puntuale come un orologio a cucù.

L’ombra della padrona, appostata dietro le persiane socchiuse, si proiettò sul terrazzino, diffondendo un lampo di inquietudine  sui cespugli di spigo e di erba cipollina.

“Sono davvero contenta. La nostra tettoia è stata costruita proprio a regola d’arte.” esclamò soddisfatta Clementina, mentre sorseggiava il caffè.

“Oddio, è costata una sassata, ma almeno ci riparerà dalla pioggia e dai piccioni!  Diciamoci la verità, questo posto sarebbe incantevole se non ci fosse la vecchia strega.”

“Lasciala perdere, Folco, se le dai soddisfazione è peggio.” Clementina si lasciò cadere sulla sedia a sdraio acquistata il giorno prima con lo sconto del 50% e si immerse nella lettura dell’ultimo romanzo di Fred Vargas.

Avviandosi verso la cucina, il marito la guardò con  indulgente tenerezza, pronto a infornare l’abbacchio per il pranzo domenicale.

Ad un tratto un grasso soriano superò la rete che divideva il giardino della Bocchini da quello degli Scarpetta e corse, senza troppi complimenti, a fare la pipì sul mobile delle scope che Clementina aveva da poco verniciato con l’olio di lino.

Una voce stridula interruppe il frinire delle cicale: “Isacco, torna subito qui! Oltre quella rete ci sono  Sodoma e Gomorra. “

Clementina sollevò lo sguardo dal libro e osservò: “ Volendo ci sarebbe anche il girone dei golosi … “

Il gatto, da parte sua, non sembrò molto  turbato dal richiamo della padrona. Anzi, pensò bene di soffermarsi ad osservare una cavolaia che svolazzava  freneticamente dalla conca dei  limoni alla siepe del gelsomino. 

La notte calava con il suo carico di umidità e di calura sui tranquilli giardinetti di Sesto.

Un paio di pensionati portavano a spasso i loro bastardini, tirandoli per il guinzaglio ogni volta che si fermavano ad annusare una cantonata.

Sull’asfalto del marciapiedi risuonavano le risate di un gruppo di ragazzi, mentre un’auto con la radio sintonizzata su un assordante rap sfrecciava a gran velocità sullo stradone deserto.

A quell’ora, le voci provenienti dal circolo ricreativo in fondo alla strada tacevano da tempo e non si sentiva più nemmeno lo scrosciare dell’acqua che annaffiava i giardini assetati.

Il silenzio era finalmente calato sui gerani e sui pomodori, sulle azalee e sui cetrioli.

Solo, a tratti, attraverso le persiane spalancate, un orecchio attento avrebbe potuto percepire il metodico russare del geometra Giagnozzi o quello più musicale del titolare della tabaccheria “Fumo & sfizi”.

Duccio Bocchini uscì quatto, quatto dalla porta di cucina della zia e, con un agile balzo, fu subito sulla tettoia degli Scarpetta.

Le lastre di policarbonato, nuove di zecca, luccicavano, proterve, alla luce della luna.

Il ragazzo  tolse dalla zaino un grosso cacciavite e incominciò a svitare una delle pesanti lastre fissate al telaio di legno.

Non aveva potuto rifiutare quel favore alla zia Wanda: prima di tutto perché era sola e anziana, poi  perché era l’unico nipote … e, infine, perché la vecchia gli aveva promesso di pagargli le prossime tre rate del motorino.

E, in fondo,  a lui che cosa costava togliere un paio di viti, in attesa che si facessero le tre?

“Accidenti – si disse, guardando l’ora sul display del telefonino – sono già le due e quaranta!”

Hillary si era raccomandata: alle tre in punto l’avrebbe aspettato all’uscita del No bar. Non un minuto dopo. Altrimenti lui avrebbe rischiato di dover fare di nuovo a cazzotti con il solito imbecille ubriaco che si ostinava  a volerle dare un passaggio.

Duccio fu colto dall’ansia. Cercò di forzare l’ultima vite ma il cacciavite gli sfuggì di mano. Un dolore acuto gli attanagliò il pollice  e l’indice. La sua imprecazione risuonò nel silenzio notturno come il guaito di un gatto in amore.

Duccio non ci pensò due volte. Succhiò il sangue in tutta fretta  e lo risputò sulla tettoia che si tinse di rosso in più punti. Poi gettò a terra lo zaino e saltò giù, accompagnando il balzo felino con una nuova, originale imprecazione.

Se Duccio fosse stato un ragazzo accorto, si sarebbe premurato di chiudere le porte dietro di sé ma il pensiero di Hillary che lo attendeva infuriata fuori dalla discoteca lo fece fuggire via in quattro e quattr’otto.

Così lasciò socchiusa non solo la porta che collegava la cucina al   ma anche il portoncino d’ingresso. Infatti, mentre sgattaiolava fuori dalla villetta, il cellulare  aveva squillato rabbiosamente e la voce di Hillary gli aveva fatto dimenticare ogni altro pensiero.

Così, mentre Duccio si precipitava con il suo fiammante motorino verso il No bar, la casa della zia rimaneva incustodita e facile preda per il solito scassinatore di passaggio. Scassinatore che, naturalmente, non si fece molto attendere.

Infatti, risuonavano giusto tre rintocchi al campanile di San Pierino quando un’ombra smilza e furtiva si introdusse nella villetta della Bocchini, dopo essersi accertata che non ci fosse nessuno nei paraggi.

Il casuale rapinatore sarà rimasto felicemente stupito nel vedersi accolto con tanta cordialità. Dopo esser passato indenne sul corpo dormiente di Isacco, acciambellato in una cesta al centro della cucina, si ritrovò, come per incanto, in giardino. Guardando in su, non poté fare a meno di ammirare la tettoia in policarbonato che si stagliava, lucente, contro il cielo d’agosto. Fu in quell’istante che il fortunato ladruncolo di periferia intravide una specie di lampo saettare rapido  nell’oscurità. “ Toh, una stella cadente … Già, è la notte di S. Lorenzo – pensò ad alta voce – proverò ad esprimere un desiderio. Speriamo che questa volta mi capiti un colpo fortunato.”

Così, in un batter d’occhio, si arrampicò lungo la rete di divisione fra i due giardini e di lì a poco si ritrovò sulla tettoia.

Entrare nella camera degli Scarpetta fu veramente un gioco da ragazzi.

Nell’oscurità, illuminata soltanto dalla luce rossastra che l’orologio digitale  proiettava sulla parete, i coniugi Scarpetta dormivano idillicamente l’uno accanto all’altra. Mentre Folco russava garbatamente avvolto in un nugolo di zanzare, il suo alluce, avvinto a quello di Clementina, sbucava dal lenzuolo bagnato di sudore.

L’uomo si soffermò, intenerito, ad osservare quella scena che, per una misteriosa associazione mentale, gli  ricordava un  quadro famoso che aveva avuto modo di ammirare più volte  nella  stanza del direttore del carcere di Sollicciano. Ma sì, sembrava davvero il quadro di Amore e Psiche…

“Su via, lasciamo perdere l’arte e mettiamoci al lavoro!” si disse il ladro, cercando di trattenere il respiro per non svegliare i due che dormivano con l’espressione beata di chi non teme né le offese del clima, né le insidie degli uomini.

Poi, la sua mano allenata aprì con destrezza il comodino di Clementina …

Folco borbottò qualcosa nel sonno, si girò su un fianco e riprese a ronfare.

Poco dopo l’uomo uscì velocemente dalla finestra dalla quale era entrato, portando via un sacchettino da confetti. Non ci voleva molto a capire che si trattava dei gioielli di famiglia dei coniugi Scarpetta!

Mentre camminava con cautela lungo la tettoia, l’occhio gli cadde sulle macchie di sangue.    Gli sembrò un cattivo presagio e si affrettò a scendere. Ma nel momento in cui si accovacciava per spiccare il salto, la lastra di policarbonato vacillò e l’uomo si ritrovò, dolorante, sul pavimento di cotto, con un intenso dolore che partiva dal coccige e si spandeva fino alle spalle.     

In un angolo, nascosta fra la siepe di lauro e l’antico lavatoio in pietra serena, Lola aprì un occhio, lo fissò con noncuranza e tornò a sognare.

Finalmente il ladro riuscì ad infilare la porta, zoppicando e tenendo ben stretta nella mano la sua refurtiva. Ma non si era accorto che, nella caduta, qualcosa era scivolato fuori dal sacchetto. Qualcosa che ora luccicava, in poetico colloquio con le stelle cadenti della notte di  S. Lorenzo …

 

Gaspare lanciò il suo quotidiano gridò di battaglia, che risuonò come un peana: “Chicchirichìììì”

“Mi sembra che stamani l’uccellaccio sia un po’ rauco … - osservò Folco, allacciandosi l’accappatoio dopo una doccia rigenerante.

“Poverino – fece Clementina – che cosa deve fare tutto il giorno solo, solo, senza nemmeno una gallina?”

Il mugellese becchettava distratto fra l’erba. All’improvviso aprì le ali, si slanciò sulla rete e atterrò goffamente sulla sdraio degli Scarpetta.

"Ma che diavolo tiene nel becco?” chiese incuriosita Clementina.

Gaspare la fissò con i suoi occhietti immobili. Poi con un gesto galante  lasciò cadere ai suoi piedi  il bracciale che Folco aveva regalato alla moglie in occasione del quindicesimo anniversario di nozze. La donna lo raccolse sbigottita: “E questo?”

Ci volle tutta l’abilità investigativa dell’ispettore Scarpetta per giungere alla conclusione che nel corso della notte erano rimasti vittime di un furto.

“Il ladro ha perso il bracciale. Purtroppo si è portato via tutti  gli altri gioielli” mormorò, sconsolata, Clementina scendendo dal primo piano, dove era corsa a controllare il cofanetto che teneva nel comodino.

“Gaspare, torna subito qui ! O finirai anche tu per bruciare nella Geenna.”“ urlò Wanda, affacciandosi alla porta finestra.

“Se continua così, finirà senz’altro arrostito, ma nel mio forno a legna” gli rispose Folco.

“Chicchirichìììììì” strillò  con insistenza il mugellese.

La Bocchini si precipitò, adirata, verso la rete. Tremava tutta e, con le mani, sii tormentava i capelli di stoppa, come per strapparseli in un rituale riparatore.

“Come mai il mio bracciale si trova nel suo giardino?” le chiese Clementina, in tono inquisitorio ma garbato.

“Che vuole che ne sappia dei suoi strumenti di lussuria?” ribatté la donna, sempre più alterata.

Poi, nel tentativo di afferrare il galletto, allungò la mano ossuta verso la rete. Il mugellese fu pronto a spiccare di nuovo il volo e, con un balzo impacciato ma rapido, si ritrovò sulla tettoia.

Fu questione di un attimo. Wanda gli lanciò una maledizione delle sue.  Gaspare, innervosito, sembrò volerle rispondere e si girò di scatto. La lastra di policarbonato, già svitata da Duccio e messa a dura prova dal ladro, vacillò e cadde, di taglio,  sulla nuca foderata di stoppa  della Bocchini. La donna  tacque di botto, accasciandosi dietro la rete con una smorfia più di sbigottimento che di dolore.

Dopo il fragore della caduta, solo l’urlo della sirena della Misericordia ruppe il silenzio, accompagnata dal lugubre “chicchirichìììì” di Gaspare, simile a un composto “Te deum”.

“Ma davvero la villetta è tutta nostra, Duccio?” chiese Hillary, limandosi un’unghia laccata di brillantini.

“Già, la povera zia non aveva altri parenti … E poi mi voleva un gran bene. Quando aveva bisogno di qualche lavoretto, mi chiamava sempre“. Il ragazzo sospirò, compunto, mentre, sulla tettoia degli Scarpetta, due operai sudati  con un avvitatore elettrico, fissavano la lastra di policarbonato al telaio di legno.

“Ecco, che cosa mi ci voleva … Altro che cacciavite!“ pensò fra sé e sé il ragazzo.

 “Buon giorno Duccio, - lo salutò affabilmente Clementina, sollevando gli occhi dalla lettura di un romanzo di Markaris, dove una delle vittime veniva colpita anch’essa con un oggetto contundente.

Hillary si grattò il piercing sull’ombelico e osservò incuriosita il melograno e il nespolo: “Che bellezza, Duccio… potremo organizzare qualche festa Rave. Che ne dici?”

“Magari anche una caccia al tesoro e una tombola di quartiere.” osservò ironicamente Clementina.

“Meglio dei sermoni della buon’anima …” aggiunse Folco, sbucciando una patata.

Duccio sollevò di nuovo lo sguardo e, colto da un certo rimorso, si rivolse agli operai: “ Ehi, mi raccomando, avvitatela bene quella lastra. Non si sa mai …”

Gaspare ingurgitò, vorace,  un  chicco  di grano e, infine, rivolse gli occhietti immobili verso il cielo, come per un tacito ringraziamento.

Laura Vignali è nata nel 1957 a Pistoia, dove vive e insegna lettere all'Istituto Tecnico Commerciale "F. Pacini".

Ha pubblicato due romanzi gialli: Il treno fischiava ancora Pescara, Tracce 2007 e Tutta colpa di Amalia, Viareggio, Del Bucchia 2007. Il suo racconto inedito L'ultima sfida nel far west padano ha partecipato al "Premio Europa" per la narrativa  gialla e noir al femminile, classificandosi al I° posto.