Da qualche giorno in libreria, Quello che ti meriti, della cinquantenne norvegese Anne Holte, fa già gridare all’ennesimo miracolo scandinavo. Ma pochi sembrano ricordare che la mai troppo compianta collana “Euronoir” della Hobby & Work aveva pubblicato nel 1999 il suo secondo romanzo, Sete di giustizia; e che, ingiustamente dimenticato (e infatti qualche sito internet parla disinvoltamente di esordio assoluto in Italia della scrittrice), quel libro era assai più innovativo: non foss’altro perché presentava al centro delle indagini una poliziotta lesbica, Hanne Wilhelmsen, in una Oslo allora assai poco conosciuta dal lettore italiano.

Viceversa Quello che ti meriti è un romanzo assai più tradizionale.

Intanto l’intreccio si basa su due storie, che sorprendentemente nel finale dimostreranno di avere un insospettabile anello di congiunzione, non originalissime.

La prima ruota attorno all’errore giudiziario di cui è stato vittima negli anni Cinquanta Aksel Seier, arrestato e velocemente condannato per lo stupro e l’uccisione di una bimba; dopo qualche anno, però, inaspettatamente e misteriosamente, viene liberato ma costretto dall’ostilità dei suoi connazionali a emigrare negli Stati Uniti.

La seconda presenta il tema dell’omicidio seriale a probabile sfondo pedofilo con il rapimento e l’uccisione di alcuni bambini nella Oslo contemporanea da parte di uno psicopatico; quest’ultimo  rimane uccel di bosco finché una serie di fortunate circostanze rivelano la sua identità.

Anche la coppia di investigatori rientra nei canoni più consolidati del vecchio adagio “in due s’indaga meglio”; e la “classicità” dei due personaggi risalta proprio perché costruiti secondo canoni apparentemente eterodossi: da un lato il quarantacinquenne commissario Yngvar Stubø, che ha perso da poco moglie e figlia in un tragico incidente domestico, dotato di una sorta di sesto senso paranormale che gli è d’aiuto durante le indagini; dall’altro la trentacinquenne criminologa Johanne Vik, una storia d’amore sfortunata con un agente dell’F.B.I. nella sua gioventù, un matrimonio con Isaak terminato in modo civile e una figlia, Kristiane, che presenta una disabilità mentale che nessun medico è riuscito a diagnosticare.

Come nelle più classiche storie “giallo-rosa” lui e lei prima si annusano; lei poi in un primo tempo  rifiuta di collaborare con lui alla soluzione del caso dei bimbi, troppo presa dalla ricerca di Seier; in un secondo momento le distanze – professionali e sentimentali – diminuiscono, complice anche il rustico fascino del corpulento ma solare commissario; le cose – ancora una volta sia sul piano privato che su quello pubblico – sembrano incanalarsi sui binari giusti: e non potrebbe essere altrimenti perché Quello che ti meriti è il primo romanzo della serie dedicata ai due investigatori.

Cosa dunque segnala questo romanzo rispetto all’onda lunga scandinava di questi ultimi anni?

Nulla. Al lettore avvertito, nulla.

Si tratta della solita e solida radiografia di una società del benessere scandinava, con i suoi spettri che si aggirano nelle rare metropoli e nei più frequenti boschi che si allungano fino ai fiordi. Quindi un buon romanzo, che nel finale sembra ricordare la lezione del Dürrenmatt de La promessa con l’implacabile ruolo del Caso nella soluzione della vicenda poliziesca; ma in questi anni abbiamo letto prove altrettanto e, talvolta, assai più convincenti, solo per rimanere nell’ambito letterario del Grande Nord.

La nostra impressione – a pensar male… - è che “Stile Libero”, la collana che ospita il romanzo  e che promette di far uscire anche i successivi, debba recuperare lo svantaggio iniziale accumulato rispetto non solo a Marsilio (ormai un marchio di garanzia per la produzione soprattutto svedese), ma anche ad altri editori (Frassinelli, Sellerio, Guanda) che da tempo stanno setacciando  il mercato scandinavo con pregevoli scoperte e riscoperte (la norvegese Fossum, gli svedesi Sjöwall & Wahlöö, l’islandese Indriđason); e allora il prodotto viene lanciato con una certa enfasi, contando su una certa benevola disattenzione di lettori e recensori.

Se dunque questo libro servirà ad aprire nuovi orizzonti al lettore italiano, ben venga; ma se vuole presentarsi come un’imperdibile novità nel panorama librario anche solo italiano, beh allora abbiamo visto (e letto) di meglio.

Voto: 6 ½