– Tu non hai mai saputo fare il caffè. Lo diceva anche papà mio.

– Papà tuo non ha mai bevuto il mio caffè.

– Se lo avesse bevuto, lo avrebbe detto.

– E allora non chiedermi di farlo.

Catia vuole sempre l'ultima parola, un'abitudine seccante che non sono ancora riuscita a toglierle.

Guardai critica dentro alla tazza, dove un liquido scuro e dall'aroma non identificabile sciabordava con aria infelice.

Perché in tutti i libri e in tutti i film gli investigatori hanno segretarie bravissime a preparare il caffè, graziose e ben vestite e io devo accontentarmi di un'arcigna ex vigile che lo fa annacquato?

– Lo bevi o no?

Mi faceva male la testa, non avevo dormito ed ero infelice, credetemi, non era proprio giornata, così posai la tazza su una pila di fatture, presi la borsetta e uscii.

Ero un investigatore privato piuttosto famoso, ero un donnino piuttosto carino, non c'erano ragioni serie per sentirmi obbligata a bere la sciacquatura tiepida di Catia.

– Caffè?

Sorrisi grata alla voce che si era levata da sotto il bancone. Dopo un attimo emerse Paddy con la sua enorme barba bionda e la sua stazza irlandese.

– Brutta giornata? – chiese lanciandomi un'occhiata azzurra.

– Pessima.

– Non ha telefonato?

– Non ha nemmeno scritto.

Paddy mi posò davanti una bella tazzina con trifogli dorati.

– Allora, trattamento speciale. Cioccolatino e biscotto.

Gustai il biscotto al cioccolato fondente e sorseggiai il caffè. Divino.

– Non è che potresti dar lezioni private a Catia? – chiesi – Magari riuscirebbe a far emergere dalla caffettiera qualcosa di bevibile.

– Dille di venire dopo l'orario di chiusura – sorrise Paddy.

– Figurati – sospirai, – quella se non è a casa alle nove si fa venire un attacco di panico.

Mi accomodai meglio sullo sgabello e abbracciai con uno sguardo il locale ombroso, ricco di legno scuro e tendine di pizzo.

– Ti giuro, la tua è la caffetteria più bella della città. E la migliore – conclusi mordendo con voluttà il cioccolatino al croccante.

– Ti piacciono le lampade nuove? Sono liberty.

Paddy riversava nel suo bar energia, soldi, passione e tempo libero; o almeno era stato così finché non aveva incontrato Fuad.

– Il bel moro dov'è?

– All'università. Stamattina aveva lezione.

Gli occhi di Paddy brillavano d'amore e d'orgoglio.

– Sai, quest'estate abbiamo pensato di andare in Egitto, a casa sua – indicò la mia tazza vuota, – ne vuoi ancora uno?

Annuii e lui si diede da fare con miscela e piattini.

– Vuole presentarmi alla famiglia. Io gli ho detto che non ce n'è bisogno, che possiamo far la parte degli amici e basta e che non mi piace l'idea di portare scompiglio, ma sai com'è fatto Fuad, se ha qualcosa in mente.

– Diciamo che sei tu che gliele fai passare tutte.

Paddy arrossì e tossicchiò.

– Sai com'è.

– Sì, lo so com'è.

Lo squillo del cellulare mi fece sobbalzare e per cinque meravigliosi secondi, pensai che la vita era degna di essere vissuta. Poi vidi sul display il numero dell'agenzia.

– Dimmi, Catia.

Il cliente aspettava. C'erano carte da firmare. Aveva telefonato l'idraulico che non gli era arrivato il bonifico.

– Vengo.

– Guai? – chiese Paddy.

– Il solito – mi alzai e gli allungai i soldi dei caffè. – È che oggi non è giornata.

– Aspetta – mi disse e sparì nel retrobottega.

Ricomparve con un sacchetto luccicante e cicciotto.

– Cioccolatini al cocco, nati per tirare su il morale.

– Grazie, Paddy – mi sporsi a fatica oltre il banco e gli scoccai un bacio, – sei tu il mio uomo ideale.

– Sono impegnato, splendore – rise, – ma potrei sempre farci un pensierino. E passa stasera, dopo le venti e trenta scatta l'irish coffee time.

In strada scartai un cioccolatino e me lo ficcai in bocca. E va bene, sarei diventata brutta, grassa e piena di brufoli, a me non importava. E non importava nemmeno a nessun altro.

* * *

– Dice che lo prenderemo sul fatto?

– Sì, signora Pecchioli, se c'è un fatto lo prenderemo su quel fatto.

– E dopo?

– Penso che l'eventuale dopo tocchi a lei.

– Non potrebbe picchiarlo? A me non lo permetterebbe mai.

Guardai rassegnata la balena in lacrime che stava consumando i miei kleenex.

– Signora Pecchioli, l'ultima volta che l'ho visto, suo marito stava smontato a mani nude la porta della mia cucina e non era arrabbiato, voleva solo sapere se era il caso di piallarla o no. Palmiro è alto due metri e credo pesi circa duecento chili. Più di una borsettata nelle caviglie non so che altro potrei fare e non se ne accorgerebbe nemmeno.