Vi appassionano i sequel apocrifi delle avventure di famosi detective di carta? Che so, le ultime avventure di Nero Wolfe, le postume imprese di James Bond, le nuove mirabolanti arringhe di un redivivo Perry Mason?

Bene, questo è un romanzo che fa per voi: Hiber Conteris, autore uruguayano con le stimmate del martire politico (è stato in carcere per nove anni nel suo paese dal 1976 al 1985), ha deciso di offrire un tributo all’immortale Philip Marlowe di Raymond Chandler e quindi vi troverete davanti a una storia che più chandleriana non si può.

Vi piace l’arguto pastiche letterario, quello che distingue il lavoro dell’intellettuale di vaglia da quello del volgare pennivendolo assoldato dagli avidi eredi per poter dar vita a nuove, lucrose avventure del defunto detective?

Bene, questo Dieci per cento di vita è il libro che fa per voi: i personaggi di questo noir provengono tutti dalle pagine di Chandler e sono stati riutilizzati in un giocoso patchwork per la delizia degli appassionati.

Vi fanno delirare i metaromanzi, quelle storie che si avvitano su se stesse, offrendo al lettore al tempo stesso la vicenda narrata e la riflessione sulle stessa o sui principi che presidedono alla sua creazione?

Bene, questo è un superbo metanoir in cui Marlowe incontra il suo creatore Chandler che a sua volta discute con amici scrittori dell’epoca sul valore della letteratura gialla rispetto a quella “seria”.

E se a noi tutto questo non piacesse affatto?

Avremmo sbagliato libro, direste voi. Ma, visto che l’abbiamo letto, non possiamo esimerci da un giudizio.

La vicenda post-Marlowiana tutto sommato funziona anche se ruota attorno alla morte violenta di un agente letterario, esponente di una categoria che in vita  fu oggetto di parecchi strali da parte di Chandler. La mimesi è buona, anche se noi non stravediamo per i sequel apocrifi, troppo lontani dall’originale nel loro artificiale nitore calligrafico. L’esperimento però potrebbe essere tollerabile.

Un po’ meno ci è piaciuto l’uso insistito dei personaggi chandleriani, qui utilizzati a man bassa con una sapienza fin troppo ricercata, volta a deliziare i palati dei marlowe-dipendenti, ma scarsamente apprezzata, temo, da chi, del detective californiano, ha letto solo qualche avventura o, peggio, ha visto al cinema solo qualche film (protagonista sia stato Bogart o Mitchum).

Assolutamente in bestia ci ha mandato invece il metagiallo che interrompe continuamente il ritmo della narrazione principale, inserendo digressioni, richiami, colte strizzate d’occhio e tutto ciò che rende insopportabile la lettura di un buon noir.

Con rispetto parlando, leggendo questo romanzo abbiamo avuto l’impressione di assistere alla metamorfosi di una discreta ragazza in un mostro gonfio di silicone e botox. La tranquilla semplicità dell’emulatio di Chandler ha lasciato il posto a “protesi” letterarie un po’ troppo insistite, artificiose, irritanti. Un vero spreco di fosforo e materia grigia per dire quello che gli appassionati dello scrittore e del suo eroe già sanno.

Sì, sarà stato pure un omaggio alla memoria, ma, se fosse per noi, proibiremmo per legge tali operazioni vagamente necrofile: meglio ricordarci il morto com’era in vita (o la ragazza prima del bisturi…).

Voto: 6.5 (al sequel puro e semplice)

          2 (a tutto il resto)