Di solito consigli come “da vedere”, “da non mancare” si mettono alla fine. Stavolta no, stavolta lo mettiamo all’inizio (magari per ripeterlo anche alla fine…). Il perché è presto detto: siamo di fronte ad un film dove lo sforzo di rileggere la figura del vampiro dà i suoi frutti. È esattamente quanto accade in questo 30 giorni di buio di David Slade (con Sam Raimi alla produzione), eccellente adattamento per lo schermo di una graphic novel di Steve Niles e Ben Templesmith. Stavolta a fronte del risaputo slittamento verso il basso nella scala alimentare della specie umana, da dominatori a dominati, da cacciatori a prede, un topos immancabile in film del genere, è proprio la figura del vampiro, a dispetto del punto di vista dal quale la vicenda viene osservata che è un altro, ad assurgere a livelli capaci di suscitare inquietudini notevoli presentata com’è, cioè come vero e proprio esponente di una padrona che usa accompagnare le sue gesta con rari ma incisivi (e sottotitolati…) dialoghi riassunti mirabilmente dalla battuta “Abbiamo impiegato secoli per far credere loro che eravamo solo brutti sogni…non possiamo farli sospettare…sterminateli tutti…”.

L’impressione generale è che stavolta i vampiri, giunti con le prime tenebre che annunciano una notte lunga i trenta giorni del titolo a Barrow (cittadina dell’Alaska ricreata per l'occasione in Nuova Zelanda), siano creature che la sanno lunga, assai più lunga di quanto non lo sappia lo sceriffo Eben Oleson (Josh Hartnett) che in breve, mentre una crisi sentimentale lo addolora, si trova a dover fronteggiare un’invasione feroce ed estremamente determinata a fare tabula rasa della cittadina e dei suoi abitanti. Non gli rimane altro da fare che tentare in tutti i modi di arrivare incolume, assieme ad uno sparuto gruppo di cittadini, al termine del viaggio dentro la notte che il destino gli ha riservato.

Lo scavo psicologico cui è sottoposta la figura dei vampiri è, come già detto, assai efficace ed inquietante anche quando non si avvale dei dialoghi perché è sufficiente vedere le espressioni dei loro volti per rendersi conto di essere di fronte a creature in fondo “schifate” dalla fragilità e dalla debolezza della specie umana (“che piaga che siete” è l’altra battuta chiave del film…).

Non si creda però che tutto questo vada a discapito dell’altra componente fondamentale in un film del genere, cioè quella che chiama direttamente in causa il modo, anzi i modi, utilizzati per resocontare i risultati della battaglia che infuria tra umani e vampiri. Il tutto avviene per mezzo di ampi prelievi sia dal cinema slashers (uno dei modi di uccidere i vampiri in assenza di luce e di paletti di frassino è la decapitazione…) che da quello splatter, con effetti che raggiungono vette di realismo notevoli.

I giochi si chiudono con un finale impregnato di una inusuale amarezza (simile a quello altrettanto amaro di Bio Zombie di Wilson Yip…), un finale dove tutto quello che viene dopo un prima, il sollievo dopo l’incubo, la quiete dopo la tempesta, la pace dopo la guerra, lentamente si esfolia (letteralmente…).

Da vedere…