Non so fino a che punto ritenermi una scrittrice dell’inquietudine. Scrivo narrativa di genere, per di più seriale (si può ancora dire letteratura di massa o suona ormai obsoleto?) e, per mia precisa volontà, le mie storie sono a volte avventurose, a volte comiche, a volte drammatiche, ma quasi mai angoscianti: il giallo si occupa  di morti ammazzati sulla carta, e nel poliziesco storico, che io coltivo, le vittime sono schiattate da secoli, quando non da millenni. E' una prospettiva molto consolatoria per esorcizzare le paure.

Il mio rapporto col cibo è assai soddisfacente. Se ho fretta, mi accontento di qualunque cosa di commestibile, preferibilmente salato.

Quando ho tempo, però, cucino di tutto, lasagne, spaghetti e tagliatelle, ma anche il farro degli antichi romani e il grano saraceno di Oh Susanna!, poi gulasch ungherese, borsch russo, zuppa di ceci magrebina, riso basmati con la salsa di menta, couscous arabo e fallafel israeliane, involtini greci con foglie di cavolo o di vite, pollo yassa senegalese, manzo indiano col masala o carne afgana allo yogurt, frittelle ugandesi coi peperoni ultrapiccanti, ravioli di Shangai con sette tipi diversi di ripieni, insalate di frutta al cocco e cacao come ne mangiavo a crepapelle in Malesia.

Sulle mensole della mia cucina c’è un’enorme quantità di vasetti di spezie provenienti da tutto il mondo e molto aglio, a trecce intere: non seguo mai esattamente la ricetta tradizionale, cosicché ogni piatto risulta sempre diverso e non ho modo di tediarmene.

Dopo il cibo, il bagno: sono una entusiasta frequentatrice di terme, hammam orientali e nerboruti massaggiatori. Naturalmente, non mi faccio mai mancare le sigarette: avendo cura del mio corpo, gli fornisco tutto ciò di cui necessita, nicotina compresa.

Infatti dobbiamo intenderci su ciò che significa curare: ama davvero il proprio corpo chi lo strizza, lo martirizza, lo soffoca o lo costringe ad oscillare dolorosamente su trampoli altissimi?

Chi patisce la fame per non ingrassare? Chi trascorre l’ora di sosta dal lavoro in palestra, faticando più di un servo della gleba o di un minatore dell’ottocento? Di fatto, comportandosi in questo modo si soddisfano soprattutto le esigenze psicologiche, a spese del povero fisico martoriato. Io non ho alcuna intenzione di pagare certi prezzi: porto soltanto abiti larghi e lunghi, senza elastici, ne ho una collezione molto ampia, scovata in tutto il mondo. In quanto ai jeans, sono stata la prima donna di Bologna a indossarli in pubblico, si era nei primissimi anni sessanta e nella mia scuola successe il finimondo; però li ho aboliti da molti lustri, erano troppo costrittivi. Non sopporto nemmeno le scarpe, calzo soltanto pantofole morbide, crocks e, se piove, stivaletti imbottiti di due numeri più larghi del mio piede: credo che valga la pena di essere un po’ meno belli, un po’ meno giovani, un po’ meno sani e un po’ più felici.  

Con la mia città, ho avuto per decenni un buon rapporto, che tuttavia negli ultimi tempi si è molto rarefatto. Non è colpa di nessuno, sono cambiata io, è cambiata Bologna, è cambiato il mondo: un tempo, mi sentivo perfettamente integrata nel tessuto sociale cittadino, oggi non vivrei diversamente a Roma o a Parigi di quanto faccia qui. Mi muovo a piedi o in autobus, arrivando prima di chi va in macchina. Odio ferocemente le autostrade e il traffico veloce sull’asfalto: non riesco a capire perché tutti abbiano tanta paura di rapinatori, banditi e kamikaze, quando la strada fa ogni anno infinitamente più vittime della delinquenza e del terrorismo messi assieme.

Eppure tanta gente si condanna da sola all’ergastolo sbarrando porte e finestre con atroci inferriate, per poi mettersi al volante nell’inferno urbano, senza alcun timore di schiantarsi…

Diverso è il discorso quando viaggio: in mancanza di muli, il mio ideale è una vecchia vettura che non teme di sciuparsi, magari un residuato bellico a quattro ruote motrici, rigorosamente priva di aria condizionata, con i sedili piacevomente sfondati e un autista disposto a tollerare il fumo, a guidare con maestria per tratturi, carreggiate, viottoli, piste sconnesse e greti di fiumi in secca, a insabbiarsi e forare ogni tanto, a fermarsi nei posti più assurdi. Per trovare queste perle, occorre raggiungere i continenti extraeuropei, quindi, mio malgrado, sono costretta a prendere anche l’aereo.

In vita mia, non ho mai fatto vacanze stanziali: la mia avversione verso gli spazi organizzati è tale, che basta un singolo ombrellone a farmi escludere una spiaggia come pericolosamente turistica.

Niente mare o montagna, quindi, bensì dune di sabbia, deserti di roccia, savane, fiumi tropicali, paludi di mangrovie, altopiani sterminati, templi nascosti nella giungla, fortezze decadute, tombe segrete, rovine di città antichissime, piramidi che si ergono in orgogliosa solitudine.

Per la stessa ragione, rifuggo dalle cenette intime, dai film d’amore, dalle trame struggenti, dal chiaro di luna e dalle atmosfere sedicenti romantiche: trovo molto più erotizzante l’avventura.   

E veniamo al rapporto con la scrittura che ho coltivato soltanto dopo i quarant’anni (prima ero troppo occupata a vivere, per avere il tempo di scrivere). E’ ovvio che sia un rapporto d'amore, se non mi divertissi, cambierei mestiere.

Lavoro esclusivamente quando ne ho voglia e mi accade spesso. Nessun rituale, nessuna scaramanzia, nessun terrore della pagina bianca e nessun appunto, tanto li perderei prima di utilizzarli. Adoro l’informatica e ringrazio la buona sorte di essere arrivata in tempo per approfittarne: dal giorno in cui è stato messo in vendita il primo personal, non ho più posseduto né una biro né una penna d’oca, e neppure una tavoletta babilonese d’argilla da vergare in caratteri cuneiformi.

Le mie relazioni con gli editori sono sempre state ottime: concordo le scadenze in base ai miei tempi e alle esigenze del mercato e consegno puntualmente i libri entro la data prescritta.

Sui critici letterari, invece, non posso dirvi niente, non ne conosco neanche uno, preferisco avere a che fare direttamente col mio committente e giudice, che è il pubblico e soltanto il pubblico: il giorno in cui i lettori si stancheranno dei miei libri, mi riciclerò come psicanalista per cani, saltimbanca o consulente aziendale.

La scrittura per me non è un hobby, ma un mestiere, un bellissimo mestiere. Ci campo sopra (oh, sì, qualche volta accade persino in Italia…) modestamente e felicemente: aver ridotto il pendolarismo ai due metri che separano il letto dal computer è già un risultato apprezzabile…

Di passatempi ne ho molti, giochi innanzitutto: dama cinese, risiko, videogames di strategia, carte, scarabeo, mastermind, problemi logici e tutto il resto. E poi gatti, molto giardinaggio, moltissimo internet,  decoupage, contemplazione degli acquari domestici, confezione di abiti pseudoafricani, cucina etnica, raccolta di semi selvatici, collezione di immagini digitali, visita di scavi archeologici, fotografia, intonacatura stravagante di mobili e pareti, birdwatching sul balcone di casa, preparazione di aperitivi con rinfreschi, consultazione di dizionari bizzarri, lettura di saggi e di narrativa di genere, soprattutto polizieschi svedesi, turchi e cinesi.

Nei rapporti sociali sono estroversa, chiacchierona, coinvolgente e terribilmente ingombrante: in gruppo, resisto per un’ora al massimo e comunque i miei interlocutori non mi reggerebbero un minuto di più.

Se guardo al passato, non ho rimorsi, né rimpianti: ho vissuto una gran bella vita, quella che sognavo.

Speriamo che duri.

Non ho altro da dire, di solito un romanziere parla attraverso i suoi libri.

E per favore, non chiedetemi di confrontarmi con la malattia o la morte, non mi piace parlare di cose troppo profonde, ogni tanto bisogna sopportarle ed è già abbastanza. Di una cosa, però, sono convinta: con tutti i suoi limiti, questa vita è l’unica che abbiamo, migliore di quella che è stata data a tanti altri. Non insultiamo il destino recriminando, bofonchiando, compiangendo, brontolando, lamentando, deplorando, grugnendo a destra e a a manca le nostre tediose geremiadi. Siamo  fortunati, cerchiamo di capirlo prima che la fortuna si offenda e ci volti le spalle.   

Danila Comastri Montanari, 1948. Italia. Scrive thriller storici con il personaggio Publio Aurelio Stazio, Senatore dell’Antica Roma: Mors Tua (Premio Tedeschi 1990), In Corpore Sano, Cave Canem, Morituri Te Salutant, Parce Sepulto, Cui Prodest?, Spes Ultima Dea, Scelera, Gallia Est, Saturnalia, Ars Moriendi e Olympia. Ricordiamo anche Istigazione a delinquere (2003) e Una strada giallo sangue (1999) in cui ripercorre la storia della via Emilia attraverso alcuni delitti. (MS dal DizioNoir)