Vero è che l’arrivo di Mara (Valentina Lodovini), giovane supplente in una scuola elementare di un paesino alle foci del Po, suscita turbolenze nella comunità maschile che vi risiede, ma altrettanto vero è che La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, presentato in concorso alla seconda edizione di “Cinema. Festa Internazionale di Roma” nella sezione Cinema 2007, non ha nulla da spartire con la gloriosa (per alcuni sì per alcuni no…) “commedia sexy all’italiana anni ‘70”. La giusta distanza è svariate cose assieme, alcune riuscite altre no, alcune convincenti, altre meno, tutte corrette, ma non tutte necessarie. Il titolo si riferisce a quella che secondo Bencivenga (Fabrizio Bentivoglio), direttore di un giornale poco più che locale, è la prima regola alla quale ogni giornalista deve attenersi scrupolosamente e che ha a che fare con l’equidistanza da mantenere nei confronti della notizia: essere sì vicini ai fatti, quel tanto che basta per descriverli, ma non troppo, così da schivare qualsiasi coinvolgimento emotivo. Se Bencivenga è il mittente, il destinatario è Giovanni (Giovanni Capovilla), un adolescente aspirante giornalista che reclutato da Bencivenga diventa la voce di dentro della piccola comunità a cui appartiene (seconda regola Bencivenga: lavorare nell’ombra, altrimenti la gente non racconterà più nulla…). La giusta distanza, come si diceva, è molto di più di una semplice regola giornalistica: è il ritratto di una provincia cara a Carlo Mazzacurati (La lingua del santo, Vesna va veloce), è uno spaccato dell’amore tra una coppia mista (Mara, la supplente, e Hassan, un meccanico tunisino), è una galleria efficacemente schizzata di facce tra le quali spiccano quelle di Amos, il ricco del paese, tutto auto di lusso e yatch, pronto a provarci con tutte (Giovanni Battiston, uno che non sbaglia un personaggio che è uno) e di Franco, tecnico dei telefoni (Natalino Balasso uno dei pochi che non soffre il salto dal piccolo al grande schermo…), è un Bildungsroman con al centro Giovanni, che da cronista imberbe si ritroverà promosso nel finale a giornalista a tutti gli effetti, è un ritratto vivo e palpitante di una comunità e di un paesaggio che anche grazie alla fotografia eccelsa di Luca Bigazzi sa cogliere squarci di pura suggestione tra terraferma e acqua e che non dimentica di rendere omaggio a Fellini con la maestra che fuori di testa discende nottetempo il fiume su una chiatta distogliendo per un istante l’attenzione dei paesani intenti a festeggiare una pesca miracolosa. Però il cahier de doleances non rimane intonso. Ci finisce sopra la parte thriller dell’affresco con un delitto che pare sulle prime subito risolto (movente+sospetto=colpevole e pazienza se il colpevole è innocente…). Toccherà a Giovanni riaprire il caso dato per chiuso e risolverlo, venendo meno alla prima regola Bencivenga (giacché pare che spesso le regole stiano lì per essere trasgredite…). Forse, anzi senza forse, è proprio questa appendice ad essere la parte meno convincente del film: troppo scritta (si sente…), posticcia, in fin dei conti banale, capace soltanto di allungare artificialmente la vita del film. Comunque da vedere e da confrontare, perché no, con La ragazza del lago.