Nel libro “sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili)”, appena uscito per Mondadori, hai raccolto le storie scritte e pubblicate tra annunci, immagini, discussioni letterarie, prima in www.giuliomozzi.com (dove è tuttora raggiungibile) e poi in www.vibrissebollettino.net/giuliomozzi (che non è più raggiungibile). Che idea ti sei fatto, in generale, del rapporto web/scrittura?

Nessuna idea generale. Qualche idea particolare. Ad esempio, che il "diario in pubblico" è forse un genere letterario che prima del web non esisteva. Ci sono stati scrittori, anche grandissimi, che hanno scritti i loro diari in vista della pubblicazione; o addirittura pubblicandoli periodicamente in riviste: ma il diario in pubblico del web è davvero tutta un'altra cosa. Diversi i tempi di pubblicazione, diverse le frequenze, diversa la relazione con i lettori. E diversa la quantità: oggi il diario in pubblico è un fenomeno di massa.

I tuoi racconti sono resoconti reinventati a partire dalla realtà, una realtà che è quotidiano, come tu stesso hai spiegato in “Chi è lui?”.  All’interno del quotidiano si riscontra un’eccezionalità che rende insolita e movimentata la materia narrativa: Si può parlare di straniamento della comunicazione?

Ho presentato scambi comunicativi quotidiani con tipiche tecniche di straniamento, in maniera che si veda la quantità di violenza che scorre dentro i dialoghi. Ho cercato di rendermi sensibile ad alcune cose presenti o solo latenti nelle conversazioni quotidiane. Ad esempio l'equivoco, che si genera dalla mancata condivisione di un contesto (il contesto materialmente è lì: ma due persone possono percepirlo in modi assai diversi), o la violenza calma, non emotiva, che si esercita in tutte le conversazioni nelle quali è in gioco un po' di potere. Perché queste cose si vedessero, le ho "trattate" con qualche semplice strumento retorico(la ripetizione, l'accumulazione, la freddura, l'equivoco deliberato, la letteralità eccetera).

Le persone che l’io narrante incontra nei racconti sono chiuse allo scambio, il loro confronto è simile a un ribattere monologante, ma la reazione dell’io narrante non è mai scomposta. Lui cerca il dialogo attraverso la logica, al massimo ricorre all’ironia. Proprio perché non dispera nella comunicazione: l’ironia, in un certo senso, gli permette di proseguire la comunicazione, anche se su livelli

differenti. L’ironia non come arma ma come nuovo tentativo. É così?

A volte sì. A volte è semplice presa per il culo.

Quell'io narrante lì è meno mite di quel che può sembrare.

Perché c’è questa incomunicabilità di fondo? L’hai solo registrata o hai pensato anche al motivo della stessa?

Ho l’impressione (ma è un’impressione impressionistica) che il tasso di violenza nell’interazione quotidiana sia in aumento. Sospetto che la diminuzione della dimensione della “comunità”, che è progressiva, porti ad avere minor immediatezza dell’individuazione dei contesti e a questi scoppi di violenza improvvisa.

L’io narrante sei tu ma non sei tu. É una persona che sovente viene scambiata con altre, che puntualmente, al telefono, si deve presentare, che a volte riflette sulla propria identità: «Decisamente,ieri ero poco io. O sembravo molti altri. Ma appena si scopriva che ero io, non interessavo più. Mah». Perché?

Molto semplicemente, queste mie storie non sono finzioni. Sono frottole. E a me importa che il lettore le percepisca sempre come tali. A questo scopo uso vari espedienti: non ultimo quello di giocare(con ripetizioni, accumulazioni eccetera) anche con il mio nome.

In “Salutare” si accenna al discorso “corsi di scrittura”. Ci dai un consiglio tecnico?

Non vi do un consiglio tecnico, ma un consiglio di altro genere. Considerato che più o meno il 2 per mille di ciò che ricevono le case editrici viene pubblicato, e, per quanto riguarda la mia esperienza di lettura, circa l’80% di ciò che mi viene proposto è semplicemente orribile, il consiglio è: pensarci 14 volte prima di inviare a qualcuno un manoscritto e ricordarsi che, se viene dato un rifiuto, non è perché gli editori sono cattivi, ma probabilmente perché quello che è stato scritto non è bello. Ciò significa affrontare qualunque cosa con una prospettiva che ammetta il fallimento: è possibile scrivere e fallire. Il consiglio quindi è: ricordarsi sempre che si può fallire.

Hai notato una costante nelle aspettative degli iscritti ai tuoi corsi?

Tre costanti. C'è chi si aspetta di imparare alcune tecniche facili da usare, i cosiddetti "trucchi del mestiere".

Purtroppo molte tecniche non sono facili, e i "trucchi del mestiere" esistono solo nel senso comune. C'è chi è animato da una grande passione per la letteratura, e desidera diventare un lettore più consapevole e profondo. Questa a me pare un'aspettativa ragionevole. Infine, molte donne si iscrivono ai corsi di scrittura sperando di incontrare uomini interessanti, e molti

uomini cercano di rendersi interessanti iscrivendosi a un corso di scrittura.

Ti chiedono di definire per il dizionario Zingarelli la voce: “SCRITTORE”

s.m., "Persona che è ritenuta essere tale".

Da “sono l’ultimo a scendere(e altre storie credibili)” si scopre anche che sei un lettore di fumetti. Quali fumetti ritieni molto divertenti, quali qualitativamente alti per i disegni e la sceneggiatura?

Non sono un grande lettore di fumetti. Trovo molto belli i lavori di Enki Bilal. Trovo interessanti, per come scandiscono la narrazione, molti fumetti giapponesi. Ho tutta la serie di "Anita". Compero regolarmente "Julia", un ottimo fumetto Bonelli. Conservo gelosamente gli albi di Cocco Bill, Lucky Lucke, Puffi e Michel Vaillant.

Nel racconto “Una felicità terrena” mi ha colpito una frase: «la vita è una deportazione nel tempo». Fino al baratro, si casca giù, giù, giù a braccia aperte. Poi vi è la chiusa petrarchesca “qui regna Amor”. Che risposta ti sei dato alla questione tempo?

Che cosa è il tempo lo sappiamo tutti: poi, se ci pensiamo, non lo sappiamo più.

Questa è anche la mia condizione.

In riferimento al racconto di cui abbiamo appena parlato, ti rivolgo un’altra domanda astratta: cos’è la felicità terrena?

Ho scritto un libro che si intitola “La felicità terrena” e ne ho scritto un altro che si intitola “Il male naturale” e son due libri avvinghiati l’uno all’altro. Per felicità terrena intendo una felicità che sta in questo mondo. Ovvero per me qui la parola toccante non è “felicità” ma è “terrena”. La felicità, se c’è, sta in questo mondo. Per il resto, la felicità totale forse non è accessibile a tutti, ma una felicità decente fa parte della nostra vita, dei momenti in cui ci sentiamo bene.

In “sono l’ultimo a scendere(e altre storie credibili)” spesso tu capisci in anticipo lo svolgimento dei dialoghi. Sono le persone così prevedibili o sei tu particolarmente perspicace?

Non credo di essere particolarmente perspicace, ma ci sono un sacco di situazioni nelle quali capiamo esattamente che cosa può giungere dall’altro. Ma una costante del mio personaggio è che, una volta che capisce cosa gli sta arrivando dall’altra parte, non salta subito alle conclusioni.

Per i lettori che ti seguono e hanno grande desiderio di leggere

ancora altre cose tue: quando il prossimo libro?

Dopo "Sono l'ultimo a scendere (e altre storie credibili)" ne sono

usciti altri due, a distanza di poche settimane: "Corpo morto e corpo vivo: Eluana Englaro e Silvio Berlusconi", per Transeuropa, e "(non) un corso di scrittura e narrazione" per Terre di Mezzo.

http://sonolultimoascendere.wordpress.com/