Grindhouse (le Grindhouse erano le sale americane specializzate nella proiezione, spesso abbinata, dei film di generi come exploitation, kung fu, splatter, slasher, horror, thriller, sexploitation, che conobbero il massimo della diffusione negli anni 70) che segna ritorno al cinema di Quentin Tarantino a quattro anni da Kill Bill, avrà pure deluso negli iùesei, si sarà pure staccato dal suo gemello di viaggio Planet Terror (di Rodriguez e che vedremo a settembre…), si sarà pure bruciato la maggior parte della stampa ufficiale nostrana con le dichiarazioni al vetriolo di Tarantino sulla mediocrità del cinema italiano attuale, sarà pure soltanto l’ennesimo riciclaggio di altre fonti, ma ciò nonostante è, resta, e resterà, uno spettacolo di eccezionale talento profuso a piene mani senza mai rischiare il burnout per eccesso di talento (appunto…). Le due ore di spettacolo equamente suddivise in due segmenti ben distinti (nel primo quattro fanciulle ci rimettono la vita per colpa del folle psicopatico Stuntman Mike/Kurt Russell, mentre nel secondo tre fanciulle gliela faranno pagare a caro prezzo), si presentano come simili nella struttura, dialoghi e solo dialoghi prima (e una lap dance attorno a Stuntman Mike…), azione e solo azione dopo. Differenti però le percentuali: 90% dialogo 10% azione nel primo primo, 80% dialogo 20% azione nel secondo. Non spaventi la maggioranza schiacciante dei dialoghi, né la mancanza di una vera e propria sceneggiatura (intesa come sviluppo dei personaggi o colpi di scena…), perché i dialoghi sono più che sufficienti per lasciarsi andare. Senza essere sul sesso degli angeli saranno anche futili (niente “saranno”, lo sono di sicuro…), però non sono stupidi, tutt’altro, e sono perfettamente in linea con quelli de Le iene (che so, sul significato recondito di Like a Virgin, o con quello, magnifico, tra Bill e la Sposa nel finale di Kill Bill Volume 2). Le scene d’azione poi, in particolare il lunghissimo duello-inseguimento tra auto della seconda parte, fa letteralmente sobbalzare sulla sedia (don’t try this at home, please…). Colpisce infine la maniacale precisione filologica che Tarantino (anche alla fotografia) ha intrapreso per restituire appieno lo stile di quei film (vedi sopra) ai quali Grindhouse è chiaramente ispirato: titoli di testa e di coda, graffi della pellicola, fotografia slavata, errori di montaggio (mezza figura di Stuntman Mike appoggiato al bancone di un bar con il bicchiere in mano. Stacco e ripresa con la cinepresa alle spalle di Stuntman Mike ad inquadrare l’interlocutore: il bicchiere non c’è più…) tutto contribuisce al sentito e affettuoso omaggio ad un cinema che non c’è più, (anzi sì ma solo sui dividì o sulle TV private superstiti…). Diffidare delle foto (laccatissime…) che circolano sui giornali, che col la fotografia del film c’entrano come i cavoli a merenda. Imperdibile.