In questa rubrica fino a oggi abbiamo ospitato autori diversi, ognuno con la sua opera prima e le sue peculiarità. Finora, però, abbiamo sempre parlato di romanzi, dal thriller al giallo classico, passando per tutte le tinte del noir. Questo mese invece, per la prima volta, ospite del nostro salotto letterario è Homo Interrogans, autore di maschere (libri/4658), una raccolta di racconti e poesie noir. Il vero nome dell’autore, che scrive appunto sotto pseudonimo, è Giovanni Sicuranza, medico legale, che con questa opera arriva alla sua prima volta editoriale e si guadagna a pieno titolo il posto in questa rubrica.

Ringraziandoti per la disponibilità, Giovanni, se sei d'accordo partirei subito per questa avventura.

Sono io che ringrazio te, Chiara, per la possibilità che stai dando a maschere e al suo autore di essere conosciuti. E poi, lette e apprezzate le tue precedenti interviste, credo che affronterò un'avventura stimolante, per nulla scontata.

Lo pseudonimo che ti sei scelto è piuttosto particolare. Perché ti chiami proprio Homo Interrogans e perché hai deciso di scrivere sotto pseudonimo?

Intanto, permettimi una correzione. Come avrai notato, in realtà il mio pseudonimo si scrive in minuscolo: homo interrogans. Lo stesso vale per il titolo del libro e per i titoli dei racconti, scritti in minuscolo per sottolineare la loro reale quotidianità nel sociale anche quando sembrano assurdi. Lo pseudonimo non è, in questo caso, un nome proprio, infatti, ma il riferimento a una specie evolutiva (o involutiva, dipende dai punti di vista del lettore) del sapiens sapiens. Una specie, a mio avviso, rara: l'uomo che va oltre la superficialità delle maschere, oltre l'apparenza, l'uomo che osserva anche i tabù più radicati nella nostra società, come quello della morte. E si interroga. E interroga. In realtà la mia maschera che indaga le maschere è nata nei primi sentieri in cui ho seminato briciole di me stesso: i siti internet dedicati ai racconti di sconosciuti, dove è possibile scegliere uno pseudonimo. Al momento della pubblicazione ho scelto di mantenere lo pseudonimo per due motivi: uno è quello che ho appena spiegato. L'altro era un'intuizione: di coloro che si aggirano in libreria senza una chiara idea di cosa acquistare, quanti sarebbero stati colpiti da Giovanni Sicuranza e quanti dalla stessa opera scritta da homo interrogans? Lo pseudonimo avrebbe dovuto spingere a una certa curiosità verso maschere. Ovviamente questo accadeva quando ancora credevo che le librerie avrebbero straripato del mio libro.

Questa tua ultima osservazione mi porta a riflettere su un altro argomento. Il mondo dell'editoria in generale è un mondo piuttosto ostico e complicato. E senza dubbio lo è ancora di più per chi decide di proporsi sul mercato con dei racconti, soprattutto nel caso di un esordiente. Come mai hai scelto proprio questo genere?

In parte perché, scrivendo su siti internet, ho iniziato a cimentarmi con i racconti per necessità. Ma soprattutto perché ho sempre molto apprezzato i racconti, spesso anche più dei romanzi. Credo che questo genere sia sottovalutato rispetto al romanzo. Alcune case editrici hanno respinto la mia raccolta proprio perché trattava di racconti, di scarso impatto commerciale, a maggior ragione se esordio di uno sconosciuto. Eppure il racconto è una sfida esaltante. Scrivere tutto, e bene, in una sintesi perfetta in cui ogni singola parola deve vivere con la stessa forza delle altre. E permettimi di osservare che forse è anche per questo motivo che può scaturire la tua osservazione, nella recensione, di "forzature" stilistiche. Io le ritengo frasi esplosive di sintesi, che con i denti di parole "scelte" affondano ancora di più nella carne del lettore. Ricordo la prefazione che Lucarelli ha scritto nella sua raccolta Il lato sinistro del cuore: il racconto è il bonsai del romanzo. E il bonsai è la riproduzione ridotta di una pianta. Perfetta e proprio per questo degna di apprezzamento. Inoltre, credo che leggere racconti sia anche vantaggioso nel poco tempo che si riesce a dedicare alla lettura. Il racconto è di facile consumo, sull'autobus, in bagno, a letto, poco prima di dormire o poco dopo aver fatto l'amore; in questo caso molto più salutare della classica sigaretta.

Non è che in questa scelta c'è anche la paura di affrontare un romanzo nella sua complessità? Qual è, secondo te, la differenza sostanziale nella stesura di un elaborato breve (come può esse il racconto) e di una storia più articolata, che per necessità può aver bisogno di più spazio per svilupparsi?

Come ti ho detto, non considero il racconto un sotto-genere del romanzo. Anzi. Ricorda la definizione di Lucarelli. Crescere e curare un bonsai in armonia è molto difficile. Insomma, credo che scrivere un racconto, e ovviamente mi riferisco a racconti di qualità, richieda allo stesso tempo una capacità di sintesi e di completezza di personaggi, emozioni e vicende non comune a tutti. Il romanzo è come una maratona, certo, devi essere allenato e non perdere di vista i numerosi particolari che possono smarrire il percorso della storia. Il racconto è uno sprint, in cui devi bruciare tutto, in fretta, ma con eleganza, senza inciampare. Con questo, lungi da me l'idea di denigrare il romanzo, anzi. Non ho alcun problema ad affrontarlo, come dimostrano i miei progetti già attuati e quelli futuri. Mi chiedo invece, in modo provocatorio, quanti bravi scrittori di romanzi sappiano scrivere anche bei racconti.

Continuando a parlare della struttura della tua opera è necessario soffermarsi anche su un'altra componente fondamentale: le poesie. Ai racconti si alternano, infatti, composizioni in versi. Come ho avuto occasione di dirti, personalmente ho trovato un po' forzato il loro inserimento, non perché non creda nella forza di un prosimetro, ma perché, in questo caso specifico, le poesie mi sono parse slegate dal resto, un po' appiccicate alle pagine… Vuoi provare a spiegare tu il ruolo delle poesie?

Il ruolo è lo stesso che hanno i racconti. Svelano le maschere del nostro quotidiano. Per questo non le trovo affatto slegate dalla raccolta. Certo, ammetto che all'inizio sono state inserite anche per rendere l'opera più corposa. Tuttavia credo che la poesia sia un genere in cui tutti più o meno ci cimentiamo, ma che quasi nessuno legge. Almeno in Italia. Ed ecco la mia idea: tentare di dare dignità alla poesia. La poesia che non è isolata nel contesto di una raccolta, ma si alterna ai racconti, sulla scia delle maschere che cadono, dovrebbe suscitare un po' di curiosità anche nel lettore di solito allergico a questo genere. Anche in questo caso, ovviamente, occorre che i versi abbiano una certa qualità.

Prima hai accennato al fatto che io abbia trovato a tratti, in alcuni racconti, qualche forzatura, qualche "costruzione" di troppo. Per dirla diversamente l'impressione ogni tanto è che la testa prenda il sopravvento sul cuore. Qual è il rapporto tra testa e cuore, appunto, quando scrivi?

Hai conosciuto alcuni dei miei personaggi. Sono spesso guidati da una follia lucida e compiono gesti apparentemente paradossali che tuttavia proprio la loro follia rende verosimili. Ma non sono mai alieni dall'emotività, anche se distorta. Per quanto riguarda il loro autore, credo ci sia un legame stretto tra testa e cuore. Di solito inizio a scrivere con il cuore, tanto è vero che la mia fedele compagna di scrittura è la massima passione che scalda il cuore: la musica. Non solo non creo mai senza un sottofondo musicale, ma a volte la storia prende svolte inaspettate proprio perché guidata da un certo brano. Qui c'è tutta la mia emotività e credo non sia un caso se Evangelisti ha definito "musicale" il mio stile. Poi la testa è necessaria per entrare nella costruzione a effetto della storia, per consentirmi di prendere le distanze e valutarla in prospettiva. In sintesi, nel racconto molte frasi a volte sono studiate, a volte si impongono con forza emotiva. In ogni caso, quando questo capita, lascio volutamente uscire la parola dal suo uso "normale", rendendo esplosivo ogni particolare.

In tutto questo quanto ti influenza la tua professione di medico legale? Cioè come riesci a conciliare le due cose e la tua professione è fonte di ispirazione per le tue storie?

Il lavoro di medico legale mi è utile per la descrizione di alcuni dettagli, e non in tutte le storie. Ma non per l'ispirazione, che traggo dalla realtà che ci circonda, portandola all'estremo. Anche se spesso la cronaca supera molto il mio "spingere oltre". Certo, la mia esperienza in campo autoptico, a contatto con centinaia di cadaveri, e quella in campo previdenziale, dove ho a che fare anche con persone al limite della vita, da un lato mi ha aiutato a sdrammatizzare il tabù della morte, dall'altro mi ha fatto capire che la cosa più facile per un uomo è proprio morire.

E qui incontriamo uno dei temi che si rincorrono tra le pagine di maschere. Valerio Evangelisti, nella prefazione, dice che "homo interrogans dà vita alla morte". Con queste poche parole colpisce quello che secondo me è il fulcro di tutta l'opera: la morte diventa, in un certo senso, la reale protagonista dei racconti. Sei d'accordo con questa definizione?

Sì. Ed è una protagonista voluta, chiamata per curiosità. La curiosità dell'homo interrogans, non quella morbosa. Nella nostra società, infatti, la morte è ancora argomento di forte tabù, da evitare ad ogni costo. Un tempo non era così, la morte entrava nel quotidiano con coralità e vedere una persona durante il suo trapasso era considerato normale anche per i bambini. Senza dilungarmi sui cambiamenti storico-sociali della morte, permettimi un solo esempio: esci in compagnia, con gli amici, e mettiti a parlare di sesso. Chi più, chi meno, reagirà con battute ironiche e divertite all'argomento. Ora mettiti a parlare di morte. Ma non della notizia della morte di qualcuno. Proprio di morte. Della sua definizione, del morire che aspetta ognuno di noi. Hai due possibilità: creare il vuoto intorno a te nel tempo di pochi minuti, sentirti consigliare una visita psichiatrica. Ecco, maschere sfida questo tabù. In un certo senso anche nella mia professione di medico legale do vita alla morte. Durante un'autopsia il mio compito è quello di osservare il cadavere, i suoi segni, e di interpretarli per andare indietro nel tempo, passando attraverso la sua morte. È il tentativo di ricostruire almeno gli ultimi istanti di vita del defunto. Una sfida affascinante.

Un altro filo conduttore che si ritrova nei racconti è appunto quello della maschera. Non per nulla infatti il libro prende il titolo maschere da uno dei suoi racconti, forse quello più rappresentativo. Il tema non è nuovo, già grandi classici della letteratura lo hanno affrontato. Qual è la tua peculiarità in questo?

In effetti il tema non è originale. Ad esempio, un grande autore che lo ha affrontato è stato Pirandello. Ma io lo spingo all'estremo. Tutti noi, nel quotidiano, nella vita, indossiamo maschere su maschere. Nel lavoro, nel rapporto con parenti, amici, amanti. Sono maschere da non intendersi necessariamente in senso negativo, ovvero non sempre celano il nostro essere per mostrare falsità. Inoltre nella società sono necessarie, dove il nostro inconscio e le nostre pulsioni, devono per forza venire a compromessi. E, a parte nella nascita e nella prima infanzia, cadono solo durante la morte, programmata o attuata che sia. Ecco perché i miei personaggi uccidono o si uccidono. E intanto osservano e si fanno osservare. Dagli interrogans.

Un'altra cosa che accomuna diversi racconti è invece un personaggio, a cui ti so particolarmente legato: Alba. Chi è Alba? Ti va di raccontarci un po’ di lei?

Scherzi? E se mi sente e mi prende di mira? In realtà, ti ringrazio di avermi rivolto questa domanda che mi permette di sfiorare uno dei personaggi a me più cari. Alba è un medico legale che cerca il vero volto dei suoi uomini, oltre le maschere. E quando capisce che può trovarlo solo nel momento della morte, in una follia, lucida e sensuale allo stesso tempo, semplicemente uccide. In maschere le dedico tre racconti e una poesia, in un percorso in cui Alba acquista sempre maggiore sicurezza. "Uccido per vedere la vita", ti direbbe lei. E quando lo fa, avrai notato, è sensuale e materna allo stesso tempo. Alba mi ha così affascinato che i lettori la incontraranno prossimamente.

Dopo aver esplorato insieme l'opera, parliamo ora dell'esperienza editoriale vera e propria. Come sei arrivato alla pubblicazione?

In realtà l'idea mi ha accompagnato fin da bambino, quando, con una "lettera Olivetti" regalatami da mio padre, a 13 anni, ho scritto il mio primo breve romanzo ambientato nel Triangolo delle Bermuda. Poi, nel tempo, l'idea ha alzato la voce, fino a quando, due o tre anni fa, ho iniziato a scrivere racconti su siti internet e, grazie ai commenti e alle recensioni dei lettori, mi sono reso conto di essere valido. Così la mia prima raccolta di racconti e poesie ha iniziato il viaggio verso case editrici. Nello stesso tempo, ho inviato i racconti anche a decine di scrittori affermati e ho avuto la piacevole sorpresa di una risposta e di una buona recensione da Valerio Evangelisti e da Eraldo Baldini. Dopo pochi mesi, hanno risposto favorevolmente anche tre o quattro case editrici, ora non ricordo. E la migliore mi sembrava la Giraldi Editore. Sottolineo che allora per me la migliore era quella che non chiedeva soldi o che chiedeva una cifra davvero esigua, come ha fatto Giraldi, giustificandola per spese codice ISBN. Una casa editrice bolognese, che preferisco non citare, è arrivata a chiedermi seimila euro!

E come giudichi l'esperienza della pubblicazione?

Forse ti sembrerà strano, ma, dall'entusiasmo del contratto editoriale nel gennaio 2006, oggi ho un certo distacco nei confronti dell'opera. Per due motivi, credo. maschere, come accenni anche tu nella recensione, non è stata curata dall'editore, né con l'editing, né con presentazioni. Inoltre, l'opera ha una scarsa distribuzione nelle librerie, anche se da aprile dovrebbe essere presente su tutto il territorio nazionale (ma sempre tramite ordinazione, temo). L'altro motivo è che io guardo avanti e nel continuo esercizio dello scrivere so di essermi in qualche modo "evoluto". Per cui mi è capitato di leggere maschere di recente e di stupirmi per la musicalità di certi racconti, ma nel complesso ho trovato l'opera già in parte superata

Quindi ti ritieni soddisfatto?

Sì, perché ho in parte concretizzato il mio sogno. No, perché comunque l'ho concretizzato solo in minima parte e con molte lacune editoriali. Rifammi la domanda quando il lettore medio avrà almeno sentito parlare di homo interrogans o Giovanni Sicuranza. E comunque, con questa intervista, mi dai una marcia in più.

Vista la tua esperienza cosa consigli di fare a chi ha il famoso "romanzo nel cassetto"?

Dipende. Se ha ambizione, se crede in ciò che ha scritto, indifferentemente dal parere degli altri. Se riesce ad indossare la maschera della determinazione e della pazienza. Ecco, allora, in questo caso, denti stretti e via, alla ricerca contemporanea di una casa editrice valida (ora correggo la mia definizione iniziale: che non chieda soldi e che assicuri una certa visibilità all’opera) e di una recensione da parte di qualche personaggio famoso che, quantomeno, oltre a provocare una temporanea ed esaltante scarica di endorfine, dovrebbe aiutare l'opera esposta in libreria. A mia critica, ammetto che, da inesperto e da entusiasta, non ho avuto pazienza e ho accettato il primo contratto editoriale che mi sembrava valido. Bisogna valutare bene le eventuali proposte. Con la ricerca di case editrici per le altre mie opere, l'atteggiamento è cambiato, più incisivo e cauto allo stesso tempo. Se l'autore non ha le qualità di cui sopra, lo tenga pure nel cassetto. Se solo esita sulle sua capacità e non ha grinta, o ha scritto il capolavoro del secolo, che salterà dall'ombra con la sua personalità, o è destinato a cocenti delusioni e somme fregature editoriali.

E ora che andiamo verso le battute finali di questa intervista, convinci i lettori: perché leggere maschere?

Per tutti i motivi che ho già spiegato sopra. Per la scoperta o la riscoperta del racconto e della poesia nel genere dark o noir, o comunque lo si voglia definire. Perché, comunque e nonostante tutto, maschere continua a piacere e ad avere critiche favorevoli. Ma, soprattutto, per aumentare il mio egocentrismo e spingermi a scrivere ancora. E ancora.

E ora chiudiamo con la domanda di rito: progetti per il futuro?

Con altri due autori, Giovanni Inardi e Monica Marcenzi, ho scritto la raccolta Città di Solitudine, cupa e coraggiosa. Si tratta di un corposo incastro di racconti e poesie con un motivo conduttore e congeniato al punto tale che, nel complesso, l'opera si può definire anche un romanzo. E a tale proposito, ho terminato anche il mio primo romanzo noir, Quando piove, già in esame presso alcune case editrici di livello, così come sta accadendo per Città di Solitudine. Si vedrà nel prossimo futuro. Intanto ho iniziato il mio secondo romanzo (come vedi non sono solo autore di racconti), che tra i protagonisti vede una sintesi mirabile tra Alba e Valentina, altro medico legale personaggio di Quando piove. E continuo a scrivere racconti, alcuni pubblicati su www.poetika.it (cercando interrogans tra gli autori), altri su www.zaffoni.it, il sito di Bruno Zaffoni, cercando, invece, Sicuranza. E anche per Quando piove ho firmato con le mie vere (?) generalità. Insomma, forse ho calato la maschera di homo interrogans. Per indossare quella di Giovanni Sicuranza.