Johnny Blaze (Nicolas Cage), cornuto e mazziato (almeno all’inizio…): si vende l’anima a Mefistofele (Peter Fonda) pur di salvare il padre dal cancro, solo per vederlo morire poco dopo in un incidente di moto durante uno spettacolo. Visto che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, pur con una maledizione sulle spalle che levati, Johnny Blaze oramai scisso tra la sua identità diurna di motociclista acrobatico, e quella notturna di Ghost Rider, fa buon viso, pardon teschio, a cattivo gioco e inizia a scorazzare sul suo Chopper fiammeggiante col compito di fare piazza pulita del marciume che c’è in giro. Che si tratti di un rapinatore di mezza tacca o di qualche diavolaccio fuggito dall’Inferno, non fa molta differenza, visto che “arma fine di mondo” e nelle sue mani, ooops, nei suoi occhi (lo sguardo della Penitenza, attraverso il quale Ghost Rider impone al reo di rivivere in flash-back le sofferenze che ha inflitto agli altri, e se non basta è la volta della catena, fiammeggiante pure lei…). Dopo la trasposizione di Darevil, Mark Steven Johnson torna di nuovo a misurasi con la gloriosa Marvel Comics. Pecca principale dell’operazione è una sceneggiatura schizofrenica: le scene diurne viaggiano a livello di commedia romantica con l’aggiunta di un umorismo da patata lessa, mentre quelle notturne, con la mutazione di Blaze nel fiammeggiante teschio in motocicletta conosciuto come Ghost Rider, si impongono in virtù della caratura del personaggio stesso, dolente e solitario in lotta contro tutto e tutti. Certo è che mettere insieme le due parti è impresa impossibile. C’è più di qualche ragione per credere che Cage da un po’ di film in qua non sappia più quello che sta facendo. Contento lui…