- Cioè mai. Bravissimo! Almeno in questo non hai preso da tua mamma. E ora facciamo una prova di dimenticanza. Chiudi gli occhi: dove siamo stati poco fa?

- Al negozio di elettrodomestici. Io voglio il televisore a colori.

- Minchia che testa dura! Ma siete convinti che me le regalano, le cose?

- A volte sì, papà.

Suo padre tace per un istante. Poi dice a mezza bocca: - Che fa la gallina? Ha pisciato?

- No.

- E allora zitto. Lo sa Dio che c'è voluto per infilarsi due lire in tasca, questa settimana -. Papà innesta la marcia, con stizza. - La situazione è critica. L'hai sentito quello che ha detto il signor Matteo.

- No.

- Certo, giocavi.

Giocava, certo. Perché a Giovanni capita di doversi annoiare nel negozio di stoffe sempre vuoto di Matteo Scavone, dove suo padre lo porta un pomeriggio sì e uno no, e di starsene seduto su una scatola di cartone a far volare fili e scampoli o a scarabocchiare su un foglio di carta il tempo che non passa mai. Meglio le pasticcerie, in fondo, cento volte meglio.

- Papà?

- Che c'è.

- Io ci credo a quello che mi dici sempre tu: che non ci fai mancare niente e che lavori notte e giorno, anche quando sembra che passi il tempo a parlare con i tuoi amici.

Silenzio. Promettente.

- Secondo me quel televisore a colori fa male agli occhi, - riprende suo padre.

- No! Ho letto che non è vero.

- Non mi fido di queste cose nuove.

- Ci sono i mondiali di calcio.

- Ah...

Suo padre socchiude le palpebre, forse immaginando la nazionale contro i brasiliani o gli argentini. Azzurro. Giallo. Verde. Celeste.

- Vabbè, - sospira, - fammi vedere che si può combinare.

Giovanni si drizza sul sedile: - Giura!

Suo padre sbuffa. - Che giuro e giuro. Proviamo. Ma a me le cose non le regalano.

E aggiunge che prima dovrà chiedere in giro, capire chi è il negoziante giusto da cui prendere il televisore e poi decidere se è il caso di portarselo a casa.

Senza pagare.