Tema che dire attuale è dire poco (un cristiano convertito all’Islam e operante in una cellula di Al Qaeda che seduce la moglie di un professore universitario rimasto mutilato in un attentato così da servirsene come involontaria vettore di morte), per questo Il mercante di pietre di Renzo Martinelli, un film che non ha mancato di suscitare polemiche scoppiate puntualmente tra detrattori (“Non si può fare di tutte le erbe un fascio occorre distinguere tra un Islam moderato e uno estremista”) e sostenitori (“È un film che tutti dovrebbero vedere e rifletterci sopra”). Al di là delle polemiche il film presenta tutti i pregi ma anche tutti i difetti di Renzo Martinelli, per alcuni la versione tecnologicamente avanzata di Giuseppe Ferrara (Paolo D'Agostini, "la Repubblica", 15 settembre 2006). I pregi sono quelli di un regista che non teme di afferrare il toro per le corna (vedi Porzus, la ricostruzione di uno dei lati oscuri della Resistenza italiana, simile a Black book quindi, anche se parecchio al di sotto come risultato), mentre i difetti sono legati ad uno stile che spesso ama esagerare per il gusto dell’esagerazione, quasi che il tema da solo non bastasse. Ecco allora la transizione da un’immagine all’altra sottolineata da un “uoosh” che alla terza volta diventa stucchevole, i ralenti che non enfatizzano un bel nulla perché nella maggior parte dei casi non c’è nulla da enfatizzare, la geometricità meccanica di certi movimenti di macchina (vedere come la mdp arriva a scoprire la bomba piazzata sotto la macchina sul traghetto) che rasenta il puro esercizio stilistico. La scena simbolo del film non è tanto quella della resipiscenza del mercante di pietre (Harvey Keitel che certo ha conosciuto tempi migliori, parti migliori…) quanto un bizzarro inseguimento tra il professore mutilato che, braccato da due killer introdottisi nel suo appartamento, fugge inerpicandosi con la sola forza delle braccia (le gambe le ha perdute nell’attentato) lungo un camminamento d’acciaio che corre lungo tutto il soffitto. A seconda dei punti di vista di ciascuno è giudicabile come originale o ridicola. Qualcuno, al quale non rimane altro da fare che associarsi, ha notato come il film pare ispirato ad uno degli episodi presenti in I nuovi mostri (Mario Monicelli; Dino Risi; Ettore Scola, 1977), dove Ornella Muti, nei panni di una hostess sedotta da Yorgo Voyagis, diventava l’involontaria trasportatrice di una bomba destinata ad esplodere in volo (episodio molto breve, molto inquietante, muto, e con Ti amo di Umberto Tozzi a commentare, ironicamente, il tutto…).