Ho paura che la scrittura, il tempo speso davanti a un monitor o con gli occhi bassi su un quaderno d’appunti si mangino la vita, e senza vita, cosa si scrive? Per chi? E di che? Ho paura che le mie parole non servano a niente, non cambino niente, mi viene in mente sempre, quando scrivo, la frase di un intellettuale tedesco che si chiama Roland Jirgl e che dice così: “La cosa tremenda è quando la scrittura non ha nessuna conseguenza. Una scrittura che non cambia niente per chi scrive.” E di conseguenza, aggiungerei io, non cambia niente per gli altri.

Esorcizzo uscendo, cercando di guardare la gente, le cose, di essere viva dentro il mondo, non solo dentro le pagine che scrivo e che  leggo.

Mangiare una volta mi piaceva. Poi ho passato un periodo di odio per il cibo, avevo bisogno di purificarmi, di sentirmi leggera. Sono dimagrita dieci chili. Adesso con il mio corpo sto bene.

Cerco di nutrirlo, alcune cose mi piacciono molto, ma la mia alimentazione base è molto leggera e semplice: frutta, insalata, yogut, latte.

Da questa parte di mondo comunque mangiamo troppo e sprechiamo troppo tempo a pensare al cibo, quando i miei amici attaccano a parlare di allevamento del cinto senese o di tartufaie io svengo dalla noia.

Il mio piatto preferito? Pesce crudo, ma non il sushi, il carpaccio di cernia che fa mio padre. E l’impepata di cozze.

Il corpo? Sono un po’ ossessionata, come molte donne, credo. Dei vestiti mi importa poco, per il resto invece, dopo un periodo di incuria quasi totale, sono molto attenta: ginnastica, nuoto, creme, a volte mi sembra di esagerare, poi penso, perché non dovrei? Mi fa stare meglio, curarmi e sentirmi bella.

Il corpo non è separato dalla testa e dal cuore, se non ti ci senti bene dentro, se lo trovi brutto, o ingombrante condizioni tutto il resto.

Ho abitato in campagna fino a quest’estate, campagna industriale, ma insomma… ora abito in centro a Bologna e mi sposto a piedi e in autobus. Vedo una città molto diversa da quella che ricordavo, da quella dei tempi del liceo e dell’università, e poi viverci dentro, alle città è diverso rispetto a quando ci vai solo per andare al cinema, o per fare un giro. Piena di problemi, Bologna, di cose che ancora devo osservare e capire.

Comunque a me piace camminare, mi piace perdermi, adoro Roma per questo: perché è enorme.

E mi piacerebbe viaggiare proprio così: a piedi, con i tempi "veri". Sceglierei il mare, senza dubbio. La montagna mi deprime, amo gli orizzonti aperti. Ora ho voglia di Africa, ma l’Africa, per me, è soprattutto la sua gente, non la natura.

Anche se è ovvio: paesaggio e abitanti di quel paesaggio, sono in fondo la stessa cosa.

Prendo appunti mentalmente e nella testa scrivo di continuo, anche quando vado a dormire.

Nella pratica quotidiana sono poco disciplinata, a parte alcuni periodi di concentrazione assoluta: sono capace di passare mesi senza scrivere una pagina e poi di farne uscire venti in due ore.

Il famoso terrore della pagina bianca non so cosa sia, perché se non ho voglia di scrivere, non scrivo. Le cose per forza non sono mai riuscita a farle, neanche da bambina. E’ il mio difetto più grande. Davanti a un documento di word bianco, in attesa dell’ispirazione non mi ci metto proprio. Se comincio, è perché ho già in mente qualcosa. Una frase, un’immagine, una sensazione.

Le scadenze dettate da contratti editoriali sono un tasto dolente.

La cosa migliore in assoluto, per quanto riguarda i romanzi, la scrittura vera, e non i pezzi, gli articoli e via dicendo, è forse quella di non avere un contratto prima di aver finito il libro. E’ una buona regola. E nel frattempo, si fa altro. Non c’è niente di peggio, per me, che scrivere per forza. Io non sono un narratore di professione, non è la mia natura.

Niente tic, niente trucchi: sono troppo disorganizzata anche per queste cose. I rituali sono impegnativi. L’unica cosa che faccio  è un quarto d’ora di meditazione prima di dormire ogni sera, da tre anni. Ma nella scrittura, niente, ogni libro ha una storia a sé, non è mai lo stesso percorso.

Posso scrivere dappertutto, in qualsiasi condizione, devo solo sentirne il desiderio.

Nei rapporti con gli altri sono discontinua: ho periodi di grande apertura e curiosità e altri in cui sento l’esigenza di sparire.

Sono ciclotimica. Gli altri, o mi amano o mi odiano, da sempre.

Ricordare qualcuno qui? Farne il nome? Vorrei ricordare tante persone... L’anno appena trascorso è stato prodigo: ho approfondito legami con persone che già erano nella mia vita

e ho fatto nuovi e straordinari incontri. A tutte queste persone – che si chiamano Rosella, Carlo, Valentina, Tommaso, Riccardo, Deborah, Domenico, Davide, Roberto, Marco, Antonia… - vorrei dire che senza di loro tutto sarebbe stato molto più difficile. 

Il passato? E’ passato. La malattia e la morte... Non ci penso. Devo vivere, adesso.

Faccio fatica ad addormentarmi, da sempre. E purtroppo per sentirmi in forma ho bisogno di 9 ore di sonno, se dormo meno divento antipatica.

I sogni sono il mio secondo lavoro: li trascrivo, li analizzo, tengo un quaderno di sogni e rileggerlo a distanza di tempo è davvero illuminante.

Se si può vivere di scrittura? Si vive, aggiungendo cose collaterali: traduzioni, televisione, radio, consulenze, dipende dai periodi. Io sono fortunata. Aneddoti nessuno. Ringraziamenti uno: Carlo Lucarelli.

E’ stato lui a proporre il manoscritto di dei bambini non si sa niente all’Einaudi, con grande coraggio e determinazione. Da lì è nato tutto. Poi il mio editor, Severino Cesari, che non mi dà mai nessun consiglio diretto, ma mi ascolta. Una psicanalisi della scrittura. Per me, è il metodo migliore, io odio i "dovresti" e i "secondo me". Farei sparire tutti i potenti del mondo. E tutti i bugiardi.

Mi piacerebbe essere invisibile, sì. Perché gli scrittori DEVONO guardare e non essere guardati.

Per rilassarmi, per godermi la vita, mi piace leggere, scrivere, andare al cinema, nuotare. E amare, quando amo, ma capita raramente.

Sesso e volentieri?... Cenette che preparano erotismi romantici? La prima. La cena, dopo. 

 

Simona Vinci, 1970. Italia. Con la sua ricerca costante nel mondo delle ossessioni e delle incertezze dell’amore richiama spesso atmosfere d’inquietudine. Esordisce con grande scalpore col romanzo Dei bambini non si sa niente (1997) nel quale racconta di alcuni bambini che compiono un delitto feroce. La sua prova seguente è una raccolta di racconti In tutti i sensi come l'amore (1999) nella quale emerge il disagio, la delusione, la solitudine delle persone. Segnaliamo Brother & Sister (2003), Come prima delle madri (2003) e Stanza 411 (2006). (MS dal DizioNoir)