Nonostante la costitutiva attenzione agli elementi di realtà e verosimiglianza della storia, il noir, in quanto genere, è un artificio narrativo e come tale ricorre a schemi e strutture codificati per mettere in scena storie, personaggi, situazioni.

Uno scrittore in gamba può certo rendere visibili e anche credibili scenari di grande brutalità molto lontani dal vissuto dei suoi lettori (nonché dal suo proprio): zone di morte, meandri della mente omicida, il terrore autodistruttivo della vittima braccata, ecc. Ma per quanto bene possa riuscirgli la “messa in parola” di tali situazioni e temi, saremo sempre di fronte a qualcosa di chiaramente (e dichiaratamente) fittizio, impossibile a credersi se non in virtù della “sospensione dell’incredulità” che permette appunto al lettore di introdursi, attraverso la pagina scritta, in ambienti e situazioni a lui totalmente alieni e ignoti, e grazie alla quale anche la fantascienza o i viaggi di Gulliver hanno una propria verosimiglianza e credibilità, pur nella loro irrealtà sostanziale.

Il noir non fa eccezione: certamente meno fantastico e inverosimile del fantasy o della sci-fi, agganciato come appare ai dati reali, alla concretezza dei “fatti”, alla verità della cronaca, permane cionondimeno un genere che ha una forte e ineliminabile componente di fiction, di artificio narrativo.

È forse proprio questo che lo mantiene Genere e gli impedisce di diventare letteratura.

Edward Bunker è morto l’anno scorso dopo aver passato metà della vita in carcere per crimini che aveva commesso. Era, insomma, un delinquente, peraltro recidivo. Nel suo caso, il noir non è dunque una finzione letteraria, non è lo schema di un genere, non è nemmeno artificio (non più di quanto lo siano il linguaggio stesso e la forma romanzesca). È invece uno spazio che egli stesso, come uomo prima che come scrittore, aveva occupato nella vita reale.

Per raccontare ciò che aveva da raccontare (ciò che sentiva suo, ciò che gli premeva, che per lui era inevitabilmente reale) non poteva che scegliere il noir. Questo non già per astratte ragioni estetiche o per qualche calcolo “artistico”, bensì per la elementare constatazione che quella era la sua vita.

Cosa succede dunque nei romanzi di Bunker, quando scrive di rapine a mano armata, di uccisioni, di violenza, di carcere?

Succede che tutto l’armamentario della finzione noir, pur rimanendo invariato, diventa qui realtà, non più artificio o allegoria (come era anche in Camus, col suo Straniero che è simbolo dell’indifferenza umana e dell’assurdità della vita), non più schematismo di genere.

Questo accade perché gli elementi che per altri scrittori sono appunto schema e intelaiatura fittizia, e quindi vengono deliberatamente usati a fini narrativi e letterari, per Bunker autore (oltre che per Bunker uomo) sono invece realtà e vita.

Da questo discende che il racconto noir di Edward Bunker ha le apparenze del Genere (ne rispetta i canoni, le tematiche, lo stile, ecc.) ma la sostanza della letteratura. Noi crediamo che ci stia raccontando la storia di tre rapinatori (Cane mangia cane) allo stesso modo di come potremmo trovarla in un romanzo di James Ellroy o Jim Thompson, e invece lui ci sta raccontando la sua vita, la sua realtà, il senso delle cose per lui come uomo.

Allora il Genere non è più una finzione che serve a raccontare storie che rimandano a significati “altri”, è bensì narrazione e realtà, è vera come la guerra di Hemingway in Addio alle armi, o i ricevimenti dei Guermantes per Proust (o le fogne di Pietroburgo per Dostoievsky e le montagne austriache per Thomas Bernhard, e così via).

Altri potrebbero scrivere usando questi elementi, questi schemi narrativi (la guerra di Hemingway, le feste di Proust, le rapine di Bunker) come struttura di genere, ma per chi ha vissuto lo spazio di uno schema espressivo, lo schema stesso diventa la realtà.

E quel che ne consegue è che non si può più parlare di Genere, perché si tratta in effetti di letteratura.

Tutto questo deve restare saldamente al di qua di qualunque polemica sul grado di autobiografismo contenuto nei romanzi di questo o quell’autore. Non si tratta cioè di stabilire se Bunker abbia realmente rapinato una banca spalleggiato da un pazzo omicida e un tizio enorme (come visto in Cane mangia cane) o se Hemingway si sia innamorato davvero di un’infermiera durante la sua convalescenza in Italia durante il primo conflitto mondiale (Addio alle armi), o se Proust abbia effettivamente partecipato a quei mostruosi ricevimenti che riempiono le pagine della Recherche.

Il punto non è appurare cosa c’è di biografico nel romanzesco, il punto è rendersi conto che quel romanzesco non è lo stesso romanzesco di chi non ha mai avuto a che vedere con la realtà che nel romanzo viene scritta e rappresentata.

L’invenzione di Bunker è autentica (nel senso che è vita, non finzione) quando è noir, mentre sarebbe fittizia e quindi “genere” quando fosse racconto di guerra (che per Hemingway era autentico) o di ricevimenti con servizi di porcellana (che lo erano per Proust).

Forse proprio a questo serve qui parlare del caso Bunker: a stabilire il confine fra Genere e letteratura. O quantomeno a ribadirlo:

esso sta nella “credibilità” del letterario, in contrapposizione alla “in-credibilità” della finzione di genere.

La stessa storia è dunque Genere in James Ellroy o Jim Thompson, ma è Letteratura in Edward Bunker (il quale, sia detto per inciso, è uno scrittore notevolissimo, soprattutto nel già citato Cane mangia cane).